"Gazzetta di Parma" del 26 dicembre 1888
LA PRIMA DEL "LOHENGRIN" al Regio Teatro
Dopo quattro anni si è risentito il Lohengrin. L'accoglienza fatta dal pubblico
parmigiano a questa seconda edizione del capolavoro wagneriano, fu uguale a quella della
prima: lieta; ma non entusiastica. Ciò dipende, in grandissima parte, dal genere della
musica, alcune pagine della quale sono sovranamente belle; mentre tante altre sono lunghe,
pesanti, astruse. Ma, del Lohengrin, ho scritto a lungo quando lo si diede la prima
volta; quindi è perfettamente superfluo mi ripeta; tanto più che a quel mio povero
giudizio, frutto di una prima impressione, mi pare avrei poco da aggiungere e poco da
togliere. Mi limiterò, quindi, a parlare della sola esecuzione. Questa nel complesso fu
assai buona e a renderla soddisfacentissima non sarebbe mancato che maggiore vigoria nelle
masse orchestrali e corali. Quella di ieri sera non era la solita orchestra di Parma.
Essa, fu bensì, attenta e precisa; ma ci si sentiva un vuoto, che derivava, unicamente
dalla mancanza di molti de' migliori professori, scritturati per altri teatri, e che i
ragazzetti, che li hanno rimpiazzati, malgrado tutta la loro buona volontà, non hanno
potuto sostituire. Lo stesso dicasi de' cori. Questi sono diventati, più che altro,
un'opera pia. Il numero c'è; ma mancano le voci. Quelli che non possono più cantare si
tengono o s'impongono per spirito di filatropia. Di più, parecchi de' migliori coristi,
quest'anno, sono stati, essi pure, scritturati altrove. In un'opera, come il Lohengrin,
in cui i cori sono frazionati in un gran numero di parti reali; la deficenza,
naturalmente; non poteva a meno di farsi sentire malgrado che il bravo m. Azzoni abbia
fatto il possibile per istruirli a dovere e farli andar bene. Se le masse si sono rivelate
meno buone della prima volta in cui s'è rappresentato il Lohengrin, viceversa la
compagnia di canto mi è sembrata, sotto parecchi aspetti, assai migliore. Il tenore
Moretti è sempre quel bravo artista, che il pubblico tanto applaudì, anni sono, nella Mignon
e nella Favorita. Nelle parti di grazia e di sentimento, egli si trova in special
modo, a suo posto. È, quindi, naturale che il punto culminante del suo successo, lo
riportasse nell'affascinante duetto del terz'atto, dove egli ebbe campo di sospirare
alcune frasi in modo veramente eletto; come pure disse assai bene e fu calorosamente
applaudito il racconto del San Graal. Ma l'attenzione del pubblico era, in maniera
speciale, diretta su la signorina Rosina Giovannoni Zacchi, la quale, per la prima volta
calcava la scena. Questa giovinetta, che conta appena 19 anni, ha fatto strabiliare il
pubblico. Non solo essa canta assai bene, con voce di timbro gradevolissimo e
perfettamente intonata, con accento caldo, che rivela un anima d'artista; ma essa si muove
su la scena ed atteggia la gentil personcina ed il volto mobilissimo, come molte provette
vorrebbero saper fare. Il successo di questa giovinetta s'andò, man mano, accentuando col
procedere dell'opera; ella ha saputo guadagnarsi le simpatie - chiaramente manifestate con
approvazioni ed applausi dell'uditorio - su le prime molto diffidente mercè il proprio
valore, fino ad ottenere - in unione al Moretti - un lungo, fragorosissimo battimano ed
una chiamata dopo il terz'atto. E se ella pensa che si è cimentata, per la prima volta,
in una parte tanto scabrosa, come è l'Elsa ed ha ottenuto l'applauso di un
pubblico, che passa per essere uno de' più difficili e che non è solito a far
complimenti con alcuno; dovrà convenire che più felice debutto del suo era difficile
fare. Un ottima artista si è pure rivelata la signorina Irma Spagni, sia per bontà di
mezzi vocali, sia per efficacia drammatica. Tutto l'effetto che si poteva ricavare
dall'ingrata parte di Ortruda essa l'ha ricavato forzando il pubblico all'applauso.
L'esito lusinghiero di Parma, viene a confermare i successi da lei,ottenuti di recente a
Bologna e a Genova, ed è un lieto pronostico per quello che otterrà in questa stessa
parte - all'Argentina di Roma, dove è stata scritturata, per la prossima primavera. Bella
e robusta voce possiede il baritono Silla Carobbi, che fu un Telramondo sotto tutti
i rapporti encomiabile. Nei suoi pezzi ottenne spontanei quanto fragorosi applausi ed il
pubblico si riserba ad applaudirlo ancora di più in un'opera, dove abbia maggiore
opportunità di far sfoggio de' suoi mezzi e del suo talento. Il basso Francesco Vecchioni
è sempre quel bravo artista che il pubblico applaudì nell'autunno del 1879, assieme al
celebre Campanini ed alla Ginevra Giovannoni, la madre della debuttante. Fu un Enrico
l'uccellatore proprio meritevole di lode. Una voce strapotente, simpatica, intonata;
una persona con tutte le caratteristiche della bellezza nordica possiede il basso Luigi
Broglio - nome modesto che cela quello d'illustre casato straniero. Egli è un Araldo ideale;
ed il pubblico, sentendo quel fiume di voce, non ha potuto a meno di prorompere in
caloroso applauso. Nomino per ultimo il celebre Bottesini che ha concertato e diretto lo
spettacolo ed al quale devesi, di giustizia, attribuire la dovuta parte di merito nella
buona riescita di esso. È peccato, che per la prima volta, che la nostra orchestra ha
l'onore di essere diretta da lui, non si trovi in forze sufficenti per potere estrinsecare
tutti quegli effetti che un sì illustre artista saprebbe, indubbiamente, ricavare. In
ogni modo, il pubblico, col lungo e fragorosissimo applauso, fattogli allorché ebbe preso
posto sul seggio direttoriale, ha voluto dimostrargli tutta la sua grande simpatia, e
quanto sia lieto di averlo stabilmente nella città nostra, a capo dell'Istituto musicale,
che, sotto la sua valente direzione, non potrà a meno d'essere presto uno de' primi
d'Italia. Debbo, anche una parola di elogio al prof. Giacopelli per le sue belle scene -
specie la seconda, che fu applauditissima - ed all'Impresa che ha saputo far le cose con
larghezza e somma proprietà. Gli abiti - tanto degli artisti che delle masse - e gli
attrezzi sono ricchi e di buon gusto. Riassumendomi, mi sembra che questo Lohengrin sia
nato, non solo vivo; ma anche vitale e che potrà essere rappresentato per parecchie sere
con sempre crescente soddisfazione per parte del pubblico.
"Il Presente" del 11 gennaio 1889
Credevamo che ad una prima rappresentazione del Faust dovesse occorrere un pubblico molto più numeroso. Il capolavoro del Gounod ieri sera ottenne un successo mediocre molto e sia stato il panico o qual cosa altro, fatto sta che nessuno degli esecutori sembrava ieri sera al suo posto. La sig. Anna Cribel (Margherita) ha una voce abbastanza buona specialmente negli acuti, ma poco educata quindi riesce non tanto simpatica; ieri sera vi furono al di lei indirizzo degli applausi, che riteniamo d'incoraggiamento, speriamo che un'altra sera faccia meglio; cosa che noi le auguriamo di tutto cuore. Il baritono sign. Carobbi si trovava meglio nel Lohengrin. La romanza del primo atto:
Dio possente, Dio d'amor
dovrebbe essere espressa a nostro avviso con minor forza, e maggior grazia. Il Sign.
Carobbi ha un bel corpo di voce, e se curerà modularla meglio farà ottima figura e
certamente sarà applaudito. La parte di Faust venne sostenuta dal tenore Signor Moretti
il quantunque abbia una voce educata ad ottima Scuola, un metodo corretto di canto, pure
anch'egli ieri sera ha lasciato qualche cosa a desiderare. L'unico che abbia riscosso
applausi è stato il basso Signor Vecchioni, pure si stenta a riconoscere in lui l'artista
che sostenne nel Faust la parte di Mefistofele quattro anni or sono al nostro massimo
Teatro. La signora Irma Spagni (Siebel) fu abbastanza buona. Discretamente Marta e Vagner.
