"Gazzetta di Parma" del 26 dicembre 1888

LA PRIMA DEL "LOHENGRIN" al Regio Teatro
Dopo quattro anni si è risentito il Lohengrin. L'accoglienza fatta dal pubblico parmigiano a questa seconda edizione del capolavoro wagneriano, fu uguale a quella della prima: lieta; ma non entusiastica. Ciò dipende, in grandissima parte, dal genere della musica, alcune pagine della quale sono sovranamente belle; mentre tante altre sono lunghe, pesanti, astruse. Ma, del Lohengrin, ho scritto a lungo quando lo si diede la prima volta; quindi è perfettamente superfluo mi ripeta; tanto più che a quel mio povero giudizio, frutto di una prima impressione, mi pare avrei poco da aggiungere e poco da togliere. Mi limiterò, quindi, a parlare della sola esecuzione. Questa nel complesso fu assai buona e a renderla soddisfacentissima non sarebbe mancato che maggiore vigoria nelle masse orchestrali e corali. Quella di ieri sera non era la solita orchestra di Parma. Essa, fu bensì, attenta e precisa; ma ci si sentiva un vuoto, che derivava, unicamente dalla mancanza di molti de' migliori professori, scritturati per altri teatri, e che i ragazzetti, che li hanno rimpiazzati, malgrado tutta la loro buona volontà, non hanno potuto sostituire. Lo stesso dicasi de' cori. Questi sono diventati, più che altro, un'opera pia. Il numero c'è; ma mancano le voci. Quelli che non possono più cantare si tengono o s'impongono per spirito di filatropia. Di più, parecchi de' migliori coristi, quest'anno, sono stati, essi pure, scritturati altrove. In un'opera, come il Lohengrin, in cui i cori sono frazionati in un gran numero di parti reali; la deficenza, naturalmente; non poteva a meno di farsi sentire malgrado che il bravo m. Azzoni abbia fatto il possibile per istruirli a dovere e farli andar bene. Se le masse si sono rivelate meno buone della prima volta in cui s'è rappresentato il Lohengrin, viceversa la compagnia di canto mi è sembrata, sotto parecchi aspetti, assai migliore. Il tenore Moretti è sempre quel bravo artista, che il pubblico tanto applaudì, anni sono, nella Mignon e nella Favorita. Nelle parti di grazia e di sentimento, egli si trova in special modo, a suo posto. È, quindi, naturale che il punto culminante del suo successo, lo riportasse nell'affascinante duetto del terz'atto, dove egli ebbe campo di sospirare alcune frasi in modo veramente eletto; come pure disse assai bene e fu calorosamente applaudito il racconto del San Graal. Ma l'attenzione del pubblico era, in maniera speciale, diretta su la signorina Rosina Giovannoni Zacchi, la quale, per la prima volta calcava la scena. Questa giovinetta, che conta appena 19 anni, ha fatto strabiliare il pubblico. Non solo essa canta assai bene, con voce di timbro gradevolissimo e perfettamente intonata, con accento caldo, che rivela un anima d'artista; ma essa si muove su la scena ed atteggia la gentil personcina ed il volto mobilissimo, come molte provette vorrebbero saper fare. Il successo di questa giovinetta s'andò, man mano, accentuando col procedere dell'opera; ella ha saputo guadagnarsi le simpatie - chiaramente manifestate con approvazioni ed applausi dell'uditorio - su le prime molto diffidente mercè il proprio valore, fino ad ottenere - in unione al Moretti - un lungo, fragorosissimo battimano ed una chiamata dopo il terz'atto. E se ella pensa che si è cimentata, per la prima volta, in una parte tanto scabrosa, come è l'Elsa ed ha ottenuto l'applauso di un pubblico, che passa per essere uno de' più difficili e che non è solito a far complimenti con alcuno; dovrà convenire che più felice debutto del suo era difficile fare. Un ottima artista si è pure rivelata la signorina Irma Spagni, sia per bontà di mezzi vocali, sia per efficacia drammatica. Tutto l'effetto che si poteva ricavare dall'ingrata parte di Ortruda essa l'ha ricavato forzando il pubblico all'applauso. L'esito lusinghiero di Parma, viene a confermare i successi da lei,ottenuti di recente a Bologna e a Genova, ed è un lieto pronostico per quello che otterrà in questa stessa parte - all'Argentina di Roma, dove è stata scritturata, per la prossima primavera. Bella e robusta voce possiede il baritono Silla Carobbi, che fu un Telramondo sotto tutti i rapporti encomiabile. Nei suoi pezzi ottenne spontanei quanto fragorosi applausi ed il pubblico si riserba ad applaudirlo ancora di più in un'opera, dove abbia maggiore opportunità di far sfoggio de' suoi mezzi e del suo talento. Il basso Francesco Vecchioni è sempre quel bravo artista che il pubblico applaudì nell'autunno del 1879, assieme al celebre Campanini ed alla Ginevra Giovannoni, la madre della debuttante. Fu un Enrico l'uccellatore proprio meritevole di lode. Una voce strapotente, simpatica, intonata; una persona con tutte le caratteristiche della bellezza nordica possiede il basso Luigi Broglio - nome modesto che cela quello d'illustre casato straniero. Egli è un Araldo ideale; ed il pubblico, sentendo quel fiume di voce, non ha potuto a meno di prorompere in caloroso applauso. Nomino per ultimo il celebre Bottesini che ha concertato e diretto lo spettacolo ed al quale devesi, di giustizia, attribuire la dovuta parte di merito nella buona riescita di esso. È peccato, che per la prima volta, che la nostra orchestra ha l'onore di essere diretta da lui, non si trovi in forze sufficenti per potere estrinsecare tutti quegli effetti che un sì illustre artista saprebbe, indubbiamente, ricavare. In ogni modo, il pubblico, col lungo e fragorosissimo applauso, fattogli allorché ebbe preso posto sul seggio direttoriale, ha voluto dimostrargli tutta la sua grande simpatia, e quanto sia lieto di averlo stabilmente nella città nostra, a capo dell'Istituto musicale, che, sotto la sua valente direzione, non potrà a meno d'essere presto uno de' primi d'Italia. Debbo, anche una parola di elogio al prof. Giacopelli per le sue belle scene - specie la seconda, che fu applauditissima - ed all'Impresa che ha saputo far le cose con larghezza e somma proprietà. Gli abiti - tanto degli artisti che delle masse - e gli attrezzi sono ricchi e di buon gusto. Riassumendomi, mi sembra che questo Lohengrin sia nato, non solo vivo; ma anche vitale e che potrà essere rappresentato per parecchie sere con sempre crescente soddisfazione per parte del pubblico.


"Il Presente" del 11 gennaio 1889

Credevamo che ad una prima rappresentazione del Faust dovesse occorrere un pubblico molto più numeroso. Il capolavoro del Gounod ieri sera ottenne un successo mediocre molto e sia stato il panico o qual cosa altro, fatto sta che nessuno degli esecutori sembrava ieri sera al suo posto. La sig. Anna Cribel (Margherita) ha una voce abbastanza buona specialmente negli acuti, ma poco educata quindi riesce non tanto simpatica; ieri sera vi furono al di lei indirizzo degli applausi, che riteniamo d'incoraggiamento, speriamo che un'altra sera faccia meglio; cosa che noi le auguriamo di tutto cuore. Il baritono sign. Carobbi si trovava meglio nel Lohengrin. La romanza del primo atto:

Dio possente, Dio d'amor

dovrebbe essere espressa a nostro avviso con minor forza, e maggior grazia. Il Sign. Carobbi ha un bel corpo di voce, e se curerà modularla meglio farà ottima figura e certamente sarà applaudito. La parte di Faust venne sostenuta dal tenore Signor Moretti il quantunque abbia una voce educata ad ottima Scuola, un metodo corretto di canto, pure anch'egli ieri sera ha lasciato qualche cosa a desiderare. L'unico che abbia riscosso applausi è stato il basso Signor Vecchioni, pure si stenta a riconoscere in lui l'artista che sostenne nel Faust la parte di Mefistofele quattro anni or sono al nostro massimo Teatro. La signora Irma Spagni (Siebel) fu abbastanza buona. Discretamente Marta e Vagner. Con molto affiatamento degno di lode, cantarono ieri sera i cori. Bene l'orchestra, diretta dal comm. Bottesini. Ed ora una lode sincera incontrastata all'Egregio Signor Giacopelli per le scene dipinte in modo superiore ad ogni elogio. Questa è la cronaca esatta, vera della serata. Speriamo, e noi agli artisti lo aguriamo di cuore, che udendo una seconda volta il Faust si modifichi il nostro giudizio.
g.b.


"Il Presente" del 17 gennaio 1889

Ieri sera il Faust ebbe un successo poco lieto. Zitti e anche fischi si fecero udire durante e alla fine dello spettacolo. Ci pensi l'impresa e guardi di rimediare. Dal canto nostro crediamo, e lo diciamo francamente, che se la Sig. Rosina Giovannoni Zacchi avesse sostenuta la parte di Margherita, il Faust sarebbe stato applaudito, molto applaudito.
g.b.


"Il Presente" del 23 gennaio 1889

Ieri sera al nostro Regio, rappresentandosi il Faust, si produceva nella parte di Margherita la Signorina Enrichetta Pavesi. La giovane nostra Concittadina fu accolta al suo apparire da benevola aspettativa; e di vero la dolce espressione del viso, la figura sua elegante e gentile, la movenza aggraziata nella sua modestia, incarnano a parer nostro in lei la delicata, e poetica creazione di Göethe. L'esecuzione musicale però che essa diede alla parte, dobbiamo constatarlo dispiacenti, non giustificò pel momento le speranze che si avevano. La voce della Signorina Pavesi è di buon impasto, e discreta estensione; la pronuncia soprattutto corretta e quale in poche artiste ci fu dato riscontrare; ma il metodo di canto, certe mancanze al tono nella emissione degli acuti specialmente, eccitarono un giudizio poco favorevole nel pubblico. Forse il panico di una prima comparsa davanti i proprii concittadini, forse la mancanza di completo affiatamento cogli altri artisti hanno a tanto contribuito; e vogliamo sperarlo. Noi quindi non ci affrettiamo ad un giudizio quale esso sia, e constatando solamente il fatto, attendiamo in proposito una seconda audizione.


"Gazzetta di Parma" del 1 febbraio 1889

LA PRIMA DELLA GIOCONDA al Regio Teatro
Più che una rappresentazione, è stata una battaglia, che si è risolta in un trionfo per gli esecutori. II pubblico, come i francesi di Fontenoy, parve dicesse: messieur les artistes, chantez les premiers; nous sifflerons après. Gli artisti hanno cantato ed il pubblico, meno fortunato dei francesi, s'è dovuto arrendere, senza trovare mai il momento opportuno per fischiare. Non è esagerazione la mia. Sono, ahimé, venticinque anni che frequento il Regio e credo d'avere il diritto di dire che conosco molto bene il pubblico. Sì, iersera, il pubblico è proprio andato, a teatro malissimo disposto; quella liretta di più, fattagli pagare, gli pesava dolorosamente su lo stomaco; e a tutti son noti gli effetti di una cattiva digestione. Guai ai poveri artisti se avessero sgarrato. Ma gli artisti filarono diritto ed il pubblico, sebbene fosse scuro scuro, come nubi estive gravide di gragnuola e di fulmini, non poté sfogare il proprio malumore e, dopo una certa resistenza, che, però, col procedere dell'opera, andava, man mano, illanguendo, si è dovuto dichiarare vinto e lasciarsi trascinare all'entusiasmo. Dopo il finale del terzo atto, la vittoria era assicurata; non rimaneva più che inseguire l'inimico e farlo tutto quanto prigioniero. È la parte che si è assunta la celebre Pantaleoni. Per essere giusti, bisogna dire che gli artisti hanno gareggiato di valore e buon volere. Il ricordo della Gioconda con esecutori Figner, la May, Menotti, Contini - tutti artisti di grido - era troppo vivo, perché non dovesse influire sfavorevolmente su gli esecutori odierni. Più fortunata di tutti era la nostra concittadina la signorina Guernieri la quale, non ha dovuto combattere altro che col ricordo di sé stessa. Con tutto ciò Moretti, la Spagni, Carobbi, Broglio, si sono disimpegnati assai bene e meritano lodi sincere e sono persuaso, che, alla prossima rappresentazione, il pubblico renderà loro piena e completa giustizia. Il tenore Moretti, che è un eccellente artista, ha eseguito benissimo, riscuotendo applausi cordiali quanto unanimi, nella sua bella romanza ed è stato, tutta la sera, cantante corretto ed attore felice. Pure molto bene la signorina Spagni, che ha assai buoni mezzi vocali e dimostra, anche in questa parte di Laura, molta intelligenza. Essa ha cantato la sua romanza, nel second'atto, in modo da non far desiderare la Mey e strappando all'uditorio segni non equivoci di approvazione. Nel duetto, poi, con Gioconda seppe stare assai bene al suo posto e gli applausi che seguirono quel pezzo, spettavano per la sua parte, anche a lei. Il Carobbi ha una voce potente e bellissima, e, malgrado questo è modesto e studioso; iersera egli ha sfoggiato note di una forza e limpidezza meravigliose, strappando l'applauso a tutti. Gli ha nociuto, solo, il ricordo, ancor fresco, di Menotti, il quale aveva saputo fare la parte poderosa di Barnaba una vera creazione. Molto bene anche il Broglio che, pur esso ha voce poderosa e bellissima e che ha un solo torto: di eseguire una parte, nella quale, nessuno è mai riuscito a cavare un ragno da un buco. È vero che questo torto non è tutto suo. Della signorina Guernieri è superfluo, ormai, parlare. Ella, della parte di Cieca, si è fatta una specialità. Se non temessi di farle un complimento di gusto equivoco, direi, che è una Cieca nata; e come tale si è fatta applaudire da tutti i pubblici d'Italia. Naturale, quindi, non le potesse mancare, e vivissimo, il plauso dei suoi concittadini. Mi sono riserbato di parlare, per ultimo, della signora Pantaleoni, perché avrei pure voluto rendere completamente tutta l'immensa impressione che ha destato nel pubblico. Ma siccome non ho mai avuto troppo alla mano il dizionario degli aggettivi laudatori, delle espressioni entusiastiche, delle frasi deliranti; io mi trovo qui assai imbarazzato ad esprimere il pensier mio, né so dire di più che la Pantaleoni si è rivelata, anche una volta, una grandissima artista. Salutata, al suo apparire, da applausi, ella si è tosto appalesata qual'è potente come cantante e come attrice. Nella sua voce, sempre bella e squillante, ella trova accenti, inflessioni, che cercano e commuovono le più riposte fibre del cuore. L'amore, la gelosia, l'ironia, l'ira tremenda sa rendere con tale efficacia, che incanta, terrorizza e sempre soggioga lo spettatore. E prima ancora che il canto e la parola, è il viso mobilissimo, che rivela tutta l'intensità della passione, che esplica il dramma. Nel duetto del second'atto con Laura e, si può dire, in ogni sua frase, ha saputo trasportare l'uditorio. Quando, nel finale del terz'atto, Gioconda dice a Barnaba; "se lo salvi e adduci al lido..." vi fu in tutto il teatro come un fremito. Ho già detto che, dopo il finalone del terz'atto - che è stato emporté con un vigore straordinario dagli artisti, dai cori e dall'orchestra - la battaglia era completamente guadagnata. L'entusiasmo si rivelò senza freno e gli artisti, col m. Bottesini dovettero comparire più e più volte al proscenio. M'è solo spiaciuto non venisse il Broglio a dividere, coi compagni, l'onore del trionfo sebbene egli non abbia punto, punto demeritato. L'ultimo atto - in cui la potenzialità del dramma sale ad un punto eccelso - fu tutta un'apoteosi per la signora Pantaleoni. Qui, ella fu, a dirittura sublime. Impossibile descrivere il canto sconsolato della preghiera, il modo con cui esprime il turbinio dei pensieri, che nella mente le agita la gelosia, con quale accento dica: "Oh, gioia, egli mi uccide!" come pianga nell'addio ad Enzo e Laura; come tristemente folleggi nella canzone della morte. Non so se la cantante, in questo punto, superasse la tragica, o viceversa; so che la commozione dell'uditorio era generale e profonda; e, quando calò il sipario, il pubblico, come sollevato da un incubo, proruppe in un immenso applauso. La celebre artista, tuttavia, non mi renderà ingiusto fino a punto da dimenticare un particolare encomio all'illustre Bottesini, alla sua orchestra, la quale, meno qualche esitazione in principio, fece assai bene il proprio còmpito, ed ai cori, che, fra le altre cose, cantarono egregiamente la marinaresca. E lode calorosa va pure data al prof. Giacopelli per le sue bellissime scene. Quella del cortile del palazzo ducale, che presentava difficoltà fortissime, perché costrutta in parecchi pezzi, è riescita molto bene; di bell'effetto la riva del mare; di buon gusto la sala delle danze; splendida l'ultima. Anche il vestiario e l'attrezzeria sono ricchi. Guarda! dimenticava il corpo di ballo. C'era in proposito, una singolarità: che le dodici ore, viceversa, erano soltanto undici. Un'ora ha creduto bene di eclissarsi all'ultimo momento. Giustizia vuole, però, io dica che le undici rimaste hanno ballato per dodici e che, anche a quelle brave figliuole, un po' d'applauso è toccato. Morale. Teminato lo spettacolo, nessuno s'è più sognato di lagnarsi per il biglietto cresciuto. Molti, anzi, convenivano che all'impresario ce n'andava ancora.


"Il Presente" del 28 febbraio 1889

Quanto di scelto, di artistico, di elegante annovera la nostra città era ieri sera convenuto a R. Teatro. Grande era l'aspettativa di udire Bottesini che per ieri sera, beneficiata dei poveri, gentilmente si prestava a suonare il contrabbasso. Dopo il 2° e il 3° atto del Faust interpretato egregiamente dalla Signora Rosina Giovannoni Zacchi, dal tenore sig. Moretti e da tutti gli altri artisti, dopoché la Pantaleoni, con quella abilità, con quella finezza d'arte e sentimento che la distingue, ebbe cantato l'inflammatus di cui si volle il bis fra acclamazioni entusiastiche, il Comm. Bottesini accolto da una salve di applausi, comincia a suonare, sul contrabbasso, suo strumento favorito, una elegia, da lui composta. Ad ogni colpo del suo magico archetto erano applausi calorosi che si cambiarono in vero delirio alla tarantella di cui si volle il bis; invece del bis però Bottesini si fece sentire un altro pezzo, il carnevale di Venezia che, fu entusiasticamente acclamato. Tutti coloro che ieri sera erano accorsi al Regio sapevano di dovere udire qualche cosa di grande, ma non si credeva che da un contrabasso strumento difficilissimo si potesse trarre suoni, quali ha saputo il Bottesini.
g.b.


"Gazzetta di Parma" del 11 marzo 1889

Ieri, col Faust, si è chiusa al Regio la stagione d'opera. Il pubblico non fu avaro di applausi agli artisti. Specialmente alla signorina Zacchi, al Moretti ed al Vecchioni, fece, in fin d'opera, una calorosissima dimostrazione, chiamandoli più e più volte agli onori del proscenio. E il pubblico ha fatto benissimo. Gli artisti tutti, che abbiamo avuto quest'anno hanno dato prova, oltre che di valentia di una buona volontà, che non è mai venuta meno un solo istante. Ed è, in principal modo, alla loro buona volontà che si deve se la stagione è trascorsa senza peripezie. Di ciò il pubblico ha giustamente tenuto conto. Anche all'impresa va data la dovuta lode. Coi mezzi limitati, di cui dispone il nostro teatro, essa ha saputo, in complesso, ammanirci buoni spettacoli, messi decorosamente in scena e tali da appagare qualunque pubblico ragguardevole. Anche senza considerare la scarsità di buone ed oneste imprese - che diventano, sempre più un mito - c'è da augurarsi che anche per gli anni venturi l'impresa del nostro Regio sia assunta da stimabile persona, com'è il cav. Cardini. E poiché è costume rendere responsabile di qualsiasi inconveniente possa succedere la commissione teatrale, anche quando essa non ci ha né fiato né colpa; mi pare giustizia tributarle elogi, che parranno - come sono effettivamente - tanto più sinceri, in quanto che non ho mai lesinato il biasimo quando in anni precedenti, mi parve lo meritasse. Non so, col rimescolamento, che probabilmente avverrà con la nuova legge amministrativa, quale sorta sia riservata all'odierna commissione teatrale se essa sarà, nuovamente chiamata a dirigere i futuri spettacoli teatrali. Io me l'auguro. In ogni caso, la commissione ha finito assai bene la propria gestione e se il successo non sarà titolo sufficente, presso i venturi amministratori del Comune, per conservarla in carica, ad essa non mancherà il conforto di veder riconosciuto il suo zelo e la sua attività da tutta la gente imparziale.


"Il Presente" del 24 dicembre 1888

Riceviamo da un nostro assiduo la seguente:
Ieri (23) ha avuto luogo l'adunanza dei palchettisti del teatro Regio, avente per iscopo di stabilire, se si debba o no intentare lite contro il municipio perché ha aumentato del doppio il canone dei palchetti. Io non conosco il risultato di questa riunione, né mi curo di saperlo; soltanto mi permetto di osservare che i signori palchettisti, per quanto paghino, sono sempre al disotto di quanto dovrebbero spendere; poiché non è giusto che il municipio spenda 30 mila lire per gli spettacoli teatrali per divertire i ricchi a spese di tutti i contribuenti indistintamente. Infatti buona parte dei proprietari di palchi hanno domicilio fuori di città, sottraendosi così all'imposta della tassa di famiglia; e in parte soltanto concorrono nell'imposta della tassa di famiglia; e in parte soltanto concorrono nell'imposta del dazio di consumo, perché passano molti mesi dell'anno in villa. Si va dicendo che bisogna tener aperto il teatro per mantenere la famiglia teatrale; ma bisogna essere molto ingenui per credere che col teatro, ove si danno in media 35 rappresentazioni all'anno si possa mantenere una famiglia teatrale. Questo è un pretesto per far pressione sui consiglieri e metterli così nella necessità di votare la dote. Chi vuole i divertimenti se li paghi.
Un assiduo
Le considerazioni del nostro assiduo se sono giuste per una parte, sono esagerate per altre, poiché il suo suggerimento condurrebbe alla chiusura del Teatro.

 

 

"Gazzetta di Parma" del 26 dicembre 1889

DON CARLOS
La prima rappresentazione

L'Opera

Fra le opere di Verdi quella su cui più si è discusso e si discuterà, quella su cui i pubblici e la critica sono stati più discordi è stata certamente il Don Carlos. Il Don Carlos fu scritto per il teatro dell'Opera di Parigi, in occasione dell'Esposizione Universale. Era la second'opera (la prima fu: I vespri siciliani) che Verdi faceva rappresentare a Parigi. La prima rappresentazione ebbe luogo l'11 marzo del 1867 e fu un grande avvenimento teatrale. Il successo però fu assai contrastato. I critici francesi lo giudicarono, chi un capolavoro e fra questi Teofilo Gauthierche nel Moniteur chiamò il Don Carlos una delle più alte e magnifiche ispirazioni di Verdi, chi invece non volle riconoscere in quest'opera le immense bellezze di cui è ricca. A Parigi ebbe ad interpreti la Sass, la Guyemard, il Morère, il Faure, il Castelmary, il David e L'Obin. L'illustre e compianto cav. Angelo Mariani, che in quel torno si trovava a Parigi, non contento del successo appena discreto che il Don Carlos otteneva sulle scene dell'Opèra volle tentarne una riproduzione in Italia; e la prima volta appunto che il Don Carlos fu dato in Italia (27 ottobre del 1867) lo fu al Comunale di Bologna con a direttore il Mariani. L'esecuzione fu straordinaria ed indimenticabile, e l'opera ottenne uno dei più entusiastici successi. Ne erano interpreti la Stoltz e la Fricci, il Capponi, lo Stìgelli, il Cotogni. Un pari grande successo ottenne pure il Don Carlos al teatro alla Scala di Milano nelle esecuzioni che furono date negli anni 1868, 1869, e 1879: e pure un ottimo successo l'ottenne qui in Parma nella primavera del 1869. Fu accolto invece assai freddamente a Londra. Finalmente il 10 gennaio del 1884 comparve sulle scene della Scala un Don Carlos riformato e ridotto da Verdi stesso a 4 atti. La Bruschi Chiatti, la Pasqua, il Tamagno, il Lherie, il Silvestri, e il Navarrini ne furono gli applausitissimi interpreti. .E questo è il Don Carlos che con varia fortuna percorre tuttora le principali scene italiane ed estere. Questa mancata universalità di successo io credo debba attribuirsi precipuamente alla prolissità del libretto, quantunque non sia certo uno dei più brutti musicati da Verdi. Le posizioni e le scene drammatiche piene di passione abbondano, ma esse navigano in mezzo a un mare di scene inutili ed oziose. Verdi domandò un dramma; lo ebbe; musicandolo ne fece un poema non certo perfetto in tutti i punti, ma pur sempre un poema ricchissimo di pagine musicali stupende, un poema ricco di ispirazione e di pregi artistici non comuni. Poche sono le opere di Verdi che vantino tanti e così bei pezzi di musica come il Don Carlos, non è tanto quindi la povertà di idee melodiose che nuoce a quest'opera, quanto la mancanza di un concetto musicale drammatico diritto e sicuro e la conseguente unità e omogeneità di stile e di processo tecnico. Tutti questi bellissimi pezzi musicali sono sparsi qua e là nell'opera, ma privi come sono di legame ed unità musicale non riescono a dare al dramma una vera a propria consistenza di arte e di teatralità. È questo a mio debole giudizio, non solo, ma anche a giudizio autorevole di critici più di me competenti il maggior difetto di questo melodramma di Giuseppe Verdi.
S.

L'esecuzione

La storia del Don Carlos di Verdi e del giudizio che ne ha dato la critica è stato già riassunto da un collega, che gentilmente ha voluto dimezzare il mio carico; quindi, per non ripetere le stesse cose, mi atterrò, questa volta, alla semplice cronaca della serata. Anche ai vecchi, che, vent'anni fa, poterono udire al nostro Regio un eccellente rappresentazione di questo spartito, l'odierna riproduzione non poteva non piacere, perché la compagnia che l'eseguisce forma un complesso che, francamente non sempre si può udire l'eguale anche in teatri che più del nostro hanno maggiori risorse. Come sia che qui in Parma, malgrado l'esiguità della dote ed il prezzo del biglietto non eccessivo, si possono avere, tanto spesso degli spettacoli quali difficilmente si veggono in tante altre città; è una cosa che non mi sono mai riuscito a spiegare. Tuttavia, siccome i forestieri lo attestano e lo confermano i parmigiani che hanno l'abitudine di girandolare per l'Italia, convien ben dire, che, sia per fortuna, sia per abilità della commissione teatrale, sia perché il nostro teatro goda realmente un grande credito, sia che gli artisti bramano ricevere il battesimo di questo pubblico, che loro apre le porte dei maggiori tempi dell'arte, il fatto sia proprio vero ed incontrovertibile. L'impresario Bolcioni mi pare, che nel riunire la compagnia di canto, presentataci iersera si sia lasciato guidare più da intendimenti di artista, che d'impresario. Egli ha fatto le cose senza risparmio; proprio uno che conosce i gusti difficili del nostro pubblico, il quale non è avaro di applausi e non lascia la cassetta vuota, quando lo spettacolo è buono. Soltanto gl'impresari coraggiosi, qui, possono sperare fortuna; e siccome il Bolcioni s'è mostrato coraggiosissimo, egli merita adeguata ricompensa e spero l'otterrà. La nostra concittadina Leonilda Gabbi ha felicemente superata la difficilissima prova. Ella, pressoché debuttante, doveva cimentarsi in una parte faticosissima e di grande importanza e, più di tutto, col ricordo schiacciante di quella grande artista che è la Teresina Stoltz; ricordo che se è vecchio di vent'anni, è tutt'altro che scancellato nel nostro pubblico. Ed ella se l'è cavata con onore ed ha saputo vincere e il panico ond'era presa e la diffidenza del pubblico. Ha una bella voce, fresca, intonata, squillante negli acuti. Se con lo studio e l'esercizio riescirà a rinforzare il registro mediano, diventerà un'artista da stare al pari alla sorella; vale a dire: gareggiar colle prime artiste che ora vanti il teatro italiano. Il bravo m. Pio Ferrari che l'ha educata - con la passione che egli mette in tutto ciò che è arte - può essere contento della brava allieva. La signorina Gabbi ebbe in tutto il corso dell'opera segni non equivoci e non artificiali di aggradimento da parte del pubblico. Gli applausi e le chiamate non le mancarono; ma fu specialmente nel grande arione del quint'atto che si appalesò artista piena di merito, pel modo, con cui seppe eseguire quel difficile pezzo. La signora Emma Leonardi è venuta a Parma con una gran fama di bellezza e di bravura e non l'ha smentita. Se nella canzone del velo lasciò alquanto a desiderare, ella si rialzò ben presto nel terzetto dell'atto terzo e nella sua aria in cui poté sfoggiare tutta la potenza dei suoi eccellenti mezzi vocali e tutta la sua arte eminentemente drammatica. Ella pure ebbe applausi e chiamate in coppia; ma sono persuaso che il di lei successo si affermerà maggiormente nella parte di Amneris, che mi pare le si debba attagliare più che a quella dell'Eboli. Notati, ammirati, invidiati gli splendidi e copiosi diamanti che quell'elegantissima artista portava. In tanta penuria di tenori, il sig. Signorini è uno di quei cantanti ai quali è riserbata una fortuna, se saprà conservarsi il tesoro che ha in gola e non lo prodigherà con quella generosità spensierata dei giovini, i quali pare non pensino che la voce se ne va anche quando se ne ha dovizia. L'esecuzione di questo tenore tiene del prodigioso. Egli sale, sale... talvolta fino ad oltrepassare il segno. Nel duetto dell'amicizia - che desidererei egli dicesse un po' più a fior di labbro conformandosi al metodo del suo esimio compagno - egli prende, di lancio un do naturale che è una bellezza, quando non è esuberante. Il pubblico - con la poca discrezione che lo distingue - volle che lo ripetesse ed egli, gentilmente, lo compiacque, riuscendogli, la seconda volta, quella nota azzardata, ancora meglio della prima. Del resto il Signorini canta e rappresenta la sua parte con grande impegno. Egli prodiga tutto se stesso e se il pubblico l'ha ricompensato con un'accoglienza calorosissima durante tutta l'opera, ciò fu pretta giustizia. Un buon Filippo è il basso Beltramo, che ha voce sonora ed estesa. Egli ha cantato molto bene la sua bellissima romanza; solo che nella cadenza ha voluto strafare, e ciò gli ha nociuto e gli ha sottratto buona parte degli applausi che, prima, si era meritato. Sono persuaso che se egli si limiterà ad eseguire detta cadenza com'è scritta, l'effetto non potrà mancare. Altro buon basso è il sig. Coda, che ha voce robusta e simpatica. L'avverto, però, che il pubblico se lo ha trovato cieco a sufficienza, ha dovuto pure convenire, che, per essere un nonagenario, egli è troppo ben conservato. Qualche dozzina di rughe di più sul volto ed una barba più veneranda non sarebbero fuori di proposito. Mi sono riserbato di parlare per ultimo del cav. Kaschmann. Perché?... Mah! Forse perché, dopo aver encomiato tanti artisti, non mi accadrebbe di mostrare esaurito il dizionario degli epiteti laudativi; dacché mi pare, che, con un artista siffatto, le parole, s'inventerebbero. Del resto, tutti gli elogi si possono condensare in questa sola frase: il Kaschmann è un grandissimo artista. Bella, pastosa, squillante, duttile è la sua voce. Questa, sia che egli la trattenga, sia che la lasci prorompere in scoppi possenti, ha la virtù di riempiere sempre la sala e di molcere dolcemente l'orecchio all'uditorio. E come la sa modulare, e con qual'arte squisita egli accarezza, vezzeggia certe frasi! Che delizia sarà mai stato il teatro, quando gli artisti cantavano tutti a quel modo! Né soltanto cantante finissimo si appalesa il Kaschmann. Egli è un artista in tutto. Non credo che si possa rappresentare il personaggio del Posa con maggiore distinzione e verità. Accurato in tutti i particolari del vestiario elegantissimo, sobrio nel porgere, egli, è l'ideale del cavaliere. È superfluo dica, aver egli ottenuto un successo strepitoso. Gli applausi proruppero sempre fragorosissimi dal principio alla fine; ma forse ciò che più a lui saranno riesciti graditi erano certi scoppi di approvazione, a stento trattenuti, che partivano dai buongustai, a talune sue frasi, rese con una virtuosità, che, purtroppo, ora va scomparendo. Il punto culminante, per lui, è stato, però, la scena della morte. Con quale delicatezza, con quanta commovente mestizia, con quante lagrime nella voce egli abbia cantato la sublime melodia: "Per me giunto è il dì supremo," è impossibile dire. Il pubblico ne rimase talmente entusiasmato, che, terminata l'aria volle riudirla ed egli la ripeté con crescente effetto. E terminato l'atto, si vide tutta la platea alzarsi in piedi e dai palchi sporgersi gli uomini ad applaudire freneticamente. Fu un momento solenne, che si ripeterà - probabilmente in misura maggiore - tutte le sere che quel grande artista starà fra noi. Dacché è inutile; quando si è sentito una volta il Kaschmann, bisogna risentirlo e risentirlo ancora. Non c'è scampo. Delle parti comprimarie è buona la Florio Adele. Inquanto al Barbieri, al quale era affidata la duplice parte di Lerma e di Araldo, in causa ad indispozizione, egli si presentò talmente afono che la parte di Araldo dovette assumerla - senza averla mai prima eseguita e senza prove - il corista Pasini, il quale poveretto, se la cavò mica male. Quest'anno l'orchestra è composta di ottimi elementi ed il direttore sig. Conti ne ha saputo trar profitto . Egli si è appalesato un bravo concertatore e direttore. Un bell'effetto - applauditissimo - ha ricavato dalla frase del duetto dell'amicizia, che l'orchestra ripete in fin d'atto. Al contrario lo stupendo preludio dell'atto quinto è passato sotto silenzio. Ricordo che l'esimio m. Ferrarini faceva - quando lo diresse qui, vent'anni fa - andare il pubblico in visibilio ed il pezzo era costantemente bissato. I cori - forse conseguenza del Natale - potevano andar meglio. Quei cinque frati, foderati da altrettante comparse, che nel gran finale hanno una frase staccata, sono assolutamente insufficienti. I deputati flamminghi, poi hanno stonato comme des vrais gueux. Speriamo meglio per stasera. Il balletto delle perle - appiccicato con lo sputo, per assecondare l'esigenza dell'Opera anche quando è dato come va - rappresentato invece, come lo è presentemente, riesce una piccola mostruosità senza capo né coda e lo si potrebbe magari sopprimere senza inconveniente. Sarebbe spiacevole solo perché, allora, non si avrebbe molto modo di ammirare la signorina Corona, che è una bella ragazza ed una graziosa danzatrice. Il sig. prof. Giacopelli è riuscito a non far troppo ricordare che abbiamo, da poco, perduto quel grande scenografo di fama mondiale che fu Girolamo Magnani. Non tutte le scene dateci dal Giacopelli sono di eguale pregio. Mi piace, tuttavia, ricordare la prima, rappresentante una nevicata nel bosco di Fontainebleau, che è riuscita un quadro di stupendo effetto e meritamente applaudito. Ritengo che stasera, passato il panico e rinfrescatisi gli animi, certe piccole incertezze ed oscillazioni, avvertite iersera, lungo la rappresentazione, non si ripeteranno ed il complesso dello spettacolo apparirà, ciò che a me è sembrato fin dalle prove: cioè, tale, d'appagare anche i più esigenti di questo esigentissimo pubblico.
Z.


"Gazzetta di Parma" del 9 gennaio 1890

LA PRIMA DELL'AIDA
Sarò brevissimo, dacché, né dell'Aida datasi altre tre volte in questo teatro regio, né degli artisti che l'eseguiscono, già quasi tutti noti al pubblico, quale li ha potuti degnamente apprezzare nel Don Carlos, conviene insistere. Farò piuttosto la cronaca della serata; ma se in questo mio compito mi spiccerò presto, mia non sarà la colpa, dacché poco vi è da registrare. Fu applauditissimo il tenore, dopo la sua romanza e dopo il duetto con la signorina Gabbi, del quale parte del pubblico fece ripetere la cadenza. Fu pure assai applaudita la signorina Gabbi nella sua aria del terz'atto, la quale, effettivamente accentuò con sentimento alcune frasi. Alla bellissima signora Leonardi non poteva mancare un plauso, dopo il suo arione e l'ebbe, infatti, vivo ed insistente. Tutto il resto, se ben ricordo, passò sotto il silenzio. Tuttavia sconsiglierei gli artisti tutti, che hanno parte nell'Aida, ad interpretare quegli applausi come un'approvazione sincera, incondizionata del vero pubblico parmigiano. Per esser sincero, dirò che, sia per l'orgasmo degli artisti, sia per insuffìcenza di prove, causa le indisposizioni che hanno colpito taluni di essi, questa Aida mi parve troppo strapazzata. Francamente, mi parve di assistere ad un'antiprova generale. Sovrabbondavano gli urli e le stonazioni. Anche il concerto e l'esecuzione orchestrale risentirono grandemente dell'affrettata messa in scena. Esitazioni e disattenzioni se ne sono notate parecchie sul palcoscenico ed in orchestra. Inoltre i tempi peccavano quasi tutti per soverchia celerità. In orchestra nessun colorito. Insomma: un'Aida, niente celeste, ad onta delle assicurazioni del tenore. Speriamo meglio nelle prossime rappresentazioni. Del baritono sig. Sammarco non mi azzardo dare un giudizio, essendosi prodotti in condizioni eccezionali. Mi pare, però, egli abbia buoni mezzi vocali ed una discreta attitudine per la scena. Egli è molto giovane, perciò, con lo studio, potrà magari pervenire a farsi una bella posizione nell'arte. La messa in scena è molto decorosa. Belli e freschi i vestiari; più che decenti gli attrezzi. Il prof. Giacopelli ha presentato delle scene assai commendevoli e che mi parvero superiori a quelle del Don Carlo. Noto due cose, che mi sembrano stonature. Il tenore ha creduto bene d'indossare una maglia scura scura, come se dovesse rappresentare un moro. Gli egiziani sono bianchi, come noi ed è la prima volta che veggo un Radamês di colore bronzino. Altra cosa notevole è quell'aquila bicipite che fa bella poma di sé dietro il trono del Faraone. Se questi fosse contemporaneo di Enrico l'uccellatore, direi che il trono egiziano è un gentil dono del sire d'Allemagna al real cugino del Nilo. Peccato che tra l'uno e l'altro ci passi qualche migliaio d'anni. Per finire... più allegramente di quanto o non abbia cominciato.
Dialogo tra un celebre artista, freddurista impenitente ed un suo vicino.
- Sapete cosa contengono que' due vasi che vengono portati in processione al second'atto?
- ?
- ... Terra di Egitto.
- ?!!
- Non avete sentito, nel prim'atto, l'araldo, il quale dice che il sacro suolo dell'Egitto è in... vaso?
Si sono subito avvertiti dei casi di influenza fulminante.
Z.


"Gazzetta di Parma" del 16 gennaio 1890

Per ragioni dette altrove, nessuno dei nostri soliti cronisti teatrali ha potuto intervenire alla rappresentazione di iersera, qundi la cronaca attuale non è che il risultato d'informazioni assunte da persone che vi si trovavano presenti. Come fu narrato ieri, l'impresa del Regio, visto compromessa la prosecuzione dello spettacolo, in seguito alla malattia del tenore Signorini, telegraficamente scritturò a Milano il tenore Salto, il quale fece... un medesimo dal Caffé Biffi al palco scenico del nostro massimo, dove si presentò sotto le spoglie di Radames senza fare nemmen una prova. L'esordio del Salto fu felicissimo; la "celeste Aida" fu applaudita freneticamente; l'entusiasmo subito sbollì. Al second'atto vi fu silenzio glaciale; al terzo atto a degli applausi imprudenti, quasi provocatori, venne risposto con fischi serpentini. Al gran finale la platea dava una pallida idea di ciò che era in addietro la fiera di S. Giuseppe. Anche al quart'atto vi furono disapprovazioni. Dopo questo risultato, il tenore Salto fece un altro medesimo da Parma a Milano ed ora pare che l'impresa stia cercando un altro artista. La signorina Gabbi aveva fatto annunciare d'essere indisposta; ma tale, per verità non parve, perché cantò come al consueto e fu applauditissima. Applauditi assai furono pure la signora Leonardi ed il baritono Sammarco.
Z.