Con molto affiatamento degno di lode, cantarono ieri sera i cori. Bene l'orchestra,
diretta dal comm. Bottesini. Ed ora una lode sincera incontrastata all'Egregio Signor
Giacopelli per le scene dipinte in modo superiore ad ogni elogio. Questa è la cronaca
esatta, vera della serata. Speriamo, e noi agli artisti lo aguriamo di cuore, che udendo
una seconda volta il Faust si modifichi il nostro giudizio.
g.b.
"Il Presente" del 17 gennaio 1889
Ieri sera il Faust ebbe un successo poco lieto. Zitti e anche fischi si fecero
udire durante e alla fine dello spettacolo. Ci pensi l'impresa e guardi di rimediare. Dal
canto nostro crediamo, e lo diciamo francamente, che se la Sig. Rosina Giovannoni Zacchi
avesse sostenuta la parte di Margherita, il Faust sarebbe stato applaudito, molto
applaudito.
g.b.
"Il Presente" del 23 gennaio 1889
Ieri sera al nostro Regio, rappresentandosi il Faust, si produceva nella parte di Margherita la Signorina Enrichetta Pavesi. La giovane nostra Concittadina fu accolta al suo apparire da benevola aspettativa; e di vero la dolce espressione del viso, la figura sua elegante e gentile, la movenza aggraziata nella sua modestia, incarnano a parer nostro in lei la delicata, e poetica creazione di Göethe. L'esecuzione musicale però che essa diede alla parte, dobbiamo constatarlo dispiacenti, non giustificò pel momento le speranze che si avevano. La voce della Signorina Pavesi è di buon impasto, e discreta estensione; la pronuncia soprattutto corretta e quale in poche artiste ci fu dato riscontrare; ma il metodo di canto, certe mancanze al tono nella emissione degli acuti specialmente, eccitarono un giudizio poco favorevole nel pubblico. Forse il panico di una prima comparsa davanti i proprii concittadini, forse la mancanza di completo affiatamento cogli altri artisti hanno a tanto contribuito; e vogliamo sperarlo. Noi quindi non ci affrettiamo ad un giudizio quale esso sia, e constatando solamente il fatto, attendiamo in proposito una seconda audizione.
"Gazzetta di Parma" del 1 febbraio 1889
LA PRIMA DELLA GIOCONDA al Regio Teatro
Più che una rappresentazione, è stata una battaglia, che si è risolta in un trionfo per
gli esecutori. II pubblico, come i francesi di Fontenoy, parve dicesse: messieur les
artistes, chantez les premiers; nous sifflerons après. Gli artisti hanno cantato ed
il pubblico, meno fortunato dei francesi, s'è dovuto arrendere, senza trovare mai il
momento opportuno per fischiare. Non è esagerazione la mia. Sono, ahimé, venticinque
anni che frequento il Regio e credo d'avere il diritto di dire che conosco molto bene il
pubblico. Sì, iersera, il pubblico è proprio andato, a teatro malissimo disposto; quella
liretta di più, fattagli pagare, gli pesava dolorosamente su lo stomaco; e a tutti son
noti gli effetti di una cattiva digestione. Guai ai poveri artisti se avessero sgarrato.
Ma gli artisti filarono diritto ed il pubblico, sebbene fosse scuro scuro, come nubi
estive gravide di gragnuola e di fulmini, non poté sfogare il proprio malumore e, dopo
una certa resistenza, che, però, col procedere dell'opera, andava, man mano, illanguendo,
si è dovuto dichiarare vinto e lasciarsi trascinare all'entusiasmo. Dopo il finale del
terzo atto, la vittoria era assicurata; non rimaneva più che inseguire l'inimico e farlo
tutto quanto prigioniero. È la parte che si è assunta la celebre Pantaleoni. Per essere
giusti, bisogna dire che gli artisti hanno gareggiato di valore e buon volere. Il ricordo
della Gioconda con esecutori Figner, la May, Menotti, Contini - tutti artisti di
grido - era troppo vivo, perché non dovesse influire sfavorevolmente su gli esecutori
odierni. Più fortunata di tutti era la nostra concittadina la signorina Guernieri la
quale, non ha dovuto combattere altro che col ricordo di sé stessa. Con tutto ciò
Moretti, la Spagni, Carobbi, Broglio, si sono disimpegnati assai bene e meritano lodi
sincere e sono persuaso, che, alla prossima rappresentazione, il pubblico renderà loro
piena e completa giustizia. Il tenore Moretti, che è un eccellente artista, ha eseguito
benissimo, riscuotendo applausi cordiali quanto unanimi, nella sua bella romanza ed è
stato, tutta la sera, cantante corretto ed attore felice. Pure molto bene la signorina
Spagni, che ha assai buoni mezzi vocali e dimostra, anche in questa parte di Laura,
molta intelligenza. Essa ha cantato la sua romanza, nel second'atto, in modo da non far
desiderare la Mey e strappando all'uditorio segni non equivoci di approvazione. Nel
duetto, poi, con Gioconda seppe stare assai bene al suo posto e gli applausi che
seguirono quel pezzo, spettavano per la sua parte, anche a lei. Il Carobbi ha una voce
potente e bellissima, e, malgrado questo è modesto e studioso; iersera egli ha sfoggiato
note di una forza e limpidezza meravigliose, strappando l'applauso a tutti. Gli ha
nociuto, solo, il ricordo, ancor fresco, di Menotti, il quale aveva saputo fare la parte
poderosa di Barnaba una vera creazione. Molto bene anche il Broglio che, pur esso
ha voce poderosa e bellissima e che ha un solo torto: di eseguire una parte, nella quale,
nessuno è mai riuscito a cavare un ragno da un buco. È vero che questo torto non è
tutto suo. Della signorina Guernieri è superfluo, ormai, parlare. Ella, della parte di Cieca,
si è fatta una specialità. Se non temessi di farle un complimento di gusto equivoco,
direi, che è una Cieca nata; e come tale si è fatta applaudire da tutti i
pubblici d'Italia. Naturale, quindi, non le potesse mancare, e vivissimo, il plauso dei
suoi concittadini. Mi sono riserbato di parlare, per ultimo, della signora Pantaleoni,
perché avrei pure voluto rendere completamente tutta l'immensa impressione che ha destato
nel pubblico. Ma siccome non ho mai avuto troppo alla mano il dizionario degli aggettivi
laudatori, delle espressioni entusiastiche, delle frasi deliranti; io mi trovo qui assai
imbarazzato ad esprimere il pensier mio, né so dire di più che la Pantaleoni si è
rivelata, anche una volta, una grandissima artista. Salutata, al suo apparire, da
applausi, ella si è tosto appalesata qual'è potente come cantante e come attrice. Nella
sua voce, sempre bella e squillante, ella trova accenti, inflessioni, che cercano e
commuovono le più riposte fibre del cuore. L'amore, la gelosia, l'ironia, l'ira tremenda
sa rendere con tale efficacia, che incanta, terrorizza e sempre soggioga lo spettatore. E
prima ancora che il canto e la parola, è il viso mobilissimo, che rivela tutta
l'intensità della passione, che esplica il dramma. Nel duetto del second'atto con Laura
e, si può dire, in ogni sua frase, ha saputo trasportare l'uditorio. Quando, nel
finale del terz'atto, Gioconda dice a Barnaba; "se lo salvi e adduci al
lido..." vi fu in tutto il teatro come un fremito. Ho già detto che, dopo il
finalone del terz'atto - che è stato emporté con un vigore straordinario dagli
artisti, dai cori e dall'orchestra - la battaglia era completamente guadagnata.