"Gazzetta di Parma" del 22 gennaio 1890

Allo scopo di dare un conveniente riposo al tenore Signorini, l'impresa è venuta nella determinazione di scritturare un altro tenore nella persona del sig. Vincenzo Ghilardini. Il Ghilardini, quantunque da poco in carriera, ha già cantato con successo a Macerata, a Ferrara, al Comunale di Trieste ed utilmente al Reale di Madrid. Il nostro pubblico è quindi chiamato a giudicare un modesto giovane che muove, direi quasi, i primi passi nell'arte, ed io sono persuaso lo farà senza precipitazione e con quell'imparzialità che lo distingue. Al Ghilardini auguro quindi le più liete sorti.


"Gazzetta di Parma" del 24 gennaio 1890

La sesta rappresentazione dell'Aida, ha ottenuto anche ieri sera, specialmente a quel paradisiaco atto terzo un grandissimo successo. Il Ghilardini si è saputo conservare il favore del pubblico che pure ieri sera a più riprese lo ha meritamente e entusiasticamente applaudito. L'egregio artista può andare superbo del successo ottenuto al nostro Regio. Ottimamente pure tutti gli altri.


"Gazzetta di Parma" del 29 gennaio 1890

Ed ora una buona notizia: una vera sorpresa. Kaschmann, l'illustre Kaschmann, ha accettato di cantare in una terza opera. Si è quindi stabilito, invece del Trovatore di un esito assai dubbio, di dare l'Ernani. Oltre il Kaschman, (Carlo V.) che sarà l'attrattiva maggiore, l'opera verrà interpretata dal Signorini, dal Beltramo e da una nuova prima donna all'uopo scritturata per la parte di Elvira. L'opera anderà in scena entro la ventura settimana. Per ora basta l'annuncio.
S.


"Gazzetta di Parma" del 31 gennaio 1890

La rappresentazione dell'Aida è proceduta ieri sera regolarmente ed ottimamente sino alla fine. Tutti gli artisti furono come sempre applauditissimi. Ma..., qui cominciano le dolenti note, al calar della tela sull'ultimo atto, parte del pubblico e molti abbonati hanno lanciato nell'aere alcuni fischi intercalati dalle grida di: basta dell'Aida. Colla piccola ma significante dimostrazione di ieri sera il pubblico, pur apprezzando il valore di tutti gli egregi interpreti, ha dimostrato di essere già assai stanco di queto secondo spettacolo. Questo per la cronaca. La solerte impresa acquieterà certamente questo lieve malumore degli abbonati mettendo in scena prestamente il promesso Ernani. Intanto per sabato è annunciata la penultima rappresentazione del Don Carlos col celebre Kashmann. Un bel teatro è quindi assicurato.
S.


"Gazzetta di Parma" del 9 febbraio 1890

Forse quella di ieri è stata la serata più brillante della stagione. Nei palchi un mondo di bellezze muliebri, tra cui, ammiratissime le signore Kaschmann e Leonardi; nei posti riservati, in platea pure una gran folla. Tuttavia, prima che si alzasse il sipario, era visibile una insolita agitazione anche per chi non aveva prestato orecchio ai discorsi che si facevano al caffé, dal barbiere e negli altri luoghi di pubblico ritrovo. Erano ciarle, pettegolezzi, che, usciti dalpalcoscenico, dalle quinte, narrati da un professore d'orchestra, esagerati da un corista, svisati da una comparsa avevano fatto presa in una parte del pubblico ed avevano generato una corrente di ostilità precisamente contro l'artista, che, fino allora, era stato fatto segno a dimostrazioni del più schietto entusiasmo. In che consistessero siffatte voci, io stesso non potrei ripetere, tante e così contraddicenti furono le versioni raccolte; che grado di veracità, di attendibilità avessero meno ancora. Sono le solite miserie dei piccoli centri, in cui si dà un'importanza straordinaria, eccezionale a tutto ciò che riguarda il teatro. L'accusa, però, che ho più di frequente sentita ripetere contro il Kashmann - perché era appunto contro questo insigne artista che era rivolto il malumore del pubblico - è che avesse ritardato l'andata in scena dell'Ernani, protestando un'indisposizione. Ora che il Kashmann, anche iersera, fosse nella pienezza, de' suoi mezzi, tutti hanno potuto convincersi, anche senza bisogno di constatare de visu che portava sul petto un vescicante. Se egli mostravasi renitente ad esporsi in un'opera nuova non già per un puerile capriccio di celebrità isterica, come s'andava da taluni dicendo; se egli, in ultimo, acconsentì a cantare, ciò fu per condiscendenza verso l'impresa e per non esporla a subire maggiori danni, obbligandola a tener chiuso il teatro, od a riprodurre uno spartito già completamente esaurito. Ma la verità - ché pure è sempre piana, semplice, naturale - non era conosciuta, o da ben pochi; mentre le ciarle dei pettegoli avevano fatto rapido corso. Ne avvenne che allorquando si presentò su la scena Kaschmann, sotto le spoglie di Carlo V s'intese in platea un zittio assai significante. Fu un lampo, perché la gran maggioranza del pubblico, tosto reagi con un lungo, fragorosissimo battimano. Era quella la manifestazione di un pubblico equo quanto intelligente, il quale giudica gli artisti man mano che si presentano a lui, senza badare a ciancie sciocche ed inutili, degli sfaccendati o dei malevoli. Tuttavia, l'inusitata accoglienza, unita ad una reale indisposizione, parve impressionasse sì fortemente il Kaschmann, il quale, durante il prim'atto, non pareva più lui. Egli, però, si rimise ben tosto ed in modo da prendersi una splendida rivincita. Quando Kaschmann ebbe cantato il famoso: "Lo vedremo, o veglio audace:" il padrone della situazione era ancora lui; il malumore di parte del pubblico - che, in fin de' conti, non era che una bouderie d'innamorati - si dileguò per incanto e non si videro che mani in alto per applaudire e bocche spalancate per acclamare. Appunto in questo pezzo il celebre artista si rivelò sotto un aspetto nuovo. Nel Don Carlo avevamo applaudito Kaschmann nel genere piuttosto patetico. Qui, invece, si rivelò artista pieno di fuoco e di forza, ottenendo sempre il risultato d'impressionare vivamente il pubblico. Il successo andò ancora aumentando alla romanza, che Kaschmann eseguì in modo adorabile e che il pubblico, ad ogni costo, volle riudire, per arrivare al punto culminante nel gran finale dell'atto terzo. Dopo il quale, il pubblico insistette a lungo per rivedere al proscenio il bravissimo artista, assieme a' suoi compagni. Un tal successo ha pure avuto la signora Negroni, la quale si presentava, per la prima volta su queste scene. La parte di Elvira è una delle più difficili dell'odierno repertorio, comeché richiede nell'artista che l'eseguisce forza, impeto ed una sufficiente agilità; cose che le artiste d'oggidì raramente accoppiano. Ma la sig. Negroni quantunque non abbia un volume straordinario di voce, s'è tratta d'impegno, assai applaudita tanto nell'adagio come nella cabaletta della sua aria specialmente nel terzetto finale, in unione al tenore Signorini ed al basso Beltramo; pezzo che suscitò immensi applausi. Il Signorini ha potuto fare sfoggio della magnifica sua voce, che, però, talvolta, come un cavallo di sangue, gli prende la mano. Ed il basso Beltramo s'è pure mostrato cantante serio, dotato di bei mezzi vocali. Del complesso dello spettacolo ci sarebbe molto a ridire. Evidentemente, di quest'opere, che passano per vecchie, s'è perduta, ormai, la tradizione. I giovani, avvezzi ad altra musica, non ci si raccapezzano più. E poi con gli spartiti di quel genere non si fan tanti complimenti. Si tira giù come vien viene, senza preoccuparsi se, per caso, non viene del tutto bene, oppure vien male a dirittura. Che ci si può fare? Convien pigliare il mondo come viene e dichiararsi paghi, anche quando, in fondo, non lo si è. Del resto, non dubito che, quetati gli animi, scomparse le apprensioni, dimenticati i malintesi, questa sera l'Ernani non solo affermerà, ma aumenterà il successo di ieri.


"Gazzetta di Parma" del 17 febbraio 1890

Iersera il pubblico, andato numerosissimo a teatro, ha avuto la brutta sorpresa d'apprendere che il cav. Kaschmann ed il tenore Signorini, per causa d'indisposizione, non potevano cantare e che sarebbero stati sostituiti, il primo dal Sammarco e l'altro dal Ghilardini. Tale annunzio indispose fortemente il pubblico, non contro il tenore Signorini, la cui indisposizione era stata annunciata fin dalla sera prima; ma contro il Kaschmann. Tutte le ciarle ed i pettegolezzi dei passati giorni, che procurarono all'insigne artista un principio di dimostrazione ostile, assieme a ciarle ed a pettegolezzi recenti, tosto riscaldarono la testa a buona parte del pubblico. Si diceva che l'indisposizione addotta dal cav. Kaschmann era un pretesto per non cantare e mettere così in imbarazzo l'impresa e fargli perdere una bella serata; che il Kaschmann aveva voluto usare uno sgarbo al pubblico e cento altre cose di simil genere. Perciò, quando si presentò su la scena il baritono Sammarco, fu accolto da grandi applausi e gli applausi fragorosissimi lo seguirono lungo tutta la rappresentazione. Anche tutti gli altri artisti, compreso il tenore Ghirlandini, furono sempre oggetto di dimostrazioni più che simpatiche; mentre, gli applausi erano intrammezzati da grida di: abbasso Kaschmann! E fin qui, avesse il pubblico torto o ragione, la dimostrazione s'era contenuta entro i limiti. Ma, invece, parte di esso non se.ne contentò e, non pensando che gli artisti, quando sono fuori dal teatro sono cittadini come tutti gli altri e, perciò, hanno il diritto di essere rispettati, e non pensando nemmeno che il cav. Kaschmann ha seco la moglie ed una tenera bambina, ai quali una dimostrazione inattesa ed a quell'ora, poteva essere cagione di grave spavento - come infatti accadde - alcune centinaia di persone si recarono, appena terminato lo spettacolo, davanti all'Albero del Leon d'oro - dove alloggiava il celebre artista, per farvi un rumorosissimo charivari. I fischi, gli urli, le grida di: "abbasso Kaschmann" ci fu persino uno che urlò: "abbasso il tedesco," non sapendo che Kaschmann è triestino e... renitente alla leva - durarono un pezzetto; quindi, avendo qualcuno dell'albergo assicurato che il Kaschmann non vi si trovava, qualcuno della folla pensò egli potesse essere in casa Baistrocchi, e senza pensar altro, la folla si portò davanti a detta casa; rinnovandovi la dimostrazione di prima. A questa sua seconda tappa, la dimostrazione che era sempre stata seguita da guardie e da delegati, i quali, molto prudentemente, si erano limitati ad esortare la calma e la tranquillità, ben vedendo che non era cosa da pigliarsi troppo sul serio; finalmente si sciolse. Francamente, in questo duplice charivari, mi pare scorgervi l'influenza della domenica di carnevale; un po' di vino bevuto; e, soprattutto, il bisogno di fare un po' di chiasso e di cagnara. Il carnevale, quest'anno, corre via piuttosto magramente; quindi l'indisposizione del Kaschmann offriva un pretesto di fare un po' d'allegro baccano e l'occasione non se la seno lasciata sfuggire. Tale la cronaca genuina dei fatti occorsi. Ma i lettori - massime quelli che non han preso parte a dimostrazioni di sorta - mi domanderanno: in fin de' conti Kaschmann era realmente ammalato? Ecco: io non sono medico e nemmeno figlio di medico, quindi non posso attenermi che a quanto hanno dichiarato i medici, i quali hanno visitato l'artista ed a ciò che dice lui stesso. Il cav. Kaschmann dice:
Trascorse le dodici rappresentazioni del Don Carlo, io non ne voleva sapere di cantare nell'Ernani mi era sopravvenuto un raffreddore, che mi toglieva l'uso di tutto i miei mezzi vocali. Tuttavia, cedendo alle sollecitazioni della commissione e dell'impresa, accettai di cantare per altre sei rappresentazioni. Tutti hanno potuto constatare che, alla prima rappresentazione dell'Ernani, non stavo bene in voce e che nemmeno nelle susseguenti le cose erano di molto migliorate. Cantare su un raffreddore - lo dicono tutti i cantanti - è esiziale per la voce. Bisogna dire che, per la mia beneficiata, mi sia affaticato e riscaldato più del solito o che nell'andare a casa abbia preso un po' di freddo, perché la mattina dopo, ero affatto giù di voce; aveva un senso d'oppressione alla gola e del catarro. Tuttavia, era tanto il mio desiderio di cantare e di salutare, per l'ultima volta il pubblico parmense che, pure avvisando l'impresa - dalla quale aveva già ricevuto la somma pattuita per ogni rappresentazione - dello stato in cui mi trovava, la pregai ad attendere fino alle 5 sperando, che, nel frattempo, le condizioni della mia gola sarebbero migliorate. Ma, persistendo, a quell'ora il primiero stato di cose, dichiarai non potere assolutamente cantare. Venne il prof. Jung - medico del teatro - il quale mi rilasciò un certificato, con cui dichiarava che la mia gola trovavasi in stato anormale; il dott. Canali, mio medico curante, testificò pure che, da parecchi giorni era raffreddato; perciò restituii le 800 lire ricevute dall'impresa credendo, in coscienza, di nulla avermi a rimproverare. E perché - soggiungeva il Kaschmann - avrei dovuto rifiutare di cantare, se realmente non fossi stato indisposto? Il pubblico mi ha accolto sempre bene; per la mia beneficiata ho ricevuto dimostrazioni lusinghiere assai, quelle 800 lire, finalmente, non son gran cosa; ma quando si possano guadagnare in due ore, sarebbe una minchioneria rinunziarvi.
Ecco, in breve, cosa ha detto l'illustre artista, quando andai, stanotte, dopo la dimostrazione, ad intervistarlo. In quanto a me, posso aggiungere che ho letto i certificati dei medici conformi a quanto l'artista ha dichiarato e che la voce di quest'ultimo, più che velata, appariva roca addirittura. Malgrado questo, fossi stato nei panni del Kaschmann - appunto per i precedenti che vi erano stati e per evitare l'accusa di artista bizzoso - mi sarei fatto portare su la scena, magari in portantina, dopo ben inteso, aver fatto spiegare al pubblico il perché ed il per come. E se il pubblico avesse disapprovato, il torto sarebbe stato interamente di quest'ultimo. In tal modo si sarebbe evitata una manifestazione ostile, tanto più spiacevole, in quanto che venne diretta ad un artista così valente. Purtroppo, gli artisti del merito del cavalier Kaschmann ci è dato avere troppo di rado. Fa quindi dispiacere che, proprio in ultimo, siano stati così violentemente spezzati quei vincoli di mutua simpatia, che dovrebbero sempre regnare tra un artista che ha toccato la celebrità ed un pubblico intelligente. Il racconto circostanziato ed imparziale degli avvenimenti teatrali di iersera, mi ha fatto perdere di vista la seconda edizione dell'Ernani. Ho già detto che gli esecutori tutti furono applauditissimi; e questo è l'essenziale. Tuttavia, non considero quella rappresentazione, nemmeno quale una prova generale. Il tenore Ghirlandini ed il baritono Sammarco, i quali sono andati in scena, senza aver mai, non solo provato, ma nemmeno precedentemente cantato l'Ernani, hanno fatto un tratto d'audacia veramente eccezionale. Il pubblico li ha ricompensati con una festosa accoglienza ed ha fatto benissimo; ma a giudicare serenamente del loro valore, riesce impossibile, nelle condizioni, in cui si sono esposti. Mi riserbo quindi a parlar di loro dopo una seconda rappresentazione, se, come pare, lo spettacolo tirerà innanzi fino a domenica prossima.
Z.

Stasera la brava e bella signora Emma Leonardi darà la sua serata d'onore coll'ultima definitiva rappresentazione dell'Aida. Oltre tutta l'opera l'egregia seratante canterà la romanza della Favorita: O mio Fernando. Speriamo che il pubblico vorrà accorrere numeroso stasera al teatro a festeggiare la brava artista. La rappresentazione a prezzi ridotti è compresa in abbonamento.


"Gazzetta di Parma" del 30 gennaio 1890

PARMA MUSICALE
Il nostro egregio concittadino signor A. Bersellini, attuale redattorecapo del Sole di Milano, pubblica sul Mondo artistico un interessante articolo su Parma musicale. Persuaso di fare cosa grata ai miei lettori lo ristampo integralmente.
"Una delle notizie artistiche accolte con vivo interesse da tutta l'arte, è stata certamente quella della nomina e della accettazione del maestro Faccio a direttore del R. Conservatorio di Parma. Faccio va a succedere a Bottesini, il quale, in breve volgere di tempo, aveva pur saputo col suo nome richiamare sopra l'antico istituto musicale di Parma l'attenzione generale. Parma, fra le città italiane, è una di quelle che sempre hà più brillato per l'attitudine e la passione per l'arte: la tradizione risale lontano ed è andata sempre più affermandosi. A Parma si potrà rinunziare a tutto, ma non al teatro; sarebbe una sollevazione generale. I parmigiani pel loro teatro Regio hanno una specie di venerazione: vecchi e giovani sono tutti concordi in questo, di non permettere che si rechi sfregio al loro maggior tempio dell'arte; guai a quell'artista che ciò non comprendesse e che credesse di andare sul palcoscenico del teatro Regio, come si va in uno dei tanti teatri di provincia. Feroce nella demolizione, il pubblico parmigiano è altrettanto espansivo nelle manifestazioni dell'entusiasmo: esso non bada niente affatto se un artista gli va con un nome noto o non noto; vuole giudicare di sua testa, colle proprie orecchie, senza ammettere né patrocini, né camorre esteriori. Così avviene che mentre non è senza panico che gli artisti affrontano quella temuta ribalta, non è pure senza soddisfazione. È che il pubblico parmense - così fiero e così spedito né suoi giudizi - ha un innato istinto musicale ed una cultura, ch'egli va continuamente arricchendo per mezzo del suo orecchio, cui nulla sfugge della musica che ode e che, guidato da un gusto altamente squisito, gli vale per affermare l'autorità del suo giudizio. Nella classe media, nella classe operaia in ispecie, la passione per la musica raggiunge la frenesia: la sera di spettacolo - quando vi ha qualche cosa d'importante - attorno a quel monumento imponente, che è il teatro Regio, la gente s'accalca, paga di potere afferrare, uscente dai finestroni, una frase musicale dell'orchestra, o una nota d'un cantante. Da un Santo Stefano all'altro, in certi caffé non si fa che parlare di teatri e di artisti: vi sono taluni che si possono qualificare come veri giornali teatrali ambulanti. Conoscono di nome e di fama tutti i cantanti, dal più celebre al più modestamente noto; vi sanno dire delle scritture, dei successi, del domicilio di ciascun di essi, come se si trattasse del più prossimo loro parente. Nel giudicare in generale, non adoprano i mezzi termini: o nella polvere, o sugli altari. Ma se lo mettono essi sugli altari, un artista c'è davvero. Tutto questo, che non è senza orgoglio, è però giustificato: Parma non ha avuto soltanto pel passato dei grandi spettacoli, ma ha dato all'arte e al teatro dei veramente celebri artisti. Se oggi il teatro Regio di Parma è uno dei più importanti teatri della Penisola; allora, sotto i governi ducali, era uno dei primissimi; Maria Luigia e Carlo III volevano che gareggiasse colla Scala, col San Carlo, ecc. ecc. Le opere più acclamate e i più rinomati artisti passavano per quel palcoscenico, che ogni teatro può invidiare. Alcune opere di Bellini e di Donizetti furono scritte espressamente per Parma, ed inoltre scrisse Gualtiero Sanelli, educato appunto nel Conservatorio di Parma, anima eletta per ispirazione e mente nutrita, ma troppo presto spenta. I vecchi rammentano ancora i di lui successi colla Luisa Strozzi e col Fornaretto. Da Ferdinando Paer, anch'egli parmigiano, si può dire ai nostri giorni, Parma è sempre andata ognor più affermando la sua spiccata caratteristica musicale; senza andar oltre, negli ultimi trent'anni Parma ha dato all'arte dei nomi rispettati: De Giovanni, Giovanni Rossi, Dall'Argine, Ferrarini, Usiglio, Bolzoni, Primo Bandini, Manlio Bavagnoli, senza poi contare gli artisti, fra i quali citeremo soltanto quelli che stabilironsi una celebrità: Ferri e Cosselli baritoni; Negrini, Calzolari, Naudin, Campanini, tenori. Ma venendo al Conservatorio, dobbiamo soggiungere ch'esso ha sempre dato specialmente un numerosissimo contingente di valorosi istrumentisti alle orchestre; le principali dei teatri d'Italia e dell'estero sono a farne fede: la stessa orchestra della Scala conta non pochi istrumentisti usciti dal Conservatorio di Parma. Il quale se ha avuto dei periodi splendidi, ne ha tuttavia avuto uno in cui quasi pareva più non mantenesse il suo antico prestigioso; quello che precedette la nomina a direttore del compianto Bottesini. Ora però nuovamente si risolleva - e crediamo che l'opera del Faccio varrà a dargli ancora maggiore rinomanza. Un artista come Faccio, giovane ancora, con una grande coltura, un grande ingegno e uno sterminato affetto per l'arte - potrà da Parma emanare un luminoso raggio d'arte e di gloria. Faccio troverà in quella cara città un pubblico, che gli sarà riconoscente per quanto egli farà onde darle maggiore lustro artistico; troverà dei patrizi che metteranno a sua disposizione e la loro influenza e occorrendo la loro borsa purché per l'arte si faccia; troverà nei professori, che da lui dovranno dipendere, degli amici, che coopereranno all'incremento dell'istituzione. Giulio Ferrarini, Pio Ferrari, artisti elettissimi, che onorano la loro città, per la quale spesero e spendono tanta parte della loro intelligenza, assieme ai loro colleghi, saranno altrettanti alleati di Faccio. Da rilevare ancora una altra persona egregia, per mente, per cuore, per servizi resi alla sua patria. Giovanni Mariotti, ha ora messo nel Conservatorio, che presiede, tutto il suo orgoglio; e che Verdi - il quale non può dimenticare che a pochi chilometri da Parma, giace il paese che lo vide nascere, - ha anch'egli rivolto la sua attenzione all'Istituto. Dunque è tutto un orizzonte nuovo e simpatico, che si para dinnanzi, è una nuova alba che sorge e a cui l'arte non può distogliere lo sguardo. Ed a quest'alba che sorge così bella e serena noi pure salutiamo."