L'entusiasmo si rivelò senza freno e gli artisti, col m. Bottesini dovettero comparire
più e più volte al proscenio. M'è solo spiaciuto non venisse il Broglio a dividere, coi
compagni, l'onore del trionfo sebbene egli non abbia punto, punto demeritato. L'ultimo
atto - in cui la potenzialità del dramma sale ad un punto eccelso - fu tutta un'apoteosi
per la signora Pantaleoni. Qui, ella fu, a dirittura sublime. Impossibile descrivere il
canto sconsolato della preghiera, il modo con cui esprime il turbinio dei pensieri, che
nella mente le agita la gelosia, con quale accento dica: "Oh, gioia, egli mi
uccide!" come pianga nell'addio ad Enzo e Laura; come tristemente
folleggi nella canzone della morte. Non so se la cantante, in questo punto, superasse la
tragica, o viceversa; so che la commozione dell'uditorio era generale e profonda; e,
quando calò il sipario, il pubblico, come sollevato da un incubo, proruppe in un immenso
applauso. La celebre artista, tuttavia, non mi renderà ingiusto fino a punto da
dimenticare un particolare encomio all'illustre Bottesini, alla sua orchestra, la quale,
meno qualche esitazione in principio, fece assai bene il proprio còmpito, ed ai cori,
che, fra le altre cose, cantarono egregiamente la marinaresca. E lode calorosa va pure
data al prof. Giacopelli per le sue bellissime scene. Quella del cortile del palazzo
ducale, che presentava difficoltà fortissime, perché costrutta in parecchi pezzi, è
riescita molto bene; di bell'effetto la riva del mare; di buon gusto la sala delle danze;
splendida l'ultima. Anche il vestiario e l'attrezzeria sono ricchi. Guarda! dimenticava il
corpo di ballo. C'era in proposito, una singolarità: che le dodici ore, viceversa, erano
soltanto undici. Un'ora ha creduto bene di eclissarsi all'ultimo momento. Giustizia vuole,
però, io dica che le undici rimaste hanno ballato per dodici e che, anche a quelle brave
figliuole, un po' d'applauso è toccato. Morale. Teminato lo spettacolo, nessuno s'è più
sognato di lagnarsi per il biglietto cresciuto. Molti, anzi, convenivano che
all'impresario ce n'andava ancora.
"Il Presente" del 28 febbraio 1889
Quanto di scelto, di artistico, di elegante annovera la nostra città era ieri sera
convenuto a R. Teatro. Grande era l'aspettativa di udire Bottesini che per ieri sera,
beneficiata dei poveri, gentilmente si prestava a suonare il contrabbasso. Dopo il 2° e
il 3° atto del Faust interpretato egregiamente dalla Signora Rosina Giovannoni
Zacchi, dal tenore sig. Moretti e da tutti gli altri artisti, dopoché la Pantaleoni, con
quella abilità, con quella finezza d'arte e sentimento che la distingue, ebbe cantato l'inflammatus
di cui si volle il bis fra acclamazioni entusiastiche, il Comm. Bottesini
accolto da una salve di applausi, comincia a suonare, sul contrabbasso, suo strumento
favorito, una elegia, da lui composta. Ad ogni colpo del suo magico archetto erano
applausi calorosi che si cambiarono in vero delirio alla tarantella di cui si volle il bis;
invece del bis però Bottesini si fece sentire un altro pezzo, il carnevale di Venezia che,
fu entusiasticamente acclamato. Tutti coloro che ieri sera erano accorsi al Regio sapevano
di dovere udire qualche cosa di grande, ma non si credeva che da un contrabasso strumento
difficilissimo si potesse trarre suoni, quali ha saputo il Bottesini.
g.b.
"Gazzetta di Parma" del 11 marzo 1889
Ieri, col Faust, si è chiusa al Regio la stagione d'opera. Il pubblico non fu avaro di applausi agli artisti. Specialmente alla signorina Zacchi, al Moretti ed al Vecchioni, fece, in fin d'opera, una calorosissima dimostrazione, chiamandoli più e più volte agli onori del proscenio. E il pubblico ha fatto benissimo. Gli artisti tutti, che abbiamo avuto quest'anno hanno dato prova, oltre che di valentia di una buona volontà, che non è mai venuta meno un solo istante. Ed è, in principal modo, alla loro buona volontà che si deve se la stagione è trascorsa senza peripezie. Di ciò il pubblico ha giustamente tenuto conto. Anche all'impresa va data la dovuta lode. Coi mezzi limitati, di cui dispone il nostro teatro, essa ha saputo, in complesso, ammanirci buoni spettacoli, messi decorosamente in scena e tali da appagare qualunque pubblico ragguardevole. Anche senza considerare la scarsità di buone ed oneste imprese - che diventano, sempre più un mito - c'è da augurarsi che anche per gli anni venturi l'impresa del nostro Regio sia assunta da stimabile persona, com'è il cav. Cardini. E poiché è costume rendere responsabile di qualsiasi inconveniente possa succedere la commissione teatrale, anche quando essa non ci ha né fiato né colpa; mi pare giustizia tributarle elogi, che parranno - come sono effettivamente - tanto più sinceri, in quanto che non ho mai lesinato il biasimo quando in anni precedenti, mi parve lo meritasse. Non so, col rimescolamento, che probabilmente avverrà con la nuova legge amministrativa, quale sorta sia riservata all'odierna commissione teatrale se essa sarà, nuovamente chiamata a dirigere i futuri spettacoli teatrali. Io me l'auguro. In ogni caso, la commissione ha finito assai bene la propria gestione e se il successo non sarà titolo sufficente, presso i venturi amministratori del Comune, per conservarla in carica, ad essa non mancherà il conforto di veder riconosciuto il suo zelo e la sua attività da tutta la gente imparziale.
"Il Presente" del 24 dicembre 1888
Riceviamo da un nostro assiduo la seguente:
Ieri (23) ha avuto luogo l'adunanza dei palchettisti del teatro Regio, avente per iscopo
di stabilire, se si debba o no intentare lite contro il municipio perché ha aumentato del
doppio il canone dei palchetti. Io non conosco il risultato di questa riunione, né mi
curo di saperlo; soltanto mi permetto di osservare che i signori palchettisti, per quanto
paghino, sono sempre al disotto di quanto dovrebbero spendere; poiché non è giusto che
il municipio spenda 30 mila lire per gli spettacoli teatrali per divertire i ricchi a
spese di tutti i contribuenti indistintamente. Infatti buona parte dei proprietari di
palchi hanno domicilio fuori di città, sottraendosi così all'imposta della tassa di
famiglia; e in parte soltanto concorrono nell'imposta della tassa di famiglia; e in parte
soltanto concorrono nell'imposta del dazio di consumo, perché passano molti mesi
dell'anno in villa. Si va dicendo che bisogna tener aperto il teatro per mantenere la
famiglia teatrale; ma bisogna essere molto ingenui per credere che col teatro, ove si
danno in media 35 rappresentazioni all'anno si possa mantenere una famiglia teatrale.
Questo è un pretesto per far pressione sui consiglieri e metterli così nella necessità
di votare la dote. Chi vuole i divertimenti se li paghi.
Un assiduo
Le considerazioni del nostro assiduo se sono giuste per una parte, sono esagerate per
altre, poiché il suo suggerimento condurrebbe alla chiusura del Teatro.
"Gazzetta di Parma" del 26 dicembre 1889
DON CARLOS
La prima rappresentazione
L'Opera
Fra le opere di Verdi quella su cui più si è discusso e si discuterà, quella su cui
i pubblici e la critica sono stati più discordi è stata certamente il Don Carlos.
Il Don Carlos fu scritto per il teatro dell'Opera di Parigi, in occasione
dell'Esposizione Universale. Era la second'opera (la prima fu: I vespri siciliani)
che Verdi faceva rappresentare a Parigi. La prima rappresentazione ebbe luogo l'11 marzo
del 1867 e fu un grande avvenimento teatrale. Il successo però fu assai contrastato. I
critici francesi lo giudicarono, chi un capolavoro e fra questi Teofilo Gauthierche nel Moniteur
chiamò il Don Carlos una delle più alte e magnifiche ispirazioni di Verdi,
chi invece non volle riconoscere in quest'opera le immense bellezze di cui è ricca. A
Parigi ebbe ad interpreti la Sass, la Guyemard, il Morère, il Faure, il Castelmary, il
David e L'Obin. L'illustre e compianto cav. Angelo Mariani, che in quel torno si trovava a
Parigi, non contento del successo appena discreto che il Don Carlos otteneva sulle
scene dell'Opèra volle tentarne una riproduzione in Italia; e la prima volta appunto che
il Don Carlos fu dato in Italia (27 ottobre del 1867) lo fu al Comunale di Bologna
con a direttore il Mariani. L'esecuzione fu straordinaria ed indimenticabile, e l'opera
ottenne uno dei più entusiastici successi. Ne erano interpreti la Stoltz e la Fricci, il
Capponi, lo Stìgelli, il Cotogni. Un pari grande successo ottenne pure il Don Carlos al
teatro alla Scala di Milano nelle esecuzioni che furono date negli anni 1868, 1869, e
1879: e pure un ottimo successo l'ottenne qui in Parma nella primavera del 1869. Fu
accolto invece assai freddamente a Londra. Finalmente il 10 gennaio del 1884 comparve
sulle scene della Scala un Don Carlos riformato e ridotto da Verdi stesso a 4 atti.