"Gazzetta di Parma" del 4 gennaio 1890

Se l'Arte oggi veste grammaglia non la si deve rimproverare di cortigianeria. Giuliano Gayarre fu un principe delle scene; ma tutto il mondo civile si curvò piuttosto sotto il suo scettro; nessuno pensò mai a ribellarglisi. L'epiteto di divo che gl'impresari, esercitando il lenocinio del loro mestiere, appiccicano compiacentemente sui cartelloni a solletico di boriose celebrità; gli andava di pien diritto. In questo ventennio, altri tenori hanno potuto vantare potenza di polmoni, o duttilità di gola; nessuno più di Gayarre è riescito ad affascinare, ad estasiare il pubblico; nessuno ha fatto provare agli ascoltatori la voluttà di un canto che avvolgeva come in un'atmosfera paradisiaca tutta le loro persone e conquideva e rapiva le loro anime. Era nato a Gerona, in Spagna, da poverissimi genitori. Appassionatissimo per la musica, studiò in patria il canto, poi venne a Milano per perfezionarsi. Povero in canna e tapino più che mai, verso il 1870 accettò una scrittura di secondo tenore nell'opera l'Elixir d'amore pel teatro di Varese. Fortuna volle che il primo tenore, non essendo piaciuto, si decidesse per salvare la posizione, ad ammalarsi. La di lui parte fu offerta en dèsespoir de cause al Gayarre, il quale accettò e mandò in visibilio i varesini. Tuttavia il successo di Varese non l'aveva menato molto lontano. Egli era più che mai trito e privo di scritture, quando all'impresario G. B. Lasina, il quale doveva ammanire lo spettacolo di questo teatro regio pel carnevale 1870-71, venne la buona idea di scritturarlo e l'ebbe per un tozzo di pane. Il povero Gayarre era, allora, sì male in arnese, che l'impresario anticipò qualche fondo, affinché si potesse rimpannucciare e presentarsi alla piazza senza far troppo scomparire sè stesso e lui, l'impresario. In appresso, il Lasina vantava sempre, a proposito del tenore scovato tra la muta famelica che si aggira per le vie di Milano, il suo ottimo fiuto di can bracco; ma, francamente, credo egli fosse un orbo che aveva trovato un ferro di cavallo, in mezzo la via. La prevenzione del pubblico parmigiano per questo sconosciutissimo tra gli sconosciuti era, per verità, poco buona ed il malumore contro l'impresario e la commissione teatrale perché s'era formata una compagnia quasi tutta di esordienti - oltre il Gayarre erano stati scritturati la Conti-Foroni ed il baritono Bastianelli - non era poco. Venne il Santo Stefano. Si rappresentavano I lombardi a la prima crociata. Il prologo andò abbastanza bene. Il Bastianelli piacque piacque anche la Conti-Foroni ed il resto. Finalmente al rialzarsi del telone si presenta Gayarre per cantare la cavatina. Campassi cent'anni, ricorderò sempre quel momento. Mi trovavo nel palco n. 29 seconda fila con altri amici. Con noi era pure il compianto prof. Torrigiani, allora in tutta la vigoria della persona e della mente. Al modo con cui Gayarre declamò il breve recitativo, noi tutti aguzzammo le orecchie; ma quando a mezza voce o con un fare indifferente, come se facesse per celia, ebbe intonato: "La mia delizia infondere," ci guardammo in faccia trasognati: non potevamo credere nè ai nostri orecchi nè ai nostri occhi. Terminata quell'aria, il pubblico sembrava diventato matto. Un'esplosione di entusiasmo simile non ricordo aver mai visto. - Ragazzi miei - disse il prof. Torrigiani - è un pezzo che non si è sentito un artista eguale; ma state certi che si starà ancora di più senza sentirne un altro. Dopo i Lombardi vennero eseguiti il Ballo in Maschera ed il Rigoletto, con sempre crescente successo. Bisognava sentire con che chic Gayarre cantava "la donna è mobile" e diceva il "bella figlia dell'amore"! La primavera seguente, essendo impresaria la famiglia teatrale, si diedero una dozzina di rappresentazioni di Ruy-Blas, pure con Gayarre, scritturato per 1500 lire. Anche qui, fu un successo enorme, folle. Il carnevale dopo, Gayarre entrava trionfalmente alla Scala. La carriera teatrale di Gayarre, fu una sequela di trionfi colossali inauditi, riportati in tutti i maggiori teatri d'Europa - in America non volle mai andare, quantunque avesse avuto delle offerte da far strabiliare. Ovunque egli si presentò e sotto qualunque spoglia egli sapeva far delirare il pubblico. Il suo repertorio era svariatissimo: Favorita, Ugonotti, Africana, Lohengrin, Tannhaüser, ecc., ma era specialmente nelle opere di vecchio repertorio, in cui i cantanti devono proprio saper cantare - pretesa che, oramai, pare assurda - che il grande tenore eccelleva. Chi non ha sentito da lui lo "Spirto gentil" nella Favorita, non può concepire cosa sia celestialità di canto. Dodici giorni fa, circa, Gayarre cantava a Madrid i Pescatori di Perle. A metà della rappresentazione, egli si rivolge al pubblico e dice: "No puedo mas cantar!" Si ritira a casa assalito da gagliarda febbre; i medici constatano trattarsi di una polmonite, che ben presto diventa purulenta. La forte tempra del catalano lotta con la vigoria del male; questo, purtroppo, vince ed il grande tenore si spense l'altro giorno dopo straziante agonia. Sebbene non avesse mai riscosso le paghe fenomenali delle imprese americane e quantunque fosse d'animo generosissimo, Gayarre è morto assai ricco; più volte milionario. La sua fortuna, le adulazioni dei pubblici, non lo hanno mai fatto salire in superbia, né gli hanno procurato quegl'isterismi, per cui si rendono uggiosi tante altre celebrità della scena. Egli fu sempre un bon enfant, amico della celia e della compagnia allegra. Dopo alcuni anni dal suo debutto di Parma Gayarre non so perché - o, meglio, il perché credo di saperlo, ma non lo posso dire - capitò qui e la sua prima visita fu alla Gazzetta, dove egli ben sapeva di contare, più che degli ammiratori, degli amici. Era sempre allegro come un fringuello e più mattacchione che mai. Gli allori mietuti ed i danari intascati in copia allora allora nella sua Spagna, non lo avevano reso per nulla altezzoso. Diceva bene perfino de' suoi colleghi. Egli era veramente un'eletta natura di artista ed un carissimo uomo. Ora che egli è morto nel colmo della gloria e nella pienezza de' suoi mezzi vocali, di lui resterà solo il ricordo che lo colloca accanto ai nostri più grandi cantanti, dai quali aveva appreso l'arte sublime; sicché ben a ragione, quantunque straniero di nascita, noi lo consideravamo come una gloria nostrana.
Z.

 

 

"Gazzetta di Parma" del 26 dicembre 1890

LO SPETTACOLO AL REGIO

Il Teatro

La sala del Regio presentava lo stesso aspetto imponente della sera d'apertura. Popolatissimi i palchi; tutti occupati i posti riservati; pigiati come le acciughe gli spettatori in piedi; accatastati quelli del lubbione. L'impresa deve essersi fregata le mani, mirando tanto concorso. Però, se, domani lo vedrà diminuito, ne incolpi la porta della platea, che essendo rimasta aperta la maggior parte dello spettacolo, ha promosso tale corrente di aria, che un buon numero di spettatori non possono a meno d'essersi messi a letto con un reuma, od una buona costipazione. Per carità, si tenga chiusa quella maledettissima porta, altrimenti viene una moria. Del resto, ho chiamato imponente l'aspetto della sala, per la comodità di servirmi d'una frase fatta; anzi: di rito. Per verità, la folla non basta per costituire l'imponenza d'un teatro. Dal lato toilettes, si stava male parecchio; dal lato illuminazione peggio.

L'Opera

I pescatori di Perle fu messo in scena or non è molto tempo - e niente male, considerato il teatro - al Reynach. Si tratta, quindi, d'un'opera conosciuta e della quale ho già parlato. Convien dire che questo spartito non ci guadagni troppo a sentirlo perché l'effetto che mi ha prodotto questa riproduzione è forse stata meno buona della prima. E questo è pure il giudizio di tanti altri. E tiro via. L'esecuzione non è stata, certo, perfetta. C'era molto panico in palcoscenico; molta intolleranza nella sala. Credo che molte mende scompariranno in seguito. Il tenore Garulli è un tenore che sa veramente cantare; non ha grandi mezzi vocali; ma supplisce con una squisita interpretazione alle deficenze della gola ed in talune frasi, dette con sentimento e maestria, seppe farsi applaudire. Non tutto, però, gli riescì a seconda e il pubblico feroce non mancò di rimarcarlo. Qui a Parma, poi, si ha un deciso abborrimento per le note di falsetto; abborrimento che spinge fino alla frenesia. Questione di gusto. In certi caso, però, il pubblico ha torto. Come, per esempio, iersera. Il falsetto che il tenore emette alla fine della sua bella romanza, ci vuole; è scritto così; tutti i tenori lo eseguiscono così: Il pubblico parmigiano si dia, dunque, pazienza. Anche la sig. Garulli Bendazzi è una distinta artista, che ha buoni mezzi, molt'arte e molta intelligenza. Più volte essa seppe strappare all'accigliato pubblico, segni di approvazione; e questo è già molto. Sono persuaso che, in un altro spartito, la signora Garulli Bendazzi farà un'impressione molto maggiore. Un buon artista si è pur appalesato il baritono sig. Bacchetta che ha buoni mezzi; ma che mi pare schivi troppo le note di bravura. I cori e l'orchestra - quest'ultima sotto la direzione del m. Cialdini - sono andati assai bene. Francamente: quello di iersera - per quanto riguarda l'opera - fu un mezzo insuccesso. Ma non è detta ancora l'ultima parola. Questa sera tutto può accomodarsi per il meglio. Ciò spero ed auguro.

Il Ballo

In mezzo a quel pandemonio di mirre, di ballerine, di comparse, di tramagnini, di ragazzine, in mezzo a quell'avventurosa storia, gesticolate e ballata, di Sieba, storia lunga e ingarbugliata, fatta d'innumerevoli braccia e innumerevoli piedi, io - come molta parte del pubblico - sono stato ieri sera, sbigottito, stupefatto. Non si faccia quindi meraviglia, il lettore, se troverà questo mio resoconto imperfetto ed incompleto. Sieba incominciato fra gli applausi alle 11 finiva circa alle 12. Il successo di questo accreditato ballo è stato ieri sera un successo di ammirazione esplicatasi più con degli ah e degli oh che non con dei bravi battimani. Il brio della musica, la varietà dei quadri e, soprattutto, l'attezza d'ogni filosofia coreografica, e d'ogni accenno di coreaografia storica rendono dilettevole codesto ballo che da parecchi anni fa il giro del mondo. Il primo quadro è piaciuto assai, anzi si è voluto subito un bis. I motivi plastici e pittoreschi del secondo, del quarto, del quinto e nono quadro, impressionano il pubblico e per lo sfarzo della messa in scena e per gli intrecci delle danze ordinate ed audaci. La tregenda infernale - però la cui musica buona per eleganza e spontaneità è stata scritta dal maestro Venami - piacerà molto di più quando la luce elettrica in palcoscenico e specialmente in questo quadro sia più ricca, più ordinata, più sicura. L'ultimo quadro ottenne un vero successo. La marcia ballabile finale è piaciuta moltissimo. L'impresa Speroni e Guastalla non hanno certamente fatto risparmi per l'allestimento di questo Sieba. Le scene del Giacopelli sono quasi tutte belle, alcune bellissime ricordano il fare del famoso Magnani. Ottimi i macchinismi, del che va data lode al bravo Fulgoni. Splendidi, ricchi sfarzosi i vestiari delle ballerine, delle comparse. L'esecuzione da parte del corpo danzante, buonissima buona assai anche per parte delle piccine. La prima ballerina Adele Mocchino interpreta sapientemente - per così dire - le difficili pirolette di Sieba. Il pubblico ieri sera l'applaudì assai, in ispecie dopo il passo a due fatto in unione al primo ballerino Gezzo. Piacque molto anche la esimia Faung de Lovino prima mima in pittoresco costume di re di Thule. Ma chi certo ieri sera meritò più di tutti gli applausi del pubblico è stato il riproduttore del ballo Giuseppe Cecchetti che ha saputo mettere amore, sentimento, passione nelle braccia delle mime, nei piedi delle ballerine e perfino nei piedi e nelle braccia delle comparse. E non scordiamoci neppure di nominare il bravo Eraclio Gerbella che ha diretto durante il ballo con molto slancio ed energia l'orchestra valente ed instancabile che ha trattato assai bene la musica spesso squisita, graziosa ed elegantissima e qualche volta anche rumorosa del cav. Romualdo Moremo. Concludo affermando che questa Sieba è per se solo uno spettacolo per il quale il pubblico può dire di spender bene i suoi quattrini. Unico inconveniente da lamentare in questo glorioso Sieba vi è la quasi mancanza di luce elettrica sul palcoscenico e per di più quella poca che vi è, è anche disposta male. Speriamo ed auguriamoci che si ovvii presto a questo malanno che toglie moltissimo effetto a moltissimi quadri. Tanto per finire ricorderò il ballo Sieba fu rappresentato per la prima volta in Italia al teatro Regio di Torino dove ottenne un successo splendido e clamoroso. Anima di tutto lo spettacolo fu il noto agente teatrale milanese cav. Giuseppe Bonola, che io qui ringrazio, perché devo a lui il seguente aneddoto inedito intorno a questo ballo del Manzotti. Quando lo Sieba fu rappresentato nel 1880 al teatro Belcour di Lione, tre impresari francesi De Plunket, Bertrand e Cautin, ne rimasero così entusiasti che, unitisi in società con un capitale di 10 milioni, decisero di far fabbricare un teatro in Parigi per potervi rappresentare il ballo del Manzotti. Nel 1881 questi stessi impresari si recarono a Milano per l'Excelsior. L'entusiasmo crebbe. Di ritorno in Parigi, misero in esecuzione il loro progetto. Dopo tre anni il teatro era innalzato e si chiamò Eden Théatre. Fu inaugurato coll'Excelsior che si rappresentò per 450 sere di seguito fruttando un guadagno netto di due milioni! Il Sieba fu dato dopo l'Excelsior. A Parigi si aggiunge la famosa ridda invernale che fece un chiasso indiavolato! È dunque dovuto a questo grandioso ballo del Manzotti, la costruzione del teatro parigino.
S.


"Gazzetta di Parma" del 27 dicembre 1890

Come mi sono augurato, la seconda rappresentazione dei Pescatori di Perle, nel suo complesso è proceduta molto meglio della prima. Molte incertezze sono scomparse; gli animi si sono più rinfrancati; il pubblico ha smesso quel suo terribile broncio e s'è mostrato più umano e più giusto. Il tenore Garulli ha saputo prendersi una bella rinvicita. Egli, in omaggio al gusto del pubblico, ha omesso le note in falsetto; ha evitato, insomma, gli scogli contro i quali s'era urtato giovedì sera e s'è, perciò, fatto applaudire dal principio alla fine dell'opera. Dopo il prim'atto, il pubblico l'ha chiamato al proscenio in unione alla prima donna; alla quale toccarono pure molti applausi lungo la rappresentazione. Il baritono Bacchetta è piaciuto anch'egli, più della prima sera. Ha buona voce e la sua parte, di poche risorse, l'eseguisce commendevolmente. Fu applaudito nel duetto col tenore nel prim'atto e nella sua romanza. Intanto l'Impresa vuole spingere a tutto vapore l'andata in scena della Cavalleria rusticana. E credo questo sia buon suggerimento. Sarebbe una cattiva speculazione quella di stancare il pubblico con troppe rappresentazioni successive dei Pescatori; opera, a mio modesto avviso, di scarsa vitalità; massime in un ambiente, com'è il nostro Regio. Né penso che la Carmen sia stata una felice sostituzione all'indigesto Freischütz. La Carmen è stata troppo sfruttata a Parma. Senza parlare della prima edizione col Campanini, la Bonheur, Del Puente, ecc. anche al Reynach venne data per poche sere è vero, ma abbastanza bene. Il pubblico si è sazio e vorrebbe dell'altro. L'impresa e la Commissione ci devono seriamente pensare e sono persuaso che se si venisse fuori con un buon progetto, il pubblico si metterebbe sempre più su la via del buonumore. Perché il segreto della riescita d'una stagione sta qui: mantenere il pubblico di buon umore. Tutto il resto viene in seconda linea.
Z.


"Gazzetta di Parma" del 2 gennaio 1891

Continuano al Regio, con il solito successo, le rappresentazioni dei Pescatori di perle e del ballo Sieba. Nell'opera del Bizet il bravo tenore Garulli è divenuto il prediletto del nostro pubblico che ammira e applaude in lui l'artista dalla voce calda, vibrata, simpatica, dal canto dolce, insinuante e passionale. Anche ieri sera egli dovette ripetere fra incessanti applausi la deliziosa romanza dell'atto primo che egli canta con anima e con sentimento, sfoggiando alla fine alcuni acuti limpidi, squillanti, purissimi. Bene ancora tutti gli altri. L'orchestra ottima sempre sotto la direzione del valente cav. Gialdino Cialdini. Pure il ballo Sieba ottiene seralmente un grande successo d'applausi, d'ammirazione e di grida all'indirizzo di tutto il corpo danzante compresa la simpatica prima ballerina Albina Mocchino. Quelle brave ragazzine, poi così bene istruite, così intelligenti e così carine sollevano ad ogni passo che fanno delle meritate ovazioni. In complesso, ripetiamo, lo spettacolo attuale del nostro Regio è tale, quale raramente è dato di avere in teatri di provincia, e merita quindi l'incondizionato favore del pubblico. Ieri sera - primo dell'anno - il teatro era affollatissimo, splendido per numero di signore. Tutte le più note, eleganti e belle signore e signorine di Parma nostra si erano fatte un dovere di non mancare allo spettacolo e mettevano nella severità del Regio quella nota gentile che accompagna ovunque l'eterno femminino. Per comodo dei nostri lettori di provincia ricordiamo ed annunciamo che nelle sere di sabato 3, domenica 4, martedì 6, avrà luogo lo stesso spettacolo cioè Pescatori di Perle e Sieba. Giovedì sera poi salvo i soliti casi imprevisti prima rappresentazione della tanto decantata e famosa Cavalleria Rusticana. È ormai certo che per terz'opra della stagione, invece dell'annunciata Carmen, l'Impresa allestirà un Mefistofele che promette s'in d'ora d'essere un ottimo spettacolo. L'opera del Boito che tanti grati ricordi ha lasciato in Parma sarà interpretata da una compagnia di canto totalmente nuova. Gli artisti scritturati sono la Valentinà Mendioroz un soprano di fama assodata che viene a noi reduce dai trionfi suscitati al teatro Reale di Madrid nello stesso Mefistofele, il basso De Bengardi, un'artista molto conosciuto nel mondo teatrale, e il tenore Miiller che anch'esso gode buon nome. La scelta dello spartito non poteva essere migliore e se l'esecuzione corrisponderà alle speranze che si nutrono l'Impresa, non avrà certo a dolersi dei sacrifici che è costretta a fare per allestire questo terzo spettacolo, giacché il favore del pubblico non le mancherà certo. La Commissione teatrale e per essa il presidente marchese di Soragna che aveva subordinata la rappresentazione del Mefistofele all'accettazione della compagnia di canto per parte del Boito, ad un telegramma inviato a questi, - telegramma contenente i nomi degli artisti futuri esecutori dello spartito boitiano - l'illustre maestro rispondeva pure telegraficamente al Presidente della Commissione teatrale marchese di Soragna in questi precisi termini: Approvo pienamente gli esecutori proposti e ringrazio lei pel suo cortese annunzio. La competenza dell'illustre Boito è fuori discussione e noi, dinnanzi a tanta autorità, deponiamo la penna plaudendo alla coraggiosa impresa per la scelta dell'opera e degli artisti, ed augurandoci che presto sia messo in scena il melodramma bellissimo del celebre direttore del nostro Conservatorio.
S.