La Bruschi Chiatti, la Pasqua, il Tamagno, il Lherie, il Silvestri, e il Navarrini ne
furono gli applausitissimi interpreti. .E questo è il Don Carlos che con varia
fortuna percorre tuttora le principali scene italiane ed estere. Questa mancata
universalità di successo io credo debba attribuirsi precipuamente alla prolissità del
libretto, quantunque non sia certo uno dei più brutti musicati da Verdi. Le posizioni e
le scene drammatiche piene di passione abbondano, ma esse navigano in mezzo a un mare di
scene inutili ed oziose. Verdi domandò un dramma; lo ebbe; musicandolo ne fece un poema
non certo perfetto in tutti i punti, ma pur sempre un poema ricchissimo di pagine musicali
stupende, un poema ricco di ispirazione e di pregi artistici non comuni. Poche sono le
opere di Verdi che vantino tanti e così bei pezzi di musica come il Don Carlos,
non è tanto quindi la povertà di idee melodiose che nuoce a quest'opera, quanto la
mancanza di un concetto musicale drammatico diritto e sicuro e la conseguente unità e
omogeneità di stile e di processo tecnico. Tutti questi bellissimi pezzi musicali sono
sparsi qua e là nell'opera, ma privi come sono di legame ed unità musicale non riescono
a dare al dramma una vera a propria consistenza di arte e di teatralità. È questo a mio
debole giudizio, non solo, ma anche a giudizio autorevole di critici più di me competenti
il maggior difetto di questo melodramma di Giuseppe Verdi.
S.
L'esecuzione
La storia del Don Carlos di Verdi e del giudizio che ne ha dato la critica è
stato già riassunto da un collega, che gentilmente ha voluto dimezzare il mio carico;
quindi, per non ripetere le stesse cose, mi atterrò, questa volta, alla semplice cronaca
della serata. Anche ai vecchi, che, vent'anni fa, poterono udire al nostro Regio un
eccellente rappresentazione di questo spartito, l'odierna riproduzione non poteva non
piacere, perché la compagnia che l'eseguisce forma un complesso che, francamente non
sempre si può udire l'eguale anche in teatri che più del nostro hanno maggiori risorse.
Come sia che qui in Parma, malgrado l'esiguità della dote ed il prezzo del biglietto non
eccessivo, si possono avere, tanto spesso degli spettacoli quali difficilmente si veggono
in tante altre città; è una cosa che non mi sono mai riuscito a spiegare. Tuttavia,
siccome i forestieri lo attestano e lo confermano i parmigiani che hanno l'abitudine di
girandolare per l'Italia, convien ben dire, che, sia per fortuna, sia per abilità della
commissione teatrale, sia perché il nostro teatro goda realmente un grande credito, sia
che gli artisti bramano ricevere il battesimo di questo pubblico, che loro apre le porte
dei maggiori tempi dell'arte, il fatto sia proprio vero ed incontrovertibile. L'impresario
Bolcioni mi pare, che nel riunire la compagnia di canto, presentataci iersera si sia
lasciato guidare più da intendimenti di artista, che d'impresario. Egli ha fatto le cose
senza risparmio; proprio uno che conosce i gusti difficili del nostro pubblico, il quale
non è avaro di applausi e non lascia la cassetta vuota, quando lo spettacolo è buono.
Soltanto gl'impresari coraggiosi, qui, possono sperare fortuna; e siccome il Bolcioni s'è
mostrato coraggiosissimo, egli merita adeguata ricompensa e spero l'otterrà. La nostra
concittadina Leonilda Gabbi ha felicemente superata la difficilissima prova. Ella,
pressoché debuttante, doveva cimentarsi in una parte faticosissima e di grande importanza
e, più di tutto, col ricordo schiacciante di quella grande artista che è la Teresina
Stoltz; ricordo che se è vecchio di vent'anni, è tutt'altro che scancellato nel nostro
pubblico. Ed ella se l'è cavata con onore ed ha saputo vincere e il panico ond'era presa
e la diffidenza del pubblico. Ha una bella voce, fresca, intonata, squillante negli acuti.
Se con lo studio e l'esercizio riescirà a rinforzare il registro mediano, diventerà
un'artista da stare al pari alla sorella; vale a dire: gareggiar colle prime artiste che
ora vanti il teatro italiano. Il bravo m. Pio Ferrari che l'ha educata - con la passione
che egli mette in tutto ciò che è arte - può essere contento della brava allieva. La
signorina Gabbi ebbe in tutto il corso dell'opera segni non equivoci e non artificiali di
aggradimento da parte del pubblico. Gli applausi e le chiamate non le mancarono; ma fu
specialmente nel grande arione del quint'atto che si appalesò artista piena di merito,
pel modo, con cui seppe eseguire quel difficile pezzo. La signora Emma Leonardi è venuta
a Parma con una gran fama di bellezza e di bravura e non l'ha smentita. Se nella canzone
del velo lasciò alquanto a desiderare, ella si rialzò ben presto nel terzetto dell'atto
terzo e nella sua aria in cui poté sfoggiare tutta la potenza dei suoi eccellenti mezzi
vocali e tutta la sua arte eminentemente drammatica. Ella pure ebbe applausi e chiamate in
coppia; ma sono persuaso che il di lei successo si affermerà maggiormente nella parte di Amneris,
che mi pare le si debba attagliare più che a quella dell'Eboli. Notati, ammirati,
invidiati gli splendidi e copiosi diamanti che quell'elegantissima artista portava. In
tanta penuria di tenori, il sig. Signorini è uno di quei cantanti ai quali è riserbata
una fortuna, se saprà conservarsi il tesoro che ha in gola e non lo prodigherà con
quella generosità spensierata dei giovini, i quali pare non pensino che la voce se ne va
anche quando se ne ha dovizia. L'esecuzione di questo tenore tiene del prodigioso. Egli
sale, sale... talvolta fino ad oltrepassare il segno. Nel duetto dell'amicizia - che
desidererei egli dicesse un po' più a fior di labbro conformandosi al metodo del suo
esimio compagno - egli prende, di lancio un do naturale che è una bellezza, quando
non è esuberante. Il pubblico - con la poca discrezione che lo distingue - volle che lo
ripetesse ed egli, gentilmente, lo compiacque, riuscendogli, la seconda volta, quella nota
azzardata, ancora meglio della prima. Del resto il Signorini canta e rappresenta la sua
parte con grande impegno. Egli prodiga tutto se stesso e se il pubblico l'ha ricompensato
con un'accoglienza calorosissima durante tutta l'opera, ciò fu pretta giustizia. Un buon Filippo
è il basso Beltramo, che ha voce sonora ed estesa. Egli ha cantato molto bene la sua
bellissima romanza; solo che nella cadenza ha voluto strafare, e ciò gli ha nociuto e gli
ha sottratto buona parte degli applausi che, prima, si era meritato. Sono persuaso che se
egli si limiterà ad eseguire detta cadenza com'è scritta, l'effetto non potrà mancare.
Altro buon basso è il sig. Coda, che ha voce robusta e simpatica. L'avverto, però, che
il pubblico se lo ha trovato cieco a sufficienza, ha dovuto pure convenire, che, per
essere un nonagenario, egli è troppo ben conservato. Qualche dozzina di rughe di più sul
volto ed una barba più veneranda non sarebbero fuori di proposito. Mi sono riserbato di
parlare per ultimo del cav. Kaschmann. Perché?... Mah! Forse perché, dopo aver encomiato
tanti artisti, non mi accadrebbe di mostrare esaurito il dizionario degli epiteti
laudativi; dacché mi pare, che, con un artista siffatto, le parole, s'inventerebbero. Del
resto, tutti gli elogi si possono condensare in questa sola frase: il Kaschmann è un
grandissimo artista. Bella, pastosa, squillante, duttile è la sua voce. Questa, sia che
egli la trattenga, sia che la lasci prorompere in scoppi possenti, ha la virtù di
riempiere sempre la sala e di molcere dolcemente l'orecchio all'uditorio. E come la sa
modulare, e con qual'arte squisita egli accarezza, vezzeggia certe frasi! Che delizia
sarà mai stato il teatro, quando gli artisti cantavano tutti a quel modo! Né soltanto
cantante finissimo si appalesa il Kaschmann. Egli è un artista in tutto. Non credo che si
possa rappresentare il personaggio del Posa con maggiore distinzione e verità.
Accurato in tutti i particolari del vestiario elegantissimo, sobrio nel porgere, egli, è
l'ideale del cavaliere. È superfluo dica, aver egli ottenuto un successo strepitoso. Gli
applausi proruppero sempre fragorosissimi dal principio alla fine; ma forse ciò che più
a lui saranno riesciti graditi erano certi scoppi di approvazione, a stento trattenuti,
che partivano dai buongustai, a talune sue frasi, rese con una virtuosità, che,
purtroppo, ora va scomparendo. Il punto culminante, per lui, è stato, però, la scena
della morte. Con quale delicatezza, con quanta commovente mestizia, con quante lagrime
nella voce egli abbia cantato la sublime melodia: "Per me giunto è il dì
supremo," è impossibile dire. Il pubblico ne rimase talmente entusiasmato, che,
terminata l'aria volle riudirla ed egli la ripeté con crescente effetto. E terminato
l'atto, si vide tutta la platea alzarsi in piedi e dai palchi sporgersi gli uomini ad
applaudire freneticamente. Fu un momento solenne, che si ripeterà - probabilmente in
misura maggiore - tutte le sere che quel grande artista starà fra noi. Dacché è
inutile; quando si è sentito una volta il Kaschmann, bisogna risentirlo e risentirlo
ancora. Non c'è scampo. Delle parti comprimarie è buona la Florio Adele. Inquanto al
Barbieri, al quale era affidata la duplice parte di Lerma e di Araldo, in
causa ad indispozizione, egli si presentò talmente afono che la parte di Araldo dovette
assumerla - senza averla mai prima eseguita e senza prove - il corista Pasini, il quale
poveretto, se la cavò mica male. Quest'anno l'orchestra è composta di ottimi elementi ed
il direttore sig. Conti ne ha saputo trar profitto . Egli si è appalesato un bravo
concertatore e direttore. Un bell'effetto - applauditissimo - ha ricavato dalla frase del
duetto dell'amicizia, che l'orchestra ripete in fin d'atto. Al contrario lo stupendo
preludio dell'atto quinto è passato sotto silenzio. Ricordo che l'esimio m. Ferrarini
faceva - quando lo diresse qui, vent'anni fa - andare il pubblico in visibilio ed il pezzo
era costantemente bissato. I cori - forse conseguenza del Natale - potevano andar meglio.
Quei cinque frati, foderati da altrettante comparse, che nel gran finale hanno una frase
staccata, sono assolutamente insufficienti. I deputati flamminghi, poi hanno stonato comme
des vrais gueux. Speriamo meglio per stasera. Il balletto delle perle - appiccicato
con lo sputo, per assecondare l'esigenza dell'Opera anche quando è dato come va -
rappresentato invece, come lo è presentemente, riesce una piccola mostruosità senza capo
né coda e lo si potrebbe magari sopprimere senza inconveniente. Sarebbe spiacevole solo
perché, allora, non si avrebbe molto modo di ammirare la signorina Corona, che è una
bella ragazza ed una graziosa danzatrice. Il sig. prof. Giacopelli è riuscito a non far
troppo ricordare che abbiamo, da poco, perduto quel grande scenografo di fama mondiale che
fu Girolamo Magnani. Non tutte le scene dateci dal Giacopelli sono di eguale pregio. Mi
piace, tuttavia, ricordare la prima, rappresentante una nevicata nel bosco di
Fontainebleau, che è riuscita un quadro di stupendo effetto e meritamente applaudito.
Ritengo che stasera, passato il panico e rinfrescatisi gli animi, certe piccole incertezze
ed oscillazioni, avvertite iersera, lungo la rappresentazione, non si ripeteranno ed il
complesso dello spettacolo apparirà, ciò che a me è sembrato fin dalle prove: cioè,
tale, d'appagare anche i più esigenti di questo esigentissimo pubblico.
Z.
"Gazzetta di Parma" del 9 gennaio 1890
LA PRIMA DELL'AIDA
Sarò brevissimo, dacché, né dell'Aida datasi altre tre volte in questo teatro
regio, né degli artisti che l'eseguiscono, già quasi tutti noti al pubblico, quale li ha
potuti degnamente apprezzare nel Don Carlos, conviene insistere. Farò piuttosto la
cronaca della serata; ma se in questo mio compito mi spiccerò presto, mia non sarà la
colpa, dacché poco vi è da registrare. Fu applauditissimo il tenore, dopo la sua romanza
e dopo il duetto con la signorina Gabbi, del quale parte del pubblico fece ripetere la
cadenza. Fu pure assai applaudita la signorina Gabbi nella sua aria del terz'atto, la
quale, effettivamente accentuò con sentimento alcune frasi. Alla bellissima signora
Leonardi non poteva mancare un plauso, dopo il suo arione e l'ebbe, infatti, vivo ed
insistente. Tutto il resto, se ben ricordo, passò sotto il silenzio. Tuttavia
sconsiglierei gli artisti tutti, che hanno parte nell'Aida, ad interpretare quegli
applausi come un'approvazione sincera, incondizionata del vero pubblico parmigiano. Per
esser sincero, dirò che, sia per l'orgasmo degli artisti, sia per insuffìcenza di prove,
causa le indisposizioni che hanno colpito taluni di essi, questa Aida mi parve
troppo strapazzata. Francamente, mi parve di assistere ad un'antiprova generale.
Sovrabbondavano gli urli e le stonazioni. Anche il concerto e l'esecuzione orchestrale
risentirono grandemente dell'affrettata messa in scena. Esitazioni e disattenzioni se ne
sono notate parecchie sul palcoscenico ed in orchestra. Inoltre i tempi peccavano quasi
tutti per soverchia celerità. In orchestra nessun colorito. Insomma: un'Aida,
niente celeste, ad onta delle assicurazioni del tenore. Speriamo meglio nelle prossime
rappresentazioni. Del baritono sig. Sammarco non mi azzardo dare un giudizio, essendosi
prodotti in condizioni eccezionali. Mi pare, però, egli abbia buoni mezzi vocali ed una
discreta attitudine per la scena. Egli è molto giovane, perciò, con lo studio, potrà
magari pervenire a farsi una bella posizione nell'arte. La messa in scena è molto
decorosa. Belli e freschi i vestiari; più che decenti gli attrezzi. Il prof. Giacopelli
ha presentato delle scene assai commendevoli e che mi parvero superiori a quelle del Don
Carlo. Noto due cose, che mi sembrano stonature. Il tenore ha creduto bene d'indossare
una maglia scura scura, come se dovesse rappresentare un moro. Gli egiziani sono bianchi,
come noi ed è la prima volta che veggo un Radamês di colore bronzino. Altra cosa
notevole è quell'aquila bicipite che fa bella poma di sé dietro il trono del Faraone.
Se questi fosse contemporaneo di Enrico l'uccellatore, direi che il trono egiziano
è un gentil dono del sire d'Allemagna al real cugino del Nilo. Peccato che tra l'uno e
l'altro ci passi qualche migliaio d'anni. Per finire... più allegramente di quanto o non
abbia cominciato.
Dialogo tra un celebre artista, freddurista impenitente ed un suo vicino.
- Sapete cosa contengono que' due vasi che vengono portati in processione al second'atto?
- ?
- ... Terra di Egitto.
- ?!!
- Non avete sentito, nel prim'atto, l'araldo, il quale dice che il sacro suolo dell'Egitto
è in... vaso?
Si sono subito avvertiti dei casi di influenza fulminante.
Z.
"Gazzetta di Parma" del 16 gennaio 1890
Per ragioni dette altrove, nessuno dei nostri soliti cronisti teatrali ha potuto
intervenire alla rappresentazione di iersera, qundi la cronaca attuale non è che il
risultato d'informazioni assunte da persone che vi si trovavano presenti. Come fu narrato
ieri, l'impresa del Regio, visto compromessa la prosecuzione dello spettacolo, in seguito
alla malattia del tenore Signorini, telegraficamente scritturò a Milano il tenore Salto,
il quale fece... un medesimo dal Caffé Biffi al palco scenico del nostro massimo,
dove si presentò sotto le spoglie di Radames senza fare nemmen una prova.