"L'Onorevole Sugaman" del 3 gennaio 1891

Sparite quasi completamente le incertezze, inevitabili del resto, della première, lo spettacolo d'opera del nostro Regio procede ora in modo soddisfacente e lo prova il concorso del pubblico sempre numeroso e gli applausi spesse fiate entusiastici. Il sig. Garulli cav. Alfonso, lasciato da parte il troppo manifesto panico della prima sera, si mostrò, nelle successive rappresentazioni, artista provetto quale la fama ce lo aveva annunciato. Egli ha voce bella, pastosa, che sa modulare con grazia e agilità. Fatto segno ogni sera alla più festosa accoglienza, si è ora conquistata la piena simpatia del pubblico. Con lui riscuote applausi la gentile sua Signora Ernestina Bendazzi Garulli. Il baritono Bacchetta, già meritatamente conosciuto dal nostro pubblico, che già altre volte l'ebbe ad applaudire, ha voce robusta e buon metodo di canto. Egli nella lunga e pur tanto sacrificata sua parte, sa scuotere il pubblico che gli prodiga ogni sera molti e meritati applausi specie dopo la sua romanza del 3. atto. Bene anche il basso Cromberg. Eccellente poi l'orchestra, diretta dal valente maestro Gialdini e i cori istruiti dal bravo Eraclio Gerbella. Il ballo Sieba, messo in scena con sfarzo, ha incontrato la piena soddisfazione del pubblico. L'ottimo coreografo Sig. Cecchetti è tutte le sere chiamato al proscenio e applausi immensi vengono tributati a lui e alla brava copia Mochino Albina e Rizzo Giovanni e all'intero corpo danzante. Splendide poi sono le scene dipinte dal nostro Giacopelli che pure venne più volte chiamato al proscenio. Le prove della Cavalleria Rusticana procedono alacramente. È probabile ch'essa vada in scena il prossimo Mercoledì. L'impresa poi, aderendo al desiderio di molti abbonati, è venuta nella determinazione di sostituire alla Carmen, il Mefistofele. Gli interpreti di questo spartito saranno la Signorina Mendioroz, i Sig. Muller e De-Bengardi, nomi meritatamente conosciuti in arte. Noi applaudiamo di cuore a questa determinazione, mentre segnaliamo alla pubblica lode i nomi degli impresarii Sig. Speroni e Guastalla che nulla trascurano per soddisfare, nel miglior modo possibile, i desideri del pubblico.
Ele


"Gazzetta di Parma" del 11 gennaio 1891

LA "CAVALLERIA RUSTICANA" A PARMA
Non mi si venga a dire che questo è il secolo de' bottegai; l'epoca della prosaccia volgare. Quando penso che, in passato, i giovani maestri dovevano dare al mondo dei veri capolavori prima di raggiungere, non dico la celebrità; ma soltanto la notorietà; ed intanto campavano la vita meschinamente, lavorando come cani, e leticando il magro pranzo con una più magra cena; non può a meno di ammirare l'età presente, tanto calunniata, che d'acchito dà la celebrità ad un esordiente, ieri affatto ignorato e con la celebrità, un'agiatezza che promette di diventare una ricchezza e lo sazia - e speriamo non lo guasti - con apoteosi solo concesse ai sommi. Non disprezziamoci dunque, noi alla generazione del morente secolo XIX; ma, senza ombra di vanteria, proclamiamo altamente, perché è la verità, che siamo la gran brava e la gran buona gente. Soprattutto, buona. A meno che il m. Mascagni non appartenga alla fortunata categoria di que' pochi, che nascono, come si suol dire, con la cuffia e che le circostanze, più che altro, aiutano a salire rapidamente. Il m. Mascagni è venuto sulla scena prima e principale fortuna - in buon punto. Da tanti anni si amministra al buon pubblico sì forte dosi di oppiacci musicali; i suoi tutori estetici gli hanno talmente intronato le orecchie che, per sembrare civile ed intelligente, bisogna egli si assogetti ad annoiarsi con dignità e lasciarsi disarticolare le mascelle, dottamente sbadigliando; gli avevano infarcito il cervello con tante astruserie pesanti e vuote nella loro assordante rimbombanza; che quando s'è presentato un giovane capace d'azzeccare qualche idea, d'inventare qualche frase, larga, calda, ispirata per una subitanea e infrenabile reazione, il pubblico ha gridato: ecco il Messia, ecco il genio! E come avviene quasi sempre delle reazioni, quantunque giustificate, anche questa volta, s'è oltrepassato di parecchio il segno. Mi spiace non pensare come la generalità del pubblico; so che avrò contro di me gli arcigni Minossi dell'arte e della critica, i quali hanno preso sotto le loro ali protettrici - non badando alla coerenza - il Mascagni; ma a me lo dico chiaro e netto - a me sembra che tutto questo entusiasmo per la Cavalleria rusticana sia una solenne gonfiatura. Lo accetterei e, magari, vi parteciperei, se esso significasse solamente protesta alle alte, sublimi noiosità, alle pretensiose malensagini, con cui, da tempo, ci seccano a morte; come affermazione che il gusto popolare è per il ritorno alla musica dal canto ispirato dalla frase quadrata; ma basta lì. Quando s'è additato il m. Mascagni come il futuro continuatore delle glorie italiane, come il legittimo successore di Verdi, più che una bestemmia, s'è detta una baggianata. Quel giovine maestro ha scritto - non lo si dimentichi - un'opera d'un solo atto, che dura poco più d'un'ora e dove sono tre o quattro pezzi belli, sentiti; ma - a mio debole avviso - non certamente tali da potersi dire che hanno il suggello del genio, né meritevoli di fare andare tutti i pubblici d'Italia in visibilio. Il racconto di Santuzza il duetto tra Santuzza e Turiddu l'addio di Turiddu sono pezzi felicemente indovinati dove c'è colore ed inspirazione. Una dolce melodia è pure nell'intermezzo sinfonico e che affidata agl'istrumenti d'arco produce un effetto sicuro. E bello pure - sebbene, per ineguaglianza dei cori, non lo sia potuto apprezzare interamente - è il pezzo concertato. il restante è roba più o meno comune - compreso il brindisi anzi qualche punto, come il duetto tra Santuzza ed Alfio, m'è sembrato bruttino anzichenò. Un'altra fortuna del maestro Mascagni è d'essersi imbattuto - cosa straordinaria - in un libretto, che, nel suo genere, è tutto quanto di bello si possa immaginare. S'è detto che, nel successo della Cavalleria Rusticana, il merito spettava, per una metà, al Verga, dal dramma del quale s'è tratto il libretto. Quello che ha detto così, se ha peccato di parzialità, lo ha fatto, forse, in favore del Mascagni. Cosa dovrebbesi concludere? Che il maestro Mascagni ha mostrato, con quel suo piccolo lavoro, di possedere moltissima disposizione quale operettista; d'avere una vena melodica abbastanza larga e, soprattutto d'aver intuito che il gusto del pubblico è per il ritorno alle forme piane ed alla melodia ritmica. E di questo, proprio, gli va data lode. Ma, prima di dedicargli le apoteosi, di proclamarlo un genio, conviene darsi pazienza ed attendere che abbia scritto altri due, o tre spartiti in più atti, su libretti che non escano dal comune, siccome avviene alla maggior parte dei maestri. Altrimenti, i pubblici lasciandosi sedurre dalle critiche interessate e farabolane e trascinare dalla claques, perderanno il diritto a quella rispettabilità e serietà, a cui mira ogni pubblico onestamente imparziale, e forse correranno il rischio di sciupare un giovane maestro, che ha dato prova di possedere un promettente talento. Ed ora vengo alla cronaca imparziale della serata. C'era un pubblico imponente ed attentissimo. Cinque minuti prima che si alzasse il sipario tutti erano al loro posto. Era proprio il pubblico delle grandi occasioni. Il preludio è ascoltato attentamente; ma passa in silenzio. Alla fine s'odono soltanto due o tre: bravo! Piace molto la siciliana, cantata bene; ma non benissimo dal bravo Garulli. Una parte del pubblico domanda il bis che è tosto concesso. La seconda volta, il Garulli canta molto meglio e gli applausi diventano generali. Il tenore viene alla ribalta a ringraziare. Il coro seguente passa freddo. Un grande successo ottiene la seconda parte della scena seguente, tra Lucia e Santuzza. La signora Garulli si rivela una vera artista. Se i suoi mezzi vocali non sono potenti, sono tuttavia, sufficienti. Alcune frasi le accentua con una grazia, con una passione e, soprattutto, con tanta verità che di più non si potrebbe desiderare. La signora Garulli riceve un applauso lungo, calorosissimo e meritamente. La signora Alberti nella particina di Lucia - parte senza risorse - fa pure benino e mostra di possedere un buon organo vocale. La canzona di Alfio è accolta in perfetto silenzio. Il baritono Bacchetta ha, evidentemente buoni mezzi; ma non cava effetto maggiore che abbiano saputo ottenere altri, nella stessa parte. Il concertato è pure accolto in silenzio. Qui l'effetto come dissi più su - non è ottenuto, causa l'ineguaglianza nella potenza vocale delle varie parti dei cori. All'unissono le voci che dovrebbero venire dalla chiesa sono soffocate da quelle che si sentono su la scena. Il duetto tra Santuzza e Turiddu segna il punto culminante del successo ottenuto nella serata. I coniugi Garulli gareggiano di bravura. Si chiede il bis che è accordato. Gli artisti sono acclamatissimi. Lola - signora Baus - disimpegna pure bene la propria parte. Applauditissimo e ripetuto l'intermezzo sinfonico. Il pubblico festeggia calorosamente il m. cav. Gialdini, che si dimostra, qual è ritenuto in tutta Italia, direttore valentissimo. Nuovi applausi, ma senza entusiasmo al brindisi. L'addio di Turriddu alla madre è salutato con fragorosi applausi e una chiamata al proscenio. Il dramma quindi si svolge con fulminea rapidità. Ed è dramma soltanto parlato. Con tutto ciò, il pubblico è attratto e soggiogato. Al calar della scena scoppiano nuovi e calorosissimi applausi. I coniugi Garulli, unitamente al direttore Gialdini, sono chiamati cinque o sei volte all'onore del proscenio. Ed un'altra fortuna è pure toccata al m. Mascagni: quella che il suo lavoro venne finora interpretato da artisti coscienziosi e di vaglia. E l'esecuzione di Parma è pure tale che se l'autore verrà ad essistervi, non potrà a meno di proclamarsene altamente soddisfatto. Tutto è andato egregiamente. I due principali esecutori eccellenti; gli altri bene; l'orchestra, diretta da un'artista di merito, benissimo; i cori - se si tien conto delle difficoltà che ebbero a superare e se si pensa che quasi dappertutto, anche alla Scala, andarono malissimo; non se la sono cavata troppo male. Il pubblico, poi, contentone come una pasqua. Perché, dunque, dovrei essere malcontento io? Ma nemmeno per sogno. Applaudo, anzi con tutta la forza delle mie mani. Domani, il mio collega, che mi sostituisce, vi saprà dire, o lettori, come è andata stasera.
Z.


"Gazzetta di Parma" del 12 gennaio 1891

Anche ieri sera al Regio, teatro imponente, splendido per numero e qualità di pubblico. Molti forestieri e molte notabilità artistiche. Notato in una poltroncina il maestro barone Alberto Franchetti, l'autore di quell'Asrael che si rappresenta ora con tanto successo al Regio di Torino e che, chi sa, quando sarà dato a noi di applaudire. Era accompagnato dalla sua signora - una bellissima e distinta figura di donna. Notata pure in un'altra poltrona la nostra concittadina Adalgisa Gabbi fiorente come sempre di gioventù e di bellezza. Non ritornerò - almeno per oggi - sulla musica di questa Cavalleria. Dirò per altro che alla seconda rappresentazione non si è più verificato l'alto entusiasmo della prima. Non più quattro, ma tre i pezzi ripetuti: la stretta finale del duetto fra Santuzza e Turiddu, l'intermezzo sinfonico e l'addio di Turiddu alla madre; quest'ultimo un pezzo nuovo di cui sabato sera non si fece il bis. Passò sotto silenzio invece il preludio. Nel racconto di Santuzza che è indubbiamente una fra le più belle pagine dell'opera e in cui è da notare la drammaticissima frase: priva dell'onor mio rimango, piena della più straziante disperazione, la brava Bendazzi Garulli si fece assai applaudire. Alla fine dell'opera quattro chiamate agli artisti e al direttore Cialdini. In quanto all'esecuzione ripeterò quello che diceva ieri il nostro giornale: essa è buonissima sotto tutti i rapporti. La Bendazzi Garulli - nella bella figura siciliana di Santuzza - ha cantato anche ieri sera - quantunque visibilmente indisposta - con tutto l'impegno e con tutta l'arte sua di artista elettissima. Ha dovuto ripetere in unione al tenore la stretta finale del duetto. Anche il Garulli ha cantato, se è possibile, meglio della prima sera, con voce fresca e sicura, con arte grande e potente. Il pubblico lo ha acclamato più volte e gli ha fatto replicare l'addio alla madre. È un Turiddu perfetto in ogni gesto, in ogni atteggiamento, in ogni inflessione di voce. Ottimamente tutti gli altri. Abbastanza bene i cori. L'orchestra, guidata dal maestro Cialdini con un calore straordinario, s'è data all'esecuzione di Cavalleria Rusticana come ad un sacro dovere e l'ha perfettamente adempiuto. Non si potrebbe suonare con più anima, con più vita tutta l'opera. L'intermezzo sinfonico, con l'intreccio dell'orchestra con l'organo fu eseguito anche ieri sera meravigliosamente e ripeto - davvero - per generale richiesta. E giacché parliamo dell'orchestra e del suo direttore, ecco il telegramma che Pietro Mascagni ha indirizzato al Cav. Gialdini dopo la prima rappresentazione di questa sua Cavalleria a Parma:
"Attribuisco vostro talento, vostra coscienza artista, esito trionfale Cavalleria. Pregovi esprimere gratitudine coniugi Garulli, orchestra, artisti, masse, tutti. Saluti affettuosi
MASCAGNI

E bene a ragione e giustamente Pietro Mascagni può dichiararsi soddisfatto dell'esecuzione che dell'opera sua si da attualmente al nostro Regio. Solo ad un inconveniente però bisognerebbe provvedere. L'ultimo grido Hanno ammazzato compare Turiddu, colpa l'accento tutt'altro che drammatico con cui venne pronunciato e sabato e ieri sera, non ottiene l'effetto voluto. Si cerchi, se è possibile di rimediare. Stasera intanto avremo una serata popolare del solo ballo Sieba a prezzi ridotti a L. 1,00 l'ingresso, a L. 1,00 il posto riservato, (oltre l'ingresso). Si avverte il pubblico che in platea vi saranno libere sette file di posti. E non aggiungiamo altro perchè non vi è bisogno di soffietti per fare accorrere stasera della gente in teatro. Lo spettacolo si raccomanda da sè. Domani sera riposo. Mercoledì - giorno di S. Ilario - e giovedì ancora Cavalleria.


"On. Canela" del 17 gennaio 1891

DAL LUBION
Farò semplicemente la relazione della premiere della Cavalleria Rusticana per... la ragione semplicissima che non ho assistito che a quella; del resto, stando a quanto mi hanno detto i miei amici, le rappresentazioni che ne susseguirono non differiscono dalla prima che per essere venute dopo. Incomincio: alle otto e venticinque, prima che il generale Gialdino Gialdini - un vecchio e più volte decorato soldato dell'arte, - desse il comando dell'attacco, il pubblico impaziente aveva già intonato l'aria della fanfara della Cavalleria:
    Su gli scanni strapagati
    rosi siam dall'ansietà
    ma i franchett ch'abbiam sborsati
    chi doman ci renderà?...
Intanto il generale aveva comandato l'attacco e... subito si volle il bis dell'aria di Turiddu, la quale rimase talmente impressa nella zucca del colto pubblico che, più importuno dei soliti fiammiferai, all'uscire dal Teatro continuò a cantarellarla così:
    CANELA Ch'hai di latti la cartisa,
    la lingua lunga comu 'na camisa
    e bianca e russa comu 'na cirasa
    beato lu primu cu ti vasa
    qua nun t'affacci al chiosco di Paini
    e ti vendon per sol cinqui quattrini.
Il coro delle contadinelle e dei contadini, passa sotto silenzio. In compenso è acclamatissima l'aria di Santuzza e Mamma Lucia:
    Mamma Lucia, vi supplico piangendo,
    fate come Gesù a la smarrita pecorella ditemi per pietà, dov'è CANELLA?...
E qui bisogna aprire tanto di parentesi e dire che se tutte le tradite possedessero la "coquetterie" il sentimento e il cuore della signora Garulli - Bendazzi, non si verificherebbero davvero tali abbandoni luttuosi. La signora Garulli-Bendazzi che nei "Pescatori" non ci ha strappato un applauso, che ci ha lasciati impassibili, nella parte della tradita Santuzza, l'abbiamo caldamente, continuamente applaudita, - ci ha commossi, avrebbe commosso anche Turiddu... se Turiddu non avesse avuto ai piedi il suggeritore che gli andava ripetendo il continuo Tien duro!... Nessun applauso all'aria di Alfio e al relativo coro:
    La ferrovia aspettami
    le campanelle squillano
    de la Staziòn - Ehi là!
    Strillin gli elettori, impèri pur don Ciccio
    a me che cosa fa?...
                Coro
    Mestiere fortunato
    fare il deputato
    non dire mai un'acca
    e girar sempre a macca.
Vero entusiasmo al racconto di Santuzza e Lucia:
    Tu il sai, mamma, prima che fosse ancor venduto
    diceami che un CANELA m'avrebbe trattenuto:
    uscì, ma il perfido, senza un CANELA almen,
    Testeina, mi lasciò...
Ma qui il racconto di Santuzza è troncato dalle ovazioni entusiastiche e dalle grida di bis-bis che la signora Garulli concede gentilmente fa applausi maggiori. Nuovi e ripetuti applausi e richieste generali di bis (le più generali dell'opera, se facciamo astrazione dell'intermezzo) al duetto splendido tra Santuzza e Turiddu splendidamente cantato dai coniugi Garulli.
    - No, no, Turiddu, lasciami ancor posar CANELA sopra il mio cor...
    - Nol posso, CANELA, a me
    è indispensabil, per la mia fè.
Freddezza nella scena seguente, ed entusiasmo... entusiastico all'intermezzo che veramente entusiasma, e che è un mirabile accoppiamento di note in:
    zin - zon - zon - zin - zin - zin... zin - zin...
Nessun applauso - anzi, per essere più giusti, nessuna soddisfazione al brindisi:
    Viva il vino piemontese,
    non il naso torinese
    che dopo averlo già infiascato
    ci daran per candidato:
    Viva il vino che rallegra
    e non è una cingallegra
    come il detto bagolon
    che riavrem pr'il j' elezion.
Dove si ammira un altro punto culminante del fortunatissimo lavoro del Mascagni, è nell'addio di Turiddu alla madre che, squisitamente cantato dal Garulli, se ne vuole il bis.
    Mamma, io me ne andrò con Dio,
    ma se rispettato vuoi il desiderio mio,
    metter mi dei dentro la barella
    un figlio almeno del CANELLA e...
poco dopo cala la tela, per risollevarsi altre quattro volte e lasciare salutare al pubblico i valorosi soldati della "Cavalleria" e il non meno valoroso loro generale Gialdini. E... la sentenza su l'opera?... Ai posteri l'ardua risposta; la musica è bella, ma io sono condotto a questa conclusione che:
    il sor di Pasquirolo
    quando col suo Secolo
    spinse il libretto fuori
    pensò: la bella musica
    ingrassa gli editori,
    ché la "reclamme" fatale
    fa tanto esagerata
    che forza mi è concludere:
    Tutta non è mertata.