L'esordio del Salto fu felicissimo; la "celeste Aida" fu applaudita
freneticamente; l'entusiasmo subito sbollì. Al second'atto vi fu silenzio glaciale; al
terzo atto a degli applausi imprudenti, quasi provocatori, venne risposto con fischi
serpentini. Al gran finale la platea dava una pallida idea di ciò che era in addietro la
fiera di S. Giuseppe. Anche al quart'atto vi furono disapprovazioni. Dopo questo
risultato, il tenore Salto fece un altro medesimo da Parma a Milano ed ora pare che
l'impresa stia cercando un altro artista. La signorina Gabbi aveva fatto annunciare
d'essere indisposta; ma tale, per verità non parve, perché cantò come al consueto e fu
applauditissima. Applauditi assai furono pure la signora Leonardi ed il baritono Sammarco.
Z.
"Gazzetta di Parma" del 22 gennaio 1890
Allo scopo di dare un conveniente riposo al tenore Signorini, l'impresa è venuta nella determinazione di scritturare un altro tenore nella persona del sig. Vincenzo Ghilardini. Il Ghilardini, quantunque da poco in carriera, ha già cantato con successo a Macerata, a Ferrara, al Comunale di Trieste ed utilmente al Reale di Madrid. Il nostro pubblico è quindi chiamato a giudicare un modesto giovane che muove, direi quasi, i primi passi nell'arte, ed io sono persuaso lo farà senza precipitazione e con quell'imparzialità che lo distingue. Al Ghilardini auguro quindi le più liete sorti.
"Gazzetta di Parma" del 24 gennaio 1890
La sesta rappresentazione dell'Aida, ha ottenuto anche ieri sera, specialmente a quel paradisiaco atto terzo un grandissimo successo. Il Ghilardini si è saputo conservare il favore del pubblico che pure ieri sera a più riprese lo ha meritamente e entusiasticamente applaudito. L'egregio artista può andare superbo del successo ottenuto al nostro Regio. Ottimamente pure tutti gli altri.
"Gazzetta di Parma" del 29 gennaio 1890
Ed ora una buona notizia: una vera sorpresa. Kaschmann, l'illustre Kaschmann, ha
accettato di cantare in una terza opera. Si è quindi stabilito, invece del Trovatore
di un esito assai dubbio, di dare l'Ernani. Oltre il Kaschman, (Carlo V.) che
sarà l'attrattiva maggiore, l'opera verrà interpretata dal Signorini, dal Beltramo e da
una nuova prima donna all'uopo scritturata per la parte di Elvira. L'opera anderà
in scena entro la ventura settimana. Per ora basta l'annuncio.
S.
"Gazzetta di Parma" del 31 gennaio 1890
La rappresentazione dell'Aida è proceduta ieri sera regolarmente ed ottimamente
sino alla fine. Tutti gli artisti furono come sempre applauditissimi. Ma..., qui
cominciano le dolenti note, al calar della tela sull'ultimo atto, parte del pubblico e
molti abbonati hanno lanciato nell'aere alcuni fischi intercalati dalle grida di: basta
dell'Aida. Colla piccola ma significante dimostrazione di ieri sera il pubblico, pur
apprezzando il valore di tutti gli egregi interpreti, ha dimostrato di essere già assai
stanco di queto secondo spettacolo. Questo per la cronaca. La solerte impresa acquieterà
certamente questo lieve malumore degli abbonati mettendo in scena prestamente il promesso Ernani.
Intanto per sabato è annunciata la penultima rappresentazione del Don Carlos col
celebre Kashmann. Un bel teatro è quindi assicurato.
S.
"Gazzetta di Parma" del 9 febbraio 1890
Forse quella di ieri è stata la serata più brillante della stagione. Nei palchi un mondo di bellezze muliebri, tra cui, ammiratissime le signore Kaschmann e Leonardi; nei posti riservati, in platea pure una gran folla. Tuttavia, prima che si alzasse il sipario, era visibile una insolita agitazione anche per chi non aveva prestato orecchio ai discorsi che si facevano al caffé, dal barbiere e negli altri luoghi di pubblico ritrovo. Erano ciarle, pettegolezzi, che, usciti dalpalcoscenico, dalle quinte, narrati da un professore d'orchestra, esagerati da un corista, svisati da una comparsa avevano fatto presa in una parte del pubblico ed avevano generato una corrente di ostilità precisamente contro l'artista, che, fino allora, era stato fatto segno a dimostrazioni del più schietto entusiasmo. In che consistessero siffatte voci, io stesso non potrei ripetere, tante e così contraddicenti furono le versioni raccolte; che grado di veracità, di attendibilità avessero meno ancora. Sono le solite miserie dei piccoli centri, in cui si dà un'importanza straordinaria, eccezionale a tutto ciò che riguarda il teatro. L'accusa, però, che ho più di frequente sentita ripetere contro il Kashmann - perché era appunto contro questo insigne artista che era rivolto il malumore del pubblico - è che avesse ritardato l'andata in scena dell'Ernani, protestando un'indisposizione. Ora che il Kashmann, anche iersera, fosse nella pienezza, de' suoi mezzi, tutti hanno potuto convincersi, anche senza bisogno di constatare de visu che portava sul petto un vescicante. Se egli mostravasi renitente ad esporsi in un'opera nuova non già per un puerile capriccio di celebrità isterica, come s'andava da taluni dicendo; se egli, in ultimo, acconsentì a cantare, ciò fu per condiscendenza verso l'impresa e per non esporla a subire maggiori danni, obbligandola a tener chiuso il teatro, od a riprodurre uno spartito già completamente esaurito. Ma la verità - ché pure è sempre piana, semplice, naturale - non era conosciuta, o da ben pochi; mentre le ciarle dei pettegoli avevano fatto rapido corso. Ne avvenne che allorquando si presentò su la scena Kaschmann, sotto le spoglie di Carlo V s'intese in platea un zittio assai significante. Fu un lampo, perché la gran maggioranza del pubblico, tosto reagi con un lungo, fragorosissimo battimano. Era quella la manifestazione di un pubblico equo quanto intelligente, il quale giudica gli artisti man mano che si presentano a lui, senza badare a ciancie sciocche ed inutili, degli sfaccendati o dei malevoli. Tuttavia, l'inusitata accoglienza, unita ad una reale indisposizione, parve impressionasse sì fortemente il Kaschmann, il quale, durante il prim'atto, non pareva più lui. Egli, però, si rimise ben tosto ed in modo da prendersi una splendida rivincita. Quando Kaschmann ebbe cantato il famoso: "Lo vedremo, o veglio audace:" il padrone della situazione era ancora lui; il malumore di parte del pubblico - che, in fin de' conti, non era che una bouderie d'innamorati - si dileguò per incanto e non si videro che mani in alto per applaudire e bocche spalancate per acclamare. Appunto in questo pezzo il celebre artista si rivelò sotto un aspetto nuovo. Nel Don Carlo avevamo applaudito Kaschmann nel genere piuttosto patetico. Qui, invece, si rivelò artista pieno di fuoco e di forza, ottenendo sempre il risultato d'impressionare vivamente il pubblico. Il successo andò ancora aumentando alla romanza, che Kaschmann eseguì in modo adorabile e che il pubblico, ad ogni costo, volle riudire, per arrivare al punto culminante nel gran finale dell'atto terzo. Dopo il quale, il pubblico insistette a lungo per rivedere al proscenio il bravissimo artista, assieme a' suoi compagni. Un tal successo ha pure avuto la signora Negroni, la quale si presentava, per la prima volta su queste scene. La parte di Elvira è una delle più difficili dell'odierno repertorio, comeché richiede nell'artista che l'eseguisce forza, impeto ed una sufficiente agilità; cose che le artiste d'oggidì raramente accoppiano. Ma la sig. Negroni quantunque non abbia un volume straordinario di voce, s'è tratta d'impegno, assai applaudita tanto nell'adagio come nella cabaletta della sua aria specialmente nel terzetto finale, in unione al tenore Signorini ed al basso Beltramo; pezzo che suscitò immensi applausi. Il Signorini ha potuto fare sfoggio della magnifica sua voce, che, però, talvolta, come un cavallo di sangue, gli prende la mano. Ed il basso Beltramo s'è pure mostrato cantante serio, dotato di bei mezzi vocali. Del complesso dello spettacolo ci sarebbe molto a ridire. Evidentemente, di quest'opere, che passano per vecchie, s'è perduta, ormai, la tradizione. I giovani, avvezzi ad altra musica, non ci si raccapezzano più. E poi con gli spartiti di quel genere non si fan tanti complimenti. Si tira giù come vien viene, senza preoccuparsi se, per caso, non viene del tutto bene, oppure vien male a dirittura. Che ci si può fare? Convien pigliare il mondo come viene e dichiararsi paghi, anche quando, in fondo, non lo si è. Del resto, non dubito che, quetati gli animi, scomparse le apprensioni, dimenticati i malintesi, questa sera l'Ernani non solo affermerà, ma aumenterà il successo di ieri.