"Rigoletto, el gobet" del 18 gennaio 1891

Con quel ritardo al quale ci condanna la nostra condizione di ebdomadari, registriamo oggi, dopo aver a lungo parlato del libretto nell'ultimo nostro numero, il successo pieno, e in alcuni punti entusiastico che ha avuto sulle scene del nostro Regio - Cavalleria Rusticana - del Mascagni. E vorremmo parlarne a lungo e mostrare ad uno ad uno tutti i pregi di questo spartito tanto lodato e pur tanto combattuto dalla stampa, e confrontare quel poco di non troppo riescito e di trivialuccio col molto di buono, di bello, di originale cui è improntata questa bella pagina di musica italiana; ma non permettendocelo lo spazio ci limiteremo a dir qualcosa dell'esecuzione, meravigliosa e tale da cooperare in buona parte al successo. La Signora Ernestina Bendazzi-Garulli, (Santuzza) si è mostrata artista di talento non comune e attrice dalla scena drammatica efficacissima. Il fine e delicato gusto artistico ch'ella accoppia ad un canto melodioso, pieno di sentimento e di grazia ha commosso, entusiasmato tutti. Fatta segno alla più festosa accoglienza, è ogni sera costretta, tra le più vive acclamazioni, a bissare il racconto di Santuzza e il duetto con Turiddu. E Turiddu è il tenore, il bravo, l'eccellente Garulli che riveste il suo canto di tanta grazia e dolcezza da confermare pienamente il verdetto della fama che ce l'aveva annunciato quale artista grande, eccezionale. Egli colorisce il carattere di Turiddu in modo così fine ed elegante da procacciarsi scoppi di applausi vivissimi specie dopo l'addio alla madre. Un bravo carettiere, dall'azione corretta e dal canto robusto e bello è il baritono Bacchetta che interpretò con molta naturalezza il difficile carattere di Alfio mostrando una volta più quanto grande sia la sua valentia di distinto artista. Benissimo Lola, Sig. Baus, e Lucia Sig. Alberti. L'orchestra diretta dal valente maestro Sig. Gialdini si è mantenuta all'altezza della fama che gode. Molto buoni anche i cori, come sempre istruiti dal bravo nostro Gerbella. Il ballo Sieba continua a destare ogni sera il solito entusiasmo. Applausi continui al coreografo Sig. Cecchetti, alla brava coppia Mochino-Rizzo e all'intero corpo danzante. Piacque assai il nuovo passo a due, e procurò chiamate al proscenio, bis, e applausi alla brava, simpaticissima Signorina Mochino e all'egregio Rizzo. Nell'entrante settimana andrà in scena il Mefistofele, gli artisti chiamati ad interpretarlo sono la Sig. Valentina Mendioroz, appena reduce da Madrid, dove a quel teatro Reale, e nel Mefistofele aggiunse un nuovo trionfo ai molti acquistati in Italia, il Sig. Muller tenore, e De-Bengardi basso.
AUGURI AGLI ARTISTI E ALL'IMPRESA.
Sparafucile


"On. Canela" del 24 gennaio 1891

DAL LUBION
Come devo cominciare la mia relazione?... Per esser esatto, all'ebraica, e cioè... dalle ultime righe dalla relazione passata nelle quali avevo registrato i trionfi degli artisti. Ma repetita stufant quindi... quindi sarò telegrafico: Cavalleria rusticana continua piacere: Signora Garulli-Bendazzi continua raccogliere vere ovazioni: Tenore Garulli continua meritare larghi applausi; Baritono Bacchetta continua piacere: Impresari fortunati (beati loro!) continuano stropicciarsi le mani sull'aria
    Oh che bel mestiere
    fare l'impresario
    e aver tutte le sere
    cassa e cassetti
    ricolmi di biglietti
P.S. Il Mefistofele probabilmente, andrà in scena mercoledì. Stando agli on dit pare che la signora Valentina Mendioroz (Margherita) oltre sedurre Faust finirà per sedurre anche il pubblico. È quello che le auguro... giacché tra il pubblico qualche volta ci sono anch'io.


"Gazzetta di Parma" del 30 gennaio 1891

La cronaca della serata di ieri sarà breve, perché non è una cronaca lieta. Decisamente questa seconda edizione del Mefistofele di Boito ha fatto un capitombolo. Le ha nociuto il ricordo, ancora vivissimo, della prima edizione, che ebbe un esito trionfale. Né, per quel tanto che s'è potuto capire, in mezzo alla burrasca, che indebolisce i buoni e fa smarrire i deboli, pare che gli elementi che costituiscono il recente spettacolo, siano tali da reggersi, anche prescindendo da qualsiasi altro confronto. Chi s'è salvato dal naufragio - e meritatamente - è stato il m. Gialdini con la sua brava orchestra, che ebbe dei momenti assolutamente felicissimi. Il prologo fu un trionfo ed il finale, splendidissimo - di cui si volle la replica - procurò al m. Giardini applausi e chiamate, a cui partecipò il bravo m. Gerbella, direttore dei cori. Un'altra superstite è stata la sig. Mendioroz, una gentile artista, intelligentissima e che canta di eccellente scuola e con mezzi vocali, se non potenti, sufficienti e simpatici. Fu applaudita fragorosamente dopo l'aria della prigione e dopo la serenata del Sabba classico, nel qual ultimo pezzo anche la signorina Baus si trasse abbastanza bene d'impiccio. Negli altri pezzi, in cui non era sola, la signorina Mendioroz lottò valorosamente per non essere travolta nell'uragano, che s'andava scaricando sempre con maggiore violenza, e ci riuscì. È quindi naturale, che di lei non si possa recare un giudizio completo, assoluto. Un artista nuovo alle scene, su cui agisce, non può manifestarsi in tutta la pienezza del proprio talento, se il complesso dello spettacolo volge a ruina. Tanto più se l'artista è una giovine signorina, che, sebbene abbia calcato altre scene importanti, non può avere ancora fatto l'animo così impavido per contemplare serenamente la catastrofe che trovolge i suoi compagni. Ritengo, che rimesse al meglio le cose, la signorina Mendioroz non mancherà di ottenere in questo teatro successo eguale a quelli che già vanta nella sua breve carriera artistica. Degli altri esecutori del Mefistofele tacerò. È un riguardo che mi piace usare con gli sfortunati; e poi anche sarei un po' perplesso nel decidere se il pubblico, mostrandosi tanto severo, fu giusto sempre e con tutti. Credo che l'impresa non tenterà una seconda rappresentazione del Mefistofele con gli stessi elementi della prima; né che la Commissione, in ogni caso, lo permetterebbe. Sarebbe una grave imprudenza. Le cose si possono - a mio vedere - accomodare pel meglio, purché l'Impresa seriamente voglia. E deve volere, perché dopo l'esito tanto fortunato - sotto l'aspetto finanziario - delle precedenti rappresentazioni, il pubblico non tollererebbe - ed avrebbe ragione - delle meschine rappezzature. L'Impresa - lo dico chiaramente - ha avuto torto di fare troppo a fidanza su la sua buona stella, che, finora, non l'ha abbandonata. Anche la fortuna si stanca. E non di rado avviene, che, per troppo volere tirar la corda, s'arrischia di rimetterci il guadagnato. Stando alle voci che correvano, dopo lo spettacolo, pare che l'Impresa pensi appunto a rimediare al guaio. Si direbbe quasi, che prevedesse la catastrofe. Ho sentito, anzi, in proposito, fare dei nomi d'artisti, in surrogazione di quelli che vennero disapprovati. È inutile che ripeta que' nomi, dacché nulla vi può essere di positivo. Io, però, mi darò cura di stare alle vedette, per tenerne informati i lettori.
Z.


"L'on. Canela" del 5 febbraio 1891

MEFISTOFELE
È proprio vero, le istorie vecchie hanno sempre ragione!... Anche questa volta i pifferi di Montagna che andarono per suonare rimasero suonati... Cioè, Mefistofele che, per non disobbedire a Boito, si era messo una volta ancora a fischiare su tutto e su tutti, alla sua volta è rimasto fischiato, e come!... Sembrava la fiera di San Giuseppe... ciò che prova che molti si erano messo deliberatamente il fischietto in saccoccia... In ogni modo, pace eterna al povero diavolo, giacché dinnanzi alla maestà della morte cessa l'ira nemica e... le corone dei trionfatori al maestro Gialdini e alla signorina Valentina Mendioroz che, in mezzo a tanto sfacelo di, diavoli e cavalieri fu la sola che raccolse applausi calorosissimi, tanto più meritati quando si pensa che, giovedì sera, il pubblico sovrano si era addirittura messo in testa di fungere da Pubblico Ministero.


"Gazzetta di Parma" del 6 febbraio 1891

La seconda edizione del Mefistofele - in alcun punto corretta ed in alcun altro infinitamente migliorata - ha avuto un successo, in complesso, assai più lieto della prima. Questa volta, l'Impresa ha saputo far acquisto d'un artista, anzi: d'un grande artista. Il basso Tamburlini fin dal principio, ha prodotto una fortissima impressione sul pubblico ed il suo, durante tutto il corso dell'opera, fu un successo pieno, legittimo, trionfale. Egli ha una bellissima voce, potente negli acuti - talvolta persino baritonali - e ne' bassi. Come attore, è indiscutibile. Bisogna risalire molto nella cronaca del Regio, per trovare un basso, che al Tamburlini possa star del pari. Invece il tenore Nouvelli, che è venuto, qui per la prima volta, preceduto dalla fama di trionfi riportati in addietro, su le principali scene, non ha totalmente appagate le esigenze dell'esigentissimo pubblico. Egli ha sfoggiato una vera abilità per dissimulare le avarie della voce; in talune frasi, quando la tessitura, gli andava bene, ha mostrato gusto e talento; ma per quanto grande fosse il talento, le avarie si appalesavano pur sempre, ed il pubblico inesorabile non ha mancato di rilevarle, come lo ha pure applaudito in taluni pezzi. La signorina Mendioroz ha pienamente confermato il successo della prima sera; anzi: lo ha cresciuto. Liberatosi dal panico, inevitabile panico in una serata tanto burrascosa, ha sfoggiato i suoi mezzi, veramente belli nelle note acute, di un timbro deliziosamente argentino. La grazia e la gentilezza della sua avvenente persona valsero ad assodare le vive simpatie che destò al suo primo apparire. In complesso: applausi fragorosissimi e due chiamate a Tamburlini nel prologo; entusiasmo e bis pel finale del prologo. Applauditissimo e bissato il quartetto, e chiamate agli artisti. Applausi alla signorina Mendioroz dopo l'aria della prigione. Applausi grandissimi al finale del sabba classico. Ovazione e chiamate al Tamburlini nell'ultimo calar della tela.


"Gazzetta di Parma" del 24 dicembre 1890

IL CARNEVALE NEI TEATRI D'ITALIA
Diamo l'elenco degli spettacoli coi quali si aprirà la stagione del prossimo carnevale in diversi teatri d'Italia:
Ancona, Teatro Muse - Carmen
Arezzo, Teatro Petrarca - Faust
Bergamo, Teatro Riccardi - Foscari
Bologna, Teatro Brunetti - Foscari
Bologna Teatro Corso - Forza del destino
Brescia, Teatro Grande - Carmen
Camerino, Teatro Marchetti - Favorita
Cagliari, Teatro Cerruti - Ugonotti
Carrara, Teatro Animosi - Ebreo
Catanzaro, Teatro Comunale - Frà Diavolo
Città di Castello, - Frà Diavolo
Como, Teatro Sociale - Ernani
Crema, Teatro Sociale - Carmen
Cremona, Teatro Concordia - Mefistofole
Cuneo, Teatro Civico - Don Sebastiano
Empoli, Teatro Salvini - Faust
Faenza, Teatro Comunale - Lohengrin
Fermo, Teatro Comunale - Napoli di Carnevale
Ferrara, Teatro Comunale - Ugonotti
Firenze, Teatro Pagliano - Cavalleria rustic.
Forlì, Teatro Comunale - Forza del Destino
Genova, Teatro Carlo Felice - Amleto
Legnago, Teatro Sociale - Favorita
Lodi, Teatro Gaffurio - Mignon
Lucca, Teatro Pacini - Mignon
Mantova, Teatro Sociale - Otello
Messina, Teatro Vittorio Eman. - Amleto
Milano, Teatro della Scala - Cid
Milano, Teatro Dal Verme - Ballo Amor ed operette
Modena, Teatro Municipale - Carmen
Napoli, Teatro San Carlo - Gioconda
Napoli, Teatro Bellini - Faust
Novara, Teatro Coccia - Otello
Oneglia, Teatro Umberto - Rigoletto
Parma, Teatro Regio - Pescatori di Perle e Sieba
Pavia - Frà Diavolo
Pisa Teatro Nuovo - Salvator Rosa
Pistoja, Teatro Manzoni - Luisa Miller
Porto Maurizio, Teatro Cavour - Puritani
Prato, Teatro Metastasio - Frà Diavolo
Rimini, Teatro Vittorio Eman. - Frà Diavolo
Roma, Teatro Argentina - Africana
Saluzzo, Teatro Saluzzo - Favorita
S. Remo, Teatro Principe Amedeo - Ugonotti
Sassari, Politeama - Jone
Savona, Teatro Chiabrera - Carmen
Siena, Teatro Rozzi - Sonnambula
Sinigaglia, Teatro Fenice - Favorita
Spezia, Teatro Civico - Ballo in Maschera
Terni - Favorita
Torino, Teatro Regio - Asrael
Trieste, Teatro Comunale - Mefistofele
Venezia, Teatro Rossini - Forza del Destino
Vercelli, Teatro Civico - Bella fanciulla di Perth
Verona, Teatro Ristori - Puritani.


"Gazzetta di Parma" del 13 gennaio 1891

Pubblico assai di buon grado la seguente lettera che mi dirige l'egregio ing. Alberto Cugini. A questa lettera oggi non rispondo, perché me ne manca il tempo ed anche perché le proposte, in essa contenute, sono varie, complesse, importantissime e meritano diligente studio. È bene, intanto, che una discussione si faccia su questo interessantissimo argomento e perciò metto fin d'ora, un po' di spazio a disposizione di quelli che vorranno prender la parola in proposito.
Egregio sig. Direttore
Ieri sera mi è venuta un'idea, che io manifesto a Lei, perché ne tenga quel conto che merita. Mi è venuta nel palchetto al Regio, ove attendevo che i miei nervi e le mie arterie si calmassero dall'eccitamento cui li aveva spinti la musica drammatica e umana del Mascagni, vagando collo sguardo per l'ampia sala sfolgorante per la bellezza e l'eleganza delle nostre signore. Mentre l'immagine di Santuzza abbandonata e di compare Turiddu si dileguavano adagio dalla fantasia, pensavo che nella futura invernata il nostro massimo teatro sarà chiuso a doppio giro di chiave, e che sul palcoscenico in luogo delle ballerine del bravo Cecchetti danzeranno lietamente i topi. È inutile dissimularlo: nelle condizioni in cui oggi si trovano malauguratamente le finanze del Comune, la nostra amministrazione non può né deve proporre uno stanziamento per una dote teatrale; non entro nella questione di merito, perché allora avrei molte cose a dire, fra l'altro che le doti ai teatri fornite dalla cassa del Comune non sono niente affatto giustificate. Ma è anche inutile dissimularci che il parmigiano senza il suo Regio aperto nella stagione di Carnevale, senza lo spettacolo in musica per cui si appassiona e si interessa tanto, io non so comprenderlo. È vero che si fa sempre senza di ciò che non si ha; ma vi sono delle privazioni così dolorose, ad evitare le quali siamo disposti a tutto. Oggi, abbiamo dinnanzi a noi quasi un anno di tempo; non potremmo girare attorno lo sguardo e vedere se vi fosse qualche mezzo che ci permettesse il lusso dello spettacolo d'opera anche nel prossimo carnevale? Cerchiamolo, non aspettiamoci di aver l'acqua alla gola; non spaventiamoci delle difficoltà; l'impossibile non esiste che per le persone malate di corpo, o di spirito, ma non per noi che crediamo di essere sani nell'uno e nell'altro; per noi è una parola vana. Ispiriamoci a Milano, dove l'iniziativa dei cittadini ottiene ciò che Governo e Municipio e corpi costituiti non sono capaci di fare. Siamo poveretti, faremo il passo secondo la gamba, ma facciamo questo passo, non rimaniamo neghittosi col naso all'aria ad aspettare che la manna ci piova dal cielo. Il cielo di oggidì si è cambiato; non lascia piovere che acqua, neve, gragnuola e qualche volta dei fulmini che inceneriscono. Rammentiamo che Teatro aperto non vuol dire soltanto una soddisfazione dello spirito, un divertimento per gli occhi, del quale approfittano tutti i cittadini dalle poltroncine al loggione; ma vuol dire lavoro per le sarte, per le modiste; vuol dire affari d'oro per una quantità di negozianti; vuol dire un compenso per molti suonatori; vuol dire il pane per i coristi e per un numero grande di artigiani. Chi può fare il conto della somma di denaro che lo spettacolo leva dalle tasche di tutti e mette in circolazione? Aggiunga, ed Ella del resto queste cose è in grado di insegnarle a me, che i nostri signori e più ancora le nostre signore, se non avranno a Parma nessuna attrattiva se ne andranno a passare gli ultimi giorni di carnevale a Bologna, a Milano, a Roma, e siccome l'occasione fa l'uomo ladro, a Bologna, a Milano, a Roma piglieranno i cappellini, gli abiti, i guanti, gli oggetti di bigiotteria, i mobili, e tante altre cose, che avranno magari lo stesso merito di quelle di Parma, ma che dopo tutto avranno il pregio di venire di fuori. E tutte queste cose vogliono dire denari usciti da Parma per ritornarvi... quando suoneranno le trombe di Gerico, ma temo che allora sarà troppo tardi per rimediare alla generale bolletta. Ah! Lei cerca invano fra tante parole l'idea che le ho annunciato? Eccola finalmente. La Società di incoraggiamento alla agricoltura, industria e commercio, in un'epoca di tanti congressi di uomini seri si era fatta iniziatrice di un congresso di maschere italiane per questo carnevale, dimenticando che le maschere hanno perso del loro prestigio dal giorno in cui cominciarono a scimiottare gli uomini seri; questa riunione del buon umore obbligato dalle varie regioni italiane avrebbe portato seco altri divertimenti, a realizzare i quali sarebbe tosto necessario una discreta sommetta per cui si era chiesto, invano, il sussidio del Comune. Ora se la società vuole veramente incoraggiare l'industria e il commercio faccia delle due cose l'una; o destini le somme che aveva in preventivo a qualche divertimento a pagamento, nuovo, elegante e ben fatto, che possa attirare e interessare molto pubblico, e il provento di esso serva come nucleo della futura dote; oppure abbandoni l'idea di divertimenti di quest'anno e destini addirittura quella somma a tale uso. E uno! La Società orchestrale, la più interessata a che lo spettacolo al Regio abbia luogo, si faccia iniziatrice di buoni concerti per la quaresima, ciò che le sarà facile cogli ottimi elementi che si trovano a Parma, e il provento di essi venga aggiunto al nucleo formato dalla Società di incoraggiamento. E due! La Società dei commercianti e quella del Carnevale dell'oltre torrente, già confederate a quella di incoraggiamento, diano essi pure una somma. E quattro! Finalmente si formi un comitato di persone di capacità e di buon volere, che raccolga firme di cittadini, fra primi i palchettisti, obbligandoli per un anno ad una quota mensile. E cinque! Ma questo Comitato, formato di valori e di attività, cerchi, studi proponga qualche cosa di buono per la ventura primavera, che valga a fruttare altri quattrini alla dote raccogliticcia. Si rammenta, egregio Direttore, la Esposizione di arte antica tenuta nelle sale del Museo, undici o dodici anni or sono? Ebbene essa fruttò al Comitato di Provvedimento quasi tre mila lire nette da spesa. Coraggio, buona volontà, fede nelle vostre braccia e nella vostra testa, e riuscirete! Almeno io lo credo, purché questa mia opinione non sia un ricordo del soggiorno abbastanza lungo che ho fatto a Milano! Non raggiungeremo le trenta mila lire? Pazienza, ci accontenteremo di due opere in luogo di tre e un ballo. Sempre meglio un osso che un bastone. E poi questa può essere migliorata d'assai. Non ho finito. Vi è un'altra difficoltà. La commissione di vigilanza sui teatri può, se lo vuole, impedire che il Regio si apra nel venturo carnevale, se non vi è applicata la illuminazione elettrica; queste parole tradotte nel linguaggio che si parla alla cassa del Comune suoneranno circa venti mila lire. Si potrebbe forse superare anche questa difcoltà coll'eseguire l'impianto della illuminazione Edison sul palcoscenico e nelle corsie dei palchi, e in via provvisoria illuminare la sala e l'atrio con lampade ad arco, come si fece in occasione della riuscitissima festa degli studenti nel decorso maggio. La spesa sarebbe sensibilmente minore. Né è detto che qualche benemerito cittadino o istituto, come la Cassa di Risparmio, non potesse anticipare al comune la somma necessaria come prestito senza interessi. Reggio, se non m'inganno, in questo modo ha ottenuto una condotta di acqua potabile. E giacché, egregio Direttore, Ella è stata tanto cortese da leggere fin qui questa mia lettera, porti pazienza ancora un momento ma prepari, innanzi di continuare la lettura, le pietre per lapidarmi. A Lei si uniranno probabilmente i novanta centesimi dei lettori, perché ogni idea, Ella lo sa, deve avere i suoi martiri. I teatri esclusivamente a palchetti come sono tutti i più belli d'Italia non più di ieri, hanno fatto il loro tempo; oggi le esigenze nuove li vogliono a gallerie; maggiore quantità di persone può in tal modo approfittare dello spettacolo, e per lo spazio maggiore disponibile e per la minore spesa che si richiede per entrare in una galleria in confronto di quella necessaria per un palchetto. Ora io alzerei la mia mano sacrilega sulle pareti che dividono i palchetti di quarta fila per demolirle tutte e ricavarne una galleria cui si avrebbe ingresso col biglietto valevole per la platea e palchi; anzi ridurrei a galleria anche una parte del terzo ordine: certo che prima il Comune dovrebbe acquistare i pochi palchi che nell'ultimo ordine sono di proprietà privata, e pel terzo procedere magari a permute. In tal guisa verrebbero ad aumentare di molto gli introiti serali, perché potrebbero godere dello spettacolo molte famiglie, (tutte quelle che vanno ad occupare le gradinate del Politeama), che non possono approfittare delle poltrone, ma che non si sentono neppure di farsi schiacciare nella platea. Tutti i teatri delle grandi città, specialmente dell'estero, sono costrutti a palchi e gallerie. La distinzione e l'eleganza del teatro certamente ne soffre , ma d'altra parte? Democratizziamo le istituzioni perché non vogliamo democratizzare anche il teatro? Se Ella è giunta a leggermi fin qui, io Le manifesto i sensi della mia gratitudine.
Suo
Ing. ALBERTO CUGINI