"Gazzetta di Parma" del 17 febbraio 1890
Iersera il pubblico, andato numerosissimo a teatro, ha avuto la brutta sorpresa
d'apprendere che il cav. Kaschmann ed il tenore Signorini, per causa d'indisposizione, non
potevano cantare e che sarebbero stati sostituiti, il primo dal Sammarco e l'altro dal
Ghilardini. Tale annunzio indispose fortemente il pubblico, non contro il tenore
Signorini, la cui indisposizione era stata annunciata fin dalla sera prima; ma contro il
Kaschmann. Tutte le ciarle ed i pettegolezzi dei passati giorni, che procurarono
all'insigne artista un principio di dimostrazione ostile, assieme a ciarle ed a
pettegolezzi recenti, tosto riscaldarono la testa a buona parte del pubblico. Si diceva
che l'indisposizione addotta dal cav. Kaschmann era un pretesto per non cantare e mettere
così in imbarazzo l'impresa e fargli perdere una bella serata; che il Kaschmann aveva
voluto usare uno sgarbo al pubblico e cento altre cose di simil genere. Perciò, quando si
presentò su la scena il baritono Sammarco, fu accolto da grandi applausi e gli applausi
fragorosissimi lo seguirono lungo tutta la rappresentazione. Anche tutti gli altri
artisti, compreso il tenore Ghirlandini, furono sempre oggetto di dimostrazioni più che
simpatiche; mentre, gli applausi erano intrammezzati da grida di: abbasso Kaschmann! E fin
qui, avesse il pubblico torto o ragione, la dimostrazione s'era contenuta entro i limiti.
Ma, invece, parte di esso non se.ne contentò e, non pensando che gli artisti, quando sono
fuori dal teatro sono cittadini come tutti gli altri e, perciò, hanno il diritto di
essere rispettati, e non pensando nemmeno che il cav. Kaschmann ha seco la moglie ed una
tenera bambina, ai quali una dimostrazione inattesa ed a quell'ora, poteva essere cagione
di grave spavento - come infatti accadde - alcune centinaia di persone si recarono, appena
terminato lo spettacolo, davanti all'Albero del Leon d'oro - dove alloggiava il
celebre artista, per farvi un rumorosissimo charivari. I fischi, gli urli, le grida
di: "abbasso Kaschmann" ci fu persino uno che urlò: "abbasso il
tedesco," non sapendo che Kaschmann è triestino e... renitente alla leva - durarono
un pezzetto; quindi, avendo qualcuno dell'albergo assicurato che il Kaschmann non vi si
trovava, qualcuno della folla pensò egli potesse essere in casa Baistrocchi, e senza
pensar altro, la folla si portò davanti a detta casa; rinnovandovi la dimostrazione di
prima. A questa sua seconda tappa, la dimostrazione che era sempre stata seguita da
guardie e da delegati, i quali, molto prudentemente, si erano limitati ad esortare la
calma e la tranquillità, ben vedendo che non era cosa da pigliarsi troppo sul serio;
finalmente si sciolse. Francamente, in questo duplice charivari, mi pare scorgervi
l'influenza della domenica di carnevale; un po' di vino bevuto; e, soprattutto, il bisogno
di fare un po' di chiasso e di cagnara. Il carnevale, quest'anno, corre via
piuttosto magramente; quindi l'indisposizione del Kaschmann offriva un pretesto di fare un
po' d'allegro baccano e l'occasione non se la seno lasciata sfuggire. Tale la cronaca
genuina dei fatti occorsi. Ma i lettori - massime quelli che non han preso parte a
dimostrazioni di sorta - mi domanderanno: in fin de' conti Kaschmann era realmente
ammalato? Ecco: io non sono medico e nemmeno figlio di medico, quindi non posso attenermi
che a quanto hanno dichiarato i medici, i quali hanno visitato l'artista ed a ciò che
dice lui stesso. Il cav. Kaschmann dice:
Trascorse le dodici rappresentazioni del Don Carlo, io non ne voleva sapere di
cantare nell'Ernani mi era sopravvenuto un raffreddore, che mi toglieva l'uso di
tutto i miei mezzi vocali. Tuttavia, cedendo alle sollecitazioni della commissione e
dell'impresa, accettai di cantare per altre sei rappresentazioni. Tutti hanno potuto
constatare che, alla prima rappresentazione dell'Ernani, non stavo bene in voce e
che nemmeno nelle susseguenti le cose erano di molto migliorate. Cantare su un raffreddore
- lo dicono tutti i cantanti - è esiziale per la voce. Bisogna dire che, per la mia
beneficiata, mi sia affaticato e riscaldato più del solito o che nell'andare a casa abbia
preso un po' di freddo, perché la mattina dopo, ero affatto giù di voce; aveva un senso
d'oppressione alla gola e del catarro. Tuttavia, era tanto il mio desiderio di cantare e
di salutare, per l'ultima volta il pubblico parmense che, pure avvisando l'impresa - dalla
quale aveva già ricevuto la somma pattuita per ogni rappresentazione - dello stato in cui
mi trovava, la pregai ad attendere fino alle 5 sperando, che, nel frattempo, le condizioni
della mia gola sarebbero migliorate. Ma, persistendo, a quell'ora il primiero stato di
cose, dichiarai non potere assolutamente cantare. Venne il prof. Jung - medico del teatro
- il quale mi rilasciò un certificato, con cui dichiarava che la mia gola trovavasi in
stato anormale; il dott. Canali, mio medico curante, testificò pure che, da parecchi
giorni era raffreddato; perciò restituii le 800 lire ricevute dall'impresa credendo, in
coscienza, di nulla avermi a rimproverare. E perché - soggiungeva il Kaschmann - avrei
dovuto rifiutare di cantare, se realmente non fossi stato indisposto? Il pubblico mi ha
accolto sempre bene; per la mia beneficiata ho ricevuto dimostrazioni lusinghiere assai,
quelle 800 lire, finalmente, non son gran cosa; ma quando si possano guadagnare in due
ore, sarebbe una minchioneria rinunziarvi.
Ecco, in breve, cosa ha detto l'illustre artista, quando andai, stanotte, dopo la
dimostrazione, ad intervistarlo. In quanto a me, posso aggiungere che ho letto i
certificati dei medici conformi a quanto l'artista ha dichiarato e che la voce di
quest'ultimo, più che velata, appariva roca addirittura. Malgrado questo, fossi stato nei
panni del Kaschmann - appunto per i precedenti che vi erano stati e per evitare l'accusa
di artista bizzoso - mi sarei fatto portare su la scena, magari in portantina, dopo ben
inteso, aver fatto spiegare al pubblico il perché ed il per come. E se il pubblico avesse
disapprovato, il torto sarebbe stato interamente di quest'ultimo. In tal modo si sarebbe
evitata una manifestazione ostile, tanto più spiacevole, in quanto che venne diretta ad
un artista così valente. Purtroppo, gli artisti del merito del cavalier Kaschmann ci è
dato avere troppo di rado. Fa quindi dispiacere che, proprio in ultimo, siano stati così
violentemente spezzati quei vincoli di mutua simpatia, che dovrebbero sempre regnare tra
un artista che ha toccato la celebrità ed un pubblico intelligente. Il racconto
circostanziato ed imparziale degli avvenimenti teatrali di iersera, mi ha fatto perdere di
vista la seconda edizione dell'Ernani. Ho già detto che gli esecutori tutti furono
applauditissimi; e questo è l'essenziale. Tuttavia, non considero quella
rappresentazione, nemmeno quale una prova generale. Il tenore Ghirlandini ed il baritono
Sammarco, i quali sono andati in scena, senza aver mai, non solo provato, ma nemmeno
precedentemente cantato l'Ernani, hanno fatto un tratto d'audacia veramente
eccezionale. Il pubblico li ha ricompensati con una festosa accoglienza ed ha fatto
benissimo; ma a giudicare serenamente del loro valore, riesce impossibile, nelle
condizioni, in cui si sono esposti. Mi riserbo quindi a parlar di loro dopo una seconda
rappresentazione, se, come pare, lo spettacolo tirerà innanzi fino a domenica prossima.