"Gazzetta di Parma" del 17 gennaio 1891

LA DOTE TEATRALE
La questione della dote teatrale, opportunamente risollevata dall'egregio ing. Cugini, è importantissima per Parma, perché è questione di vita o di morte per la continuazione degli spettacoli al Regio, che tanto contribuiscono a mantenere quella tradizione artistica e signorile nello stesso tempo - sia pure in minime proporzioni - per cui la città nostra seguita a mantenersi in un rango superiore a tante altre città, magari più importanti per popolazione e ricchezza, e la rende soggiorno gradito ai non pochi forestieri, che qui hanno stabile o passeggiera dimora. È inutile nasconderlo. Parma nostra, per una serie di vicende non imputabili alla sua popolazione, è scaduta molto dal suo antico splendore. Essa si trova nelle condizioni di quelle famiglie nobili decadute, che furono costrette di privarsi, capo per capo, di quanto formava il loro lustro e ridursi in quello stato di semimiseria, che malamente dissimulano i residui di una doratura. Tolgasi oggi il teatro, domani la Corte d'Appello, posdomani l'Università, un altro giorno il Conservatorio di musica - danni che, purtroppo, ci sovrastano - e Parma assumerà l'importanza di una grossa borgata. Si dice e non senza apparenza di ragione: le famiglie, che, all'approssimarsi della ruina non sanno prendere coraggiosamente il loro partito e ritardano di mettersi sul piede modesto che comporta la stremata fortun, affretta no la ruina finale. Se non è più possibile la vita del signore, si faccia quella del laborioso operaio, che sarà sempre meglio che quella del pitocco. Ma è possibile applicare strettamente questa massima giustissima per una famiglia, ad una città? Ne ho i miei riveriti dubbi. L'ing. Cugini ha egregiamente accennato ai danni che, dalla chiusura del teatro, ne deriverebbe alla cittadinanza in generale e più specialmente alle non poche famiglie che sul teatro lucrano non poco e ne ritraggono giovamento. Verissimo. Il teatro è fonte di guadagno per molti. Buona parte dei denari della dote teatrale, restano tra noi e, per poco lo spettacolo sia discreto, colla venuta di forestieri, si compensa largamente a quanto i maggiori artisti riescono a' portar via. Si tratta, dunque, piuttosto d'un movimento, che non d'una sottrazione di capitali. Oltre di ciò, è positivo che i nostri spettacoli teatrali contribuiscono a trattenere tra le nostre mura le famiglie ricche indigene ed una quantità di altre famiglie agiate, non della città le quali, molto probabilmente, senza l'attrattiva del teatro avrebbero presa stanza altrove. Per mio conto, posso assicurare che già alcuni ricchi, nella possibilità che, l'anno prossimo, rimanga chiuso il teatro, pensano di passare l'inverno in altro luogo. La possibile emigrazione di famiglie ricche, non compensata, certo, dall'immigrazione periodica di centinaia di pezzenti, è un affare abbastanza serio e questo vuol essere considerato seriamente e senza preconcetti. Ciò m'impressiona assai più che non la sorte della così detta famiglia teatrale. Dico il vero. Mi sembra che questa benedetta famiglia non possa vantare troppe benemerenze verso il Regio. Il nostro teatro è stato per essa la mucca, ai capezzoli della quale si è attaccata senz'ombra di discrezione, magari fino a trarne sangue, quando non poteva più dar latte. La società orchestrale e la società dei coristi non hanno o non han mostrato d'avere, col fatto, alcun intendimento artistico; ma sebbene sembra abbiano per unico scopo la tutela degl'interessi particolari dei componenti di essa. E in siffatta tutela, non di rado, si è ecceduto. Quando penso che la società dei coristi impone alle varie imprese tutti i suoi membri, anche se vecchi e sfiatati e non permette si scritturino coristi all'infuori dei componenti di essa; non posso dire che in siffatta guisa si tutelino gl'interessi dell'arte, si sia gelosi del buon nome e delle tradizioni gloriose del nostro massimo teatro e si faciliti la messa in scena degli spettacoli. E mi limito ad accennare siffatte magagne, senza troppo addentrarmi nelle consuetudini del Regio; ma, per poco si abbia pratica del teatro, si comprende come, in proposito, molto ancora si potrebbe dire. Dunque, ritornando a capitolo, convengo coll'ing. Cugini, che la mancanza di una dote teatrale, compromette la possibilità di riaprire, con spettacoli soltanto decenti, il Regio, e che la chiusura di questo costituisce un danno materiale e morale, per la città nostra non indifferente. È una questione - lo ripeto - molto seria e che non vuol essere risolta a suono di frasi, di tirate rettoriche e di sentimentalismi fritti e rifritti. Sventuratamente, la questione della dote municipale è vulnerata, per non dire spacciata, dalle condizioni del bilancio municipale. E non è tanto la situazione critica, ma non disperata del bilancio, della quale si possono far forti gli oppugnatori della dote teatrale, per sostenerne la radiazione dalle linee del bilancio, quanto il fatto che l'amministrazione comunale è stata, quest'anno, costretta ad oltrepassare il limite della sovrimposta provinciale e comunale; il che, per legge, obbliga la radiazione di qualunque spesa facoltativa, siccome è appunto la dote teatrale. Quid agendum? Tener chiuso il teatro, o trovare, in qualche modo, un equivalente alla dote fornita, fin qui, dal municipio. L'ing. Cugini ha detto: la dote deve, ad ogni modo, costituirsi. Basta che la cittadinanza sia veramente compresa dei danni che si avrebbero tenendo chiuso il teatro e perciò voglia con risolutezza e bene inteso spirito di sacrificio, sopperirvi. E l'ing. Cugini addita come si dovrebbe procedere per racimolare la somma occorrente allo spettacolo. Io mi propongo di dare il mio rimessivo parere su le proposte del mio giovane ed egregio amico; ma siccome mi sono un po' troppo dilungato, lo farò in un altro numero.
Z.


"Gazzetta di Parma" del 23 gennaio 1891

Scorrendo l'altro giorno la Gazzetta Piemontese, ci cadde sotto gli occhi una corrispondenza da Parma, portante la relazione dell'esito e dell'esecuzione della Cavalleria Rusticana al nostro Regio. Parlando dell'esito questo anonimo corrispondente scrive: "I pezzi che piacquero maggiormente furono la Siciliana, il racconto di Santuzza e l'addio di Turiddu." O scusi, dove mette l'intermezzo sinfonico, e la stretta finale del duetto tra Santuzza e Turiddu, pezzi che costituirono e costituiscono il vero successo dell'opera? Ma andiamo avanti. Parlando dell'esecuzione questo veritiero corrispondente così giudica i due protagonisti: "La signora Ernestina Bendazzi-Garulli fu applaudita, sebbene la sua voce fosse alquanto affievolita dalla stanchezza, e il tenore Garulli parve un po' troppo affettato nell'usare certe sue note in falsetto". Ci pare che questa corrispondenza non abbia bisogno di commenti. E noi non ne facciamo. Solo a questo tale che scrive con tanta coscienza, ci permettiamo di dire: O voi non siete mai stato teatro e non avete quindi potuto assistere de visu alle grandi feste che il nostro pubblico intelligente tributa seralmente a questi due veri artisti, oppure per scrivere così, voi avuta una ragione speciale, una causa recondita! E cercando bene la causa recondita si trova: questo tale è stato a casa Garulli, ma non è stato troppo contento del modo con cui fu ricevuto. Anche nella Gazzetta Teatrale Italiana troviamo in una corrisponenza da Parma le linee seguenti: Ls signora Ernestina Bendazzi-Garulli parve deficiente nei mezzi vocali soverchiamente affettata nella scena. Il tenore Garulli canta bene, ma abusa troppo di certe su note in falsetto, che mal si adattano all'ampiezza del nostro teatro. "Migliore di tutti si mostrò baritono Bachetta, fornito di magnifica voce." Questa corrispondenza è firmata Roberto Fava, che s'assomiglia troppo a quella della Gazzetta Piemontese per non far dubitare che i due giornali abbiano per fedele, imparziale resocontista la stessa persona. Noi null'altro aggiungiamo del nostro. Lasciamo giudice il pubblico del come certi signori disimpegnino loro mandati!


"Onorevole Canela" del 14 febbraio 1891

AL TEATRO DELLE INDECENZE
Al Teatro delle indecenze (alias teatro Regio), dopo qualche giorno di titubanza, si è data e già esaurita la seconda edizione del Mefistofele: Gli altri giornali avendone già parlato a josa, dirò soltanto che il Tamburlini, un Mefistofele addirittura autentico, ebbe ovazioni entusiastiche, continue, e l'ammiratissima signorina Mendioroz applausi frequenti. Ma di questo, ripeto, i giornali hanno discorso; mi fermerò quindi su i do e le altre note che nessun giornale e nessun reporter ha registrato: Perché?... Per la ragione semplicissima che venivano dai palchi! I nostri complimenti... specialmente alla pudica Gazzetta che pel minimo strillo che venga dal loggione non ha fiato sufficiente per chiedere provvedimenti e misure radicali, mentre per le interruzioni e gli ululati aristocratici che, specialmente dacché canta il Nouvelli (e pourquoi?...) hanno convertito il nostro Teatro in una vera arca di Noé o in una fiera di S. Giuseppe, non s'è fatta ancora viva! I nostri mirallegro e ...i mirallegro anche ai signori della Questura! Affé mia, che val proprio la pena che l'Impresa lasci entrare a ufo mezzo battaglione di Benemeriti per vederli ammirare beatamente le belle signore come tanti pacifici borghesi che abbiano pagato i loro tre franchetti!...

 

 

"Gazzetta di Parma" del 12 dicembre 1891

Chi volesse narrare per filo e per segno la storia delle trattative per mettere insieme quel po' di spettacolo carnevalesco che ci è concesso sperare, metterebbe assieme un libro - un semplice opuscolo sarebbe troppo poco - gustoso assai. Metternich e Taillerand non faticarono meno al congresso di Vienna per pacificare l'Europa. Corrispondenze chilometriche telegrammi ai volumi, ambasciatori in titolo ed agenti secreti, informatori;. discussioni in pleunor e colloqui, misteriosi; insomma: tutto l'arsenale ed il ciarpame della diplomazia fu adoperato per condurre in porto la difficile opera. Ma è veramente in porto? Ecco, questo veramente non oserei affermare. Ho sentito tante volte affermare che tutto era combinato e che viceversa, tutto era andato a monte, che prima di garantire una cosa siffatta bisogna pensarci su due volte almeno. Dopo che l'ossatura dello spettacolo è stata fatta e rifatta una diecina di volte dopo che la compagnia artistica ha subito cento trasformazioni caleidoscopiche; rimanevi sempre la questione delle paghe ai professori d'orchestra. Un osso duro, perché l'impresa esigeva una grossa falcidia su le paghe degli altri anni; ciò che i professori non volevano concedere né punto né poco. Finalmente, tira di quà, tira di là, la faccenda sembrava accomodata, quando insorse la questione dell'arpa. Sissignori; questo dolcissimo strumento il cui suono aveva la virtù d'acchetare persino il furioso Saulle, per poco non produsse il patatrac. L'impesa voleva che all'arpa pensasse la società orchestrale; questa, che fra i suoi componenti non ha una arpista, non voleva saperne di scritturarne una. Si è questionato, tutta ieri, su tale proposito. Finalmente - a quanto mi fu riferito - pare che l'impresa cedesse su quest'ultimo punto. Se non che di arpiste disponibili pare non ve ne siano e senz'arpa Sonzogno non permette l'esecuzione dell'Amico Fritz. A mezzanotte la questione era a questo punto e non ho avuto tempo d'informarmi che progresso abbia fatto d'allora in poi. Tutto, però, lascia credere che lo spettacolo si potrà combinare. Che auf di soddisfazione devono emettere i signori della Commissione teatrale! Lo spettacolo sarebbe il seguente. Carmen, Amico Fritz, Amleto, con la Rossini, e la Corsi, il tenore Maina, i baritoni Leherie e Modesti; direttore d'orchestra il m. Pomé, 52 professori d'orchestra e 12 ballerine.


"Gazzetta di "Parma" del 27 dicembre 1891

LA CARMEN AL REGIO
Dico la verità: da un pezzo non vorrei mai venirci ai capelli tirati di parlare dello spettacolo. Un tempo si diceva: lo spettacolo è buono, è discreto, è ottimo, è cattivo; ma s'intendeva questo in modo assoluto e inteso soltanto nei rapporti dell'arte. Oggi non è più così; il buono od il pessimo vuol essere inteso in senso relativo ed a formare questa relatività concorrono una folla di elementi che non bisogna trascurare se si vuol essere giusti; ma che pure imbrogliano il disgraziato, che per ragione d'ufficio, è costretto a dare il suo parere. Infatti, se i lettori, che, iersera, non furono a teatro - quelli che ci furono non hanno certo d'uopo che io dica loro com'è andata - mi domandano dell'esito del nostro spettacolo e del valore che esso ha; dovrò tosto cominciare con dei se, dei ma, dei distinguo, uggiosi per chi legge; ma più uggiosi per chi scrive. Effettivamente, se si vuole considerare lo spettacolo sotto il rapporto complessivo ed assoluto dell'arte, esso presenta delle enormi deficenze e tali da meritar tutt'altro che una completa approvazione; se lo si considera, invece, sotto il rapporto degli scarsi mezzi, di cui dispone il teatro in confronto delle pretese degli artisti, delle peripezie, per cui la composizione dello spettacolo è dovuta passare; si può onestamente affermare che in esso c'è più ragione in lode che di biasimo. Negli scorsi anni - non parlo di epoche ormai lontane - con più posata preparazione e, forse, con mezzi maggiori, abbiamo avuto spettacoli migliori dell'attuale, ma ne abbiamo avuti anche degli uguali, o peggiori. Poiché è inutile dissimularselo: coi redditi che fornisce il teatro è assolutamente impossibile - salvo il miracolo dell'orbo che trova per via il ferro da cavallo; e, per verità, di siffatti ferri l'orbetto parmigiano ne ha trovati più d'uno; ciò che ha contribuito a guastarlo - avere uno spettacolo completamente buono. Bisogna cavarsela di testa la pretesa d'avere d'ora innanzi buoni spettacoli. Stimarci fortunati del mediocre e saper tollerare il cattivo: ecco la sorte che ci è riserbato in avvenire; la sorte dei ricchi decaduti, dei nobili declassès. A mio avviso, dunque, lo spettacolo attuale è quello che non poteva a meno di essere: mediocre, tollerabile. Gli entusiasmi sarebbero fuor di luogo; ma le recriminazioni esagerate, violenti del pari. Non parlo dello spartito. La Carmen non si giudica più. La compagnia è formata di buoni elementi; alcuni dei quali, però, non mi sembrano a posto in quell'opera. Cito fra questi la signora Roluti Pia, la quale è venuta tra noi preceduta da buona riputazione artistica e che si diceva la colonna dello spettacolo. Essa, sia orgasmo, od altro, non è apparsa certo una Carmen ideale, sebbene non manchi di buoni mezzi vocali, specie negli acuti, essendo essa un vero soprano. Le ha nociuto, credo, la sua persona stecchita, l'angolosità della sua azione, priva della mollezza flessuosa e della rotondità ondeggiante di una gitana, di una cigarera sivigliana. Non esito a credere che in un altro spartito, trovandosi più a posto, la signora Roluti potrà meglio esplicare il suo talento di cantatrice e di attrice e prendersi una solenne rivincita. Una buonissima Micaela è stata, invece, la signorina Corsi, la quale ha riportato un completo successo, segnatamente alla sua aria del terz'atto, che dovette ripetere fra applausi calorosissimi. La signorina Corsi non ha certo un grosso volume di voce; ma quella che ha è di bel timbro, uguale, pastosa e la sa modulare con arte eletta. In una parte di maggior rilievo, ella potrà ricavare - lo credo e lo spero - degli effetti da assicurare uno di que' successi che schiudono la via ai più lusinghieri trionfi. Il tenore V. Maina, sebbene il suo successo non sia stato completo, può sempre dire d'aver riportato una vittoria, dacché, se, in principio, aveva fatto dubitare de' suoi mezzi; a misura che l'azione del dramma incalzava e che la gola gli si riscaldava, ha avuto dei momenti abbastanza felici e tali da forzare il pubblico, prevenuto ed ostile, all'applauso. I mezzi vocali di questo artista - massime fatta ragione alla estrema penuria di tenori - sono tutt'altro che disprezzabili. Il timbro di voce è simpatico e questo sale agli acuti con lodevole facilità. Non dubito che, rinfrancato dall'esito, guadagnerà sempre più nelle simpatie del pubblico. Il baritono Modesti, che possiede ancora la sua bella voce, tanto ammirata, allorquando esordì nella carriera artistica su le scene del Reynach, ha guadagnato parecchio in quanto a spigliatezza nell'azione. Quella del toreador - perché si dica toreador e non torero non ho mai potuto capire - è, per verità una parte fatta e basta avere buona voce per essere sicuri dell'applauso; ed il Modesti ha, infatti, approfittato della bella circostanza per ottenere un applauso generale e l'onore di ripetere la sua popolarissima aria. Finalmente le parti secondarie, il soprano signorina Bampo, il contralto sig. Svetadè, il tenore Corsi, il baritono Franzini, il basso De Probizzi se la sono cavata proprio benino. Il quintetto del second'atto, che è uno degli scogli della Carmen è filato via diritto come una spada, si da meritare quell'applauso... che il pubblico imbronciato si è dimenticato di fare. L'orchestra, sotto la direzione del maestro Pomè, ha sempre proceduto lodevolmente ed ha avuto dei momenti felicissimi. Applauditissimo e bissato il delizioso preludio del terzo atto, nel quale è apparso flautista distintissimo il bravo prof. Cristoforetti. I cori al solito. Applaudita e bissata la marcia dei ragazzi, ritengo per quella grande simpatia che ispira la fanciullezza. Malgrado le burrasche ed i colpi di vento, penso che la Carmen abbia raddoppiato il capo delle tempeste e che oramai potrà navigare spedita, allargando sempre più il vantaggio per raccogliere il vento del favor popolare. Se vi sono dei malcontenti e degli incontentabili, questi finiranno per farsi una ragione. Oramai, chi va a teatro deve premunirsi di una forte dose di filosofia e di ottimismo, senza cui otterrà di guastarsi il fegato e nient'altro. Stassera seconda rappresentazione.
Z.