Z.
Stasera la brava e bella signora Emma Leonardi darà la sua serata d'onore coll'ultima definitiva rappresentazione dell'Aida. Oltre tutta l'opera l'egregia seratante canterà la romanza della Favorita: O mio Fernando. Speriamo che il pubblico vorrà accorrere numeroso stasera al teatro a festeggiare la brava artista. La rappresentazione a prezzi ridotti è compresa in abbonamento.
"Gazzetta di Parma" del 30 gennaio 1890
PARMA MUSICALE
Il nostro egregio concittadino signor A. Bersellini, attuale redattorecapo del Sole di
Milano, pubblica sul Mondo artistico un interessante articolo su Parma musicale.
Persuaso di fare cosa grata ai miei lettori lo ristampo integralmente.
"Una delle notizie artistiche accolte con vivo interesse da tutta l'arte, è stata
certamente quella della nomina e della accettazione del maestro Faccio a direttore del R.
Conservatorio di Parma. Faccio va a succedere a Bottesini, il quale, in breve volgere di
tempo, aveva pur saputo col suo nome richiamare sopra l'antico istituto musicale di Parma
l'attenzione generale. Parma, fra le città italiane, è una di quelle che sempre hà più
brillato per l'attitudine e la passione per l'arte: la tradizione risale lontano ed è
andata sempre più affermandosi. A Parma si potrà rinunziare a tutto, ma non al teatro;
sarebbe una sollevazione generale. I parmigiani pel loro teatro Regio hanno una specie di
venerazione: vecchi e giovani sono tutti concordi in questo, di non permettere che si
rechi sfregio al loro maggior tempio dell'arte; guai a quell'artista che ciò non
comprendesse e che credesse di andare sul palcoscenico del teatro Regio, come si va in uno
dei tanti teatri di provincia. Feroce nella demolizione, il pubblico parmigiano è
altrettanto espansivo nelle manifestazioni dell'entusiasmo: esso non bada niente affatto
se un artista gli va con un nome noto o non noto; vuole giudicare di sua testa, colle
proprie orecchie, senza ammettere né patrocini, né camorre esteriori. Così avviene che
mentre non è senza panico che gli artisti affrontano quella temuta ribalta, non è pure
senza soddisfazione. È che il pubblico parmense - così fiero e così spedito né suoi
giudizi - ha un innato istinto musicale ed una cultura, ch'egli va continuamente
arricchendo per mezzo del suo orecchio, cui nulla sfugge della musica che ode e che,
guidato da un gusto altamente squisito, gli vale per affermare l'autorità del suo
giudizio. Nella classe media, nella classe operaia in ispecie, la passione per la musica
raggiunge la frenesia: la sera di spettacolo - quando vi ha qualche cosa d'importante -
attorno a quel monumento imponente, che è il teatro Regio, la gente s'accalca, paga di
potere afferrare, uscente dai finestroni, una frase musicale dell'orchestra, o una nota
d'un cantante. Da un Santo Stefano all'altro, in certi caffé non si fa che parlare di
teatri e di artisti: vi sono taluni che si possono qualificare come veri giornali teatrali
ambulanti. Conoscono di nome e di fama tutti i cantanti, dal più celebre al più
modestamente noto; vi sanno dire delle scritture, dei successi, del domicilio di ciascun
di essi, come se si trattasse del più prossimo loro parente. Nel giudicare in generale,
non adoprano i mezzi termini: o nella polvere, o sugli altari. Ma se lo mettono essi sugli
altari, un artista c'è davvero. Tutto questo, che non è senza orgoglio, è però
giustificato: Parma non ha avuto soltanto pel passato dei grandi spettacoli, ma ha dato
all'arte e al teatro dei veramente celebri artisti. Se oggi il teatro Regio di Parma è
uno dei più importanti teatri della Penisola; allora, sotto i governi ducali, era uno dei
primissimi; Maria Luigia e Carlo III volevano che gareggiasse colla Scala, col San Carlo,
ecc. ecc. Le opere più acclamate e i più rinomati artisti passavano per quel
palcoscenico, che ogni teatro può invidiare. Alcune opere di Bellini e di Donizetti
furono scritte espressamente per Parma, ed inoltre scrisse Gualtiero Sanelli, educato
appunto nel Conservatorio di Parma, anima eletta per ispirazione e mente nutrita, ma
troppo presto spenta. I vecchi rammentano ancora i di lui successi colla Luisa Strozzi e
col Fornaretto. Da Ferdinando Paer, anch'egli parmigiano, si può dire ai nostri
giorni, Parma è sempre andata ognor più affermando la sua spiccata caratteristica
musicale; senza andar oltre, negli ultimi trent'anni Parma ha dato all'arte dei nomi
rispettati: De Giovanni, Giovanni Rossi, Dall'Argine, Ferrarini, Usiglio, Bolzoni, Primo
Bandini, Manlio Bavagnoli, senza poi contare gli artisti, fra i quali citeremo soltanto
quelli che stabilironsi una celebrità: Ferri e Cosselli baritoni; Negrini, Calzolari,
Naudin, Campanini, tenori. Ma venendo al Conservatorio, dobbiamo soggiungere ch'esso ha
sempre dato specialmente un numerosissimo contingente di valorosi istrumentisti alle
orchestre; le principali dei teatri d'Italia e dell'estero sono a farne fede: la stessa
orchestra della Scala conta non pochi istrumentisti usciti dal Conservatorio di Parma. Il
quale se ha avuto dei periodi splendidi, ne ha tuttavia avuto uno in cui quasi pareva più
non mantenesse il suo antico prestigioso; quello che precedette la nomina a direttore del
compianto Bottesini. Ora però nuovamente si risolleva - e crediamo che l'opera del Faccio
varrà a dargli ancora maggiore rinomanza. Un artista come Faccio, giovane ancora, con una
grande coltura, un grande ingegno e uno sterminato affetto per l'arte - potrà da Parma
emanare un luminoso raggio d'arte e di gloria. Faccio troverà in quella cara città un
pubblico, che gli sarà riconoscente per quanto egli farà onde darle maggiore lustro
artistico; troverà dei patrizi che metteranno a sua disposizione e la loro influenza e
occorrendo la loro borsa purché per l'arte si faccia; troverà nei professori, che da lui
dovranno dipendere, degli amici, che coopereranno all'incremento dell'istituzione. Giulio
Ferrarini, Pio Ferrari, artisti elettissimi, che onorano la loro città, per la quale
spesero e spendono tanta parte della loro intelligenza, assieme ai loro colleghi, saranno
altrettanti alleati di Faccio. Da rilevare ancora una altra persona egregia, per mente,
per cuore, per servizi resi alla sua patria. Giovanni Mariotti, ha ora messo nel
Conservatorio, che presiede, tutto il suo orgoglio; e che Verdi - il quale non può
dimenticare che a pochi chilometri da Parma, giace il paese che lo vide nascere, - ha
anch'egli rivolto la sua attenzione all'Istituto. Dunque è tutto un orizzonte nuovo e
simpatico, che si para dinnanzi, è una nuova alba che sorge e a cui l'arte non può
distogliere lo sguardo. Ed a quest'alba che sorge così bella e serena noi pure
salutiamo."
"Gazzetta di Parma" del 4 gennaio 1890
Se l'Arte oggi veste grammaglia non la si deve rimproverare di cortigianeria. Giuliano
Gayarre fu un principe delle scene; ma tutto il mondo civile si curvò piuttosto sotto il
suo scettro; nessuno pensò mai a ribellarglisi. L'epiteto di divo che
gl