"Gazzetta di Parma" del 14 gennaio 1892

"L'AMICO FRITZ" AL REGIO
Mi limito alla semplice cronaca della serata. I lettori capiranno perché io sia nell'impossibilità di dare il mio debole parere su la musica del Mascagni.
Comincio. Un teatro imponentissimo, certo il più brillante della stagione. I palchi guerniti di belle signore in eleganti toilettes. Occupati tutti i posti riservati e le poltrone. Platea e loggione rigurgitante. Si nota un forte numero di forestieri venuti per la solenne circostanza da Piacenza, da Reggio, da Modena. Alle otto precise il maestro Pomè sale sul seggio direttoriale. Silenzio imponente. Il preludio passa sotto silenzio. Il pubblico seguita con attenzione lo svolgersi delle scene, senza dare né un segno di approvazione, né di disapprovazione. Applauditissimo e chiamato all'onore del proscenio il prof. Mantovani pel modo con cui eseguì la zingaresca - si chiama così. Al calar della tela c'è un isolato di applauso, che è soffocato da un formidabile zittio. Seguita il silenzio fino al famoso duetto delle ciliege. Qui l'indifferenza dell'uditorio comincia a scuotersi. Il pezzo piace e scoppia un fragoroso applauso. Al solito, si chiede il bis; ma gran parte del pubblico, con ragione, protesta e grida: avanti. Dopo un po' di lotta, il m. Pomé si decide a proseguire. L'arrivo del biroccino passa inosservato. Siamo ad un altro punto culminante dell'opera: il duetto della Bibbia. E qui cominciano le dolenti note. Il baritono Leherie è stato colto da grave indisposizione; ma il pubblico lo ignora. Egli, proprio quando stava per incominciare il pezzo , emette una nota, cioè: un suono gutturale molto infelice. Il loggione, severo come Minosse, che giudica e manda, senza star lì tanto a riflettere che gli sta davanti un artista di grido, lo becca come l'ultimo dei comprimari. Il Leherie, il quale non sa, o non ricorda che la stessa cosa è accaduta, qui in Parma a più d'una celebrità, piglia il cappello, fa un inchino al pubblico e sparisce tra le quinte. Succede il finimondo. Urli, fischi da spezzare i crani più solidamente costrutti. Quel pandemonio dura più di cinque minuti, restando la scena vuota. Finalmente il Leherie ricompare su la scena. Ottenuto il silenzio, con gentili parole, dice di essere stato colto da un improvviso e completo abbassamento di voce; egli perciò domanda se lo spettacolo deve continuare. Il pubblico gli risponde con un fragorosissimo applauso. Lo spettacolo, perciò, prosegue. Ma è naturale, che, stante le condizioni di voce in cui si trova il baritono, il pezzo della Bibbia non fa effetto alcuno e l'uditorio non sa capacitarsi come, in mezzo all'afonia vocale, l'orchestra senta il bisogno di tutto quel diavolerio con cui termina il pezzo.
Bref:
anche il second'atto, termina tra un silenzio generale. Al terz'atto è applauditissimo e ripetuto l'intermezzo sinfonico; bel pezzo in verità e di grande effetto; ma che non mi riesce di capire cosa stia a fare in quell'opera. Udendolo, il pubblico s'aspetta che la scena rappresenti, per lo meno, un orrido carcere col relativo sasso di legno e che preludi qualche grave catastrofe. Niente affatto: la scena rappresenta la rusticana sala di Fritz e preludia il matrimonio di costui con Suzel. Forse che Mascagni vede un termine di confronto tra la prigione ed il talamo; tra la morte e il matrimonio! Ma come ho detto, il pubblico non guarda tanto pel sottile; trova l'intermezzo bello e, filosofia o non filosofia, applaude con quanto ha fiato. Un applauso lungo, caloroso e meritato lo riscuote il tenore Moretti pel modo eletto con cui canta la romanza; pezzo di bella ispirazione, massime la proposta. Si chiede il bis che è gentilmente concesso. Un altro applauso riscuote lo zingaro, sig. Sambo, che ha una bella voce robusta intonata. Poi l'opera termina tra un nuovo e più agghiacciante zittio. La gente commenta l'opera e l'esecuzione animatissimamente. In generale si trova l'opera molto al disotto della grande aspettativa e l'esecuzione vocale, in complesso, deficente. È lodata l'esecuzione orchestrale molto precisa; ma si osserva che suona troppo forte. Dopo questo resoconto fedele ed imparziale si comprenderà di leggeri come non mi arrischi a dire il mio parere. È difficile giudicare un'opera dopo una sola prima audizione; è impossibile se l'esecuzione è stata imperfetta, come quella di iersera. Se l'Amico Fritz si ripeterà, non mancherò di fare l'officio mio: Intanto debbo dire, ad onor del vero, che il giudizio del pubblico non mi è sembrato soverchiamente ingiusto. Non sono uso ad adulare il pubblico e perciò spero non mi si accuserà di piaggeria, se questa volta mi schiero dalla sua parte. Il pubblico è venuto in teatro piuttosto ben prevenuto e disposto all'applauso piuttosto che alla disapprovazione. Se ha disapprovato; se non si è lasciato imporre dai giudizi di altri pubblici; se ha trovato che, complessivamente, lo spettacolo non era buono; la colpa, proprio, non è sua. Completo la cronaca della serata. Il divertimento danzante, nel quale si è prodotta la prima ballerina, signorina Rizzo - una danzatrice graziosa assai e valente - non so chi abbia potuto divertire se non i giovinotti di primo pelo, che vanno in sollucchero se vedono un par di gambe ben tornite. Ad ogni modo, si sa cosa sono siffatti divertimenti danzanti. Dato un buon spettacolo, come riempitivo poteva anche passare; ma, dopo l'esecuzione che si è avuta dell'opera, era, per verità troppo poco. Così, non appena il sipario fu abbassato per l'ultima volta, scoppiò un tremendo uragano di fischi che si prolungarono fino a ché la sala fu completamente sgombera.
Z.


"Gazzetta di Parma" del 22 gennaio 1892

LA SECONDA DELL'AMICO FRITZ
Ho già detto le ragioni, per le quali, dopo la prima rappresentazione dell'Amico Fritz, ho voluto limitarmi a registrare la pura cronaca di quella turbolenta serata. Per chi scrive, un giudizio precipitato è una colpa, la cui pena minore è quella di mettere lo scrittore nell'obbligo di ricredersi in faccia al pubblico. Io, poi, mi compiacio di siffatto riserbo, dacché, con la sostituzione dell'artista che sosteneva la parte di Rabbino, posso dire, ora, di avere inteso tutta l'opera. Tuttavia non sono riuscito a sgombrare l'animo mio da una grande perplessità. Per solidarietà di professione, non posso mettere in dubbio l'esattezza e, tanto meno la buona fede dei giornalisti, i quali, nel render conto dell'esito ottenuto dall'Amico Fritz nei vari teatri in cui fu rappresentato e presso pubblici intelligenti e capaci di giudicare un lavoro d'arte serenamente e senza lasciarsi montare da manovre extra-artistiche; non hanno esitato a dare la stura alla più sconfinata ammirazione, alla fraseologia trasudante il più schietto entusiasmo. Credo che non pochi de' miei colleghi abbiano messa a dura prova il dizionario, costringendolo a fornire i vocaboli più nuovi, più strani, onde fosse meglio espresso tutto il caloroso, il bollente, l'infuocato entusiasmo, da cui era compreso l'animo loro e del pubblico, delle sensazioni violentemente deliziose del quale si rendevano gl'insufficienti - dicevano essi, con grande modestia - interpreti. Tutto quanto di elogiativo si poteva dire, a proposito dell'Amico Fritz, è stato detto. Per un futuro lavoro del Mascagni, la critica, o dovrà cadere in desolanti ripetizioni, od aumentare la lingua italiana di qualche dozzina di nuove dizioni. Di fronte ad un simile precedente, io, che ascoltando religiosamente l'Amico Fritz per tre volte - compresa la prova generale - non ho mai sentito scorrermi giù pel fil delle reni quella sensazione di freddo, che è la conseguenza fisica di uno stato psicologico sovrammodo eccitato; che non sono mai stato scosso un momento da schietto entusiasmo; che non ho potuto sdilinquere di tenerezza ad ogni banalità che si riscontra nello spartito; ho dovuto più volte domandarmi, con somma mortificazione dell'io cosciente: ma che sia proprio un cretino, incapace di capir qualche cosa? Avrei rimesso, molto volentieri, ai posteri l'ardua sentenza, tenendo il mio giudizio per me solo; ma dappoiché il lettore assiduo della Gazzetta, oltre il suo proprio, pretenderà conoscere anche il mio, mi è giuocoforza rivelare quanto penso su questo tanto acclamato spartito. Francamente, non mi sono riescito a spiegare gli entusiasmi di altri pubblici. Non vi potrà aver contribuito l'eccezionale esecuzione, perché, complessivamente, non può essere stata di molto superiore a quella, riveduta e corretta, che si è avuta a Parma. D'altronde, le apoteosi di via sono state principalmente, se non esclusivamente pel maestro e gl'interpreti vennero sempre in seconda linea. Si deve, quindi, inferirne che è la musica che è piaciuta, che ha entusiasmato. Ora io credo che l'Amico Fritz abbia rivelato, ancora una volta, delle felici attitudini musicali nel m. Mascagni, tali da meritargli benevolenza ed incoraggiamento; ma non certamente da legittimare certe esagerazioni laudatorie, certe apoteosi grottesche, atte soltanto a far smarrire la coscienza di sè stesso ad un giovane compositore. Mascagni ha esordito felicemente - forse troppo - con un'opera racchiudente pregi induscutibili; pregi di sobrietà, di passione, di ispirazione veramente sentita. La Cavalleria rusticana, per quanto di proporzioni tascabili, era una vera opera drammatica. Ed il pubblico, pure tributandogli largo plauso d'incoraggiamento, giudiziosamente, prima di proclamarlo un vero maestro operista, aveva tutto il diritto d'aspettare una seconda prova, in cui il maestro avesse modo di manifestare la potenza del proprio ingegno, con un lavoro di proporzioni più vaste che non sia la Cavalleria rusticana. Ed il secondo lavoro - acclamato e portato ai sette cieli, prima ancora che fosse rappresentato - è venuto; ma a me sembra che esso nulla aggiunga alla fama del giovine maestro. Anzi. Un confronto tra i due lavori del Mascagni è impossibile. Uno è un vero dramma, per quanto di proporzioni ridotte; l'altro è... Chi mi sa dire cosa sia veramente l'Amico Fritz? Un'idillio, una commedia musicata? Tale si disse che sia, o che volesse essere; ma tale non è certamente riuscita. Che l'argomento scelto, senza passioni un po' forti, si prestasse a scrivere un'opera di genere idilliaco può anche darsi, dacché la potenza del genio di un maestro arriva persino a conferire al libretto i pregi che non ha. Ma al maestro è venuto meno la lena, per fare un'opera di getto. Vi sono due opere nell'Amico Fritz. Dal palco scenico scaturisce talvolta una musica calma, gentile, ispirata; dall'orchestra pare che prorompino passioni tumultuose, furibonde. Questa sconnessione tra la parte vocale e l'istrumentale mi sembra costituisca il principalissimo difetto capitale in quell'opera. Ho visto levare al cielo la bellezza e la sapienza dell'istrumentazione; direi, invece, che quella è proprio il tallone d'Achille. Sarebbe stato del caso un istrumentale leggero, elegante, delicato, ed è riescito, al contrario, pesante, contorto, inconcepibilmente rumoroso. Udendolo da solo, si è costretti a mettere, con la propria immaginazione, sul palco scenico una mezza dozzina di guerrieri, con tanto di pennacchio ed altrettanti turchi, con relativa mezzaluna, insieme ferocemente combattentisi; che se poi, durante la rappresentazione, uno dei tanti micidialissimi forti dell'orchestra soffoca inevitabilmente la voce degli artisti, il povero spettatore intronato è tratto, involontariamente, a domandarsi, cosa facciano là su la scena quei così vestiti da ebrei alsaziani. Né bisogna nemmeno esagerare circa la soavità delle melodie trovate dal m. Mascagni. Certo egli ha quello che si dice: lo spunto melodico facile, grazioso; ma spesso il pensiero divaga, la melodia si smarrisce; nè è sempre melodia ritmica, quadrata, che è tradizione e vanto della scuola italiana. Ad onta di questo, la facilità di rinvenire la melodia è incontestabile nel giovine maestro toscano ed è precisamente per questo che è lecito sperare egli possa, un giorno, produrre qualche cosa che veramente accresca il patrimonio artistico nazionale. Del resto, come tratti il Mascagni le massi corali, come sappia fondere le varie voci dei cantanti è ancora un mistero. Nell'Amico Fritz, non c'è un finale - secondo l'idea usuale che si dà a siffatti pezzi - non un quartetto, nemmeno un terzetto. Tutto il primo atto - se si eccettui una frase, un accenno melodico della Suzel - è di una desolante vacuità. E vacua, nella sua pretensiosità all'originale, allo strano, è la suonata dello Zingaro, la quale può soltanto commuovere... d'ufficio la morbosamente sensibile Suzel; inconcludente il predicozzo del Rabbino ai ghiottoni; plateale sebbene d'après nature la marcia finale. Nel second'atto abbiamo di veramente buono il famoso duetto - veramente originale soltanto nella prima parte quantunque, in ultimo, sciupacchiato dall'istrumentale assordante. Gli altri pezzi non si estolgono dalla semi aurea mediocrità, compreso il duetto della Bibbia, che è pure uno dei pezzi di migliore fattura, e tanto strombazzato arrivo del baroccino, che entusiasmò il pubblico di Roma, come nella storia dell'arte italiana non vi fossero pagine di musica imitativa di ben maggiore potenza e valore. Il preludio del terz'atto, quantunque assolutamente fuori di posto, è proprio un bel pezzo. Il tema è lo stesso della zingaresca; ma col pieno dell'orchestra raggiunge un effetto, che s'impadronisce del pubblico e lo trascina all'applauso. Bella, ispirata è pure la romanza di Fritz; ma il susseguente duetto; è veramente deplorevole per vacuità e l'atto ha il torto di terminare nel modo più scialbo, si che ogni effetto è tolto e l'eccitamento del pubblico completamente svanito. Tale l'effetto che ha prodotto in me l'Amico Fritz. Tale l'effetto che ha prodotto nel pubblico parmigiano, il quale, iersera, ha confermato il giudizio di mercoledì scorso ed ha condannato irremissibilmente quell'opera. E per spiegare in altro modo la severità del pubblico non si possono addurre scuse o pretesti. L'esecuzione fu buona; anzi in alcune parti eccellente. Tutti gli artisti posero un impegno particolare nell'eseguire la loro parte, tutti ebbero segni non dubbi di aggradimento. Fu applauditissimo il tenore Moretti che ha eseguito in modo insuperabile la romanza del terz'atto, che dovette bissare; fu applaudita la Corsi, il valore della quale venne giustamente apprezzato nella Carmen; ma che nell'Amico Fritz appare un po' fredda, mentre la sua voce, che non è molto voluminosa rimane spesso soffocata dal frastuono dell'orchestra, a soverchiare il quale occorrerebbe la gola di un cannone; eccellente acquisto è stato quel baritono Pignalosa, che ha rappresentato in modo lodevolissimo il personaggio del Rabbino ed ha fatto sfoggio di una bella e robustissima voce; degna pure di molta lode la Sambo nella parte appiccicata di zingaro; buone le seconde parti; meritevole di plauso l'orchestra per la precisione e slancio, sì che per merito principalmente suo si è potuto iersera ottenere - dopo alquanto contrasto - la replica del preludio del terz'atto. Né credo si sia trascurato di creare in teatro un ambiente favorevole, per quanto artificiale. Ma sta scritto su la porta del nostro massimo teatro: tessera perforata non prevalebunt. I miei concittadini comprenderanno facilmente questo latinetto che non è oraziano. Ma ogni mezzo, ogni mezzuccio, per galvanizzare un successo, è riuscito vano. Il loggione stesso, il terribile loggione è stato il più severo nel giudicare; ed il più inflessibile nell'impedire che dei critici, o dei reporters compiacenti potessero avere il minimo pretesto per spacciare e definire quello di Parma un successo contrastato. No, non vi fu contrasto. L'Amico Fritz è caduto per consenso generale del pubblico, il quale, indubbiamente desiderava l'opposto. E questa caduta ritengo sia un bene pel m. Mascagni, il quale perduto, smarrito nel turbine di lodi smaccate e di apoteosi grottesche, non avrebbe avuto modo di rientrare nella sua coscienza d'artista e di scandagliare ponderamente la propria via prima d'inoltrarvi il piede. Il Mascagni è giovine ed ha già dato prova d'indiscutibile talento. Egli ha dunque modo e tempo di prendersi una solenne rivincita. Se la prenda, ed il pubblico parmigiano sarà felice di applaudirlo.


"Gazzetta di Parma" del 25 gennaio 1892

LA "FAVORITA" AL REGIO
La Favorita ha richiamato iersera, a teatro, un pubblico elegante ed affollato. I palchi, specialmente, erano una bellezza. L'esito dell'opera fu, in parte buono, in parte ottimo. I trionfatori furono la signora Novelli ed il tenore Moretti. È impossibile descrivere le feste entusiastiche fatte a questi due bravissimi artisti. Ci furono, quasi ad ogni momento, applausi fragorosissimi, numerose evocazioni al proscenio, richieste di bis. L'ultimo atto specialmente - in cui si è riammirata una vecchia tela del Magnani - ha fanatizzato. Moretti ha dovuto ripetere la divina romanza, che egli canta molto lodevolmente; poi, dopo il duetto, applausi e chiamate senza fine. C'era molta prevenzione contro il baritono Modesti. La parte di Alfonso è certamente una delle più difficili che si conoscono. Tutti la cantano; ma pochissimi sanno condirla con quel misto di patetico e d'ironia che pur sono indispensabili perché la parte risalti. Ho sentito cantare nella Favorita la Galletti e Gayarre - signori, levatevi pure il cappello a que' due nomi - ma di baritoni che rappresentassero bene l'Alfonso XI, non ho sentito che Giraldoni. Sfortunatamente sono arrivato un po' in ritardo: egli era completamente sfiatato! In ogni modo, il Modesti se l'è cavata, in definitiva, meglio che non sperassi da lui. A buoni conti, ha una magnifica voce, e, poi, se iersera, in un punto della sua aria: "a tanto amor," non avesse voluto strafare, con una volatina di pessimo gusto, non ci sarebbe stato proprio male. Ad ogni modo, fu anch'egli applaudito. Il basso, per verità, è alquanto deficente, ma, in fin de' conti, non guasta. Buona Ines fu la Bampo. Lodevolissimi i cori nell'ultimo atto. Lo dico con piacere, dacché non poche volte mi è accaduto di dire... il contrario. Commendevole per precisione l'orchestra. Taluni tempi mi sono sembrati un tantino affrettati. Io so, che è una questione di lana caprina, dacché, in fatto d'interpretazione, il direttore è despota. Ma, trattandosi di spartiti classici, mi pare che la tradizione dovrebbe far legge. Tutto sommato, questa riproduzione della Favorita è degna di lode. Il pubblico ha applaudito ed ha fatto bene e motivo d'applaudire maggiormente l'avrà in seguito quando dall'esecuzione saranno sparite quelle piccole incertezze inevitabili con una andata in scena tanto affrettata. Nell'uscita dal teatro, tutti esclamavano: che musica! Sì, che musica! E purtroppo non se ne fa più la giornata. Venti spartiti moderni - specialmente dei più ben fatti - non pagano l'ultimo atto della Favorita.
Z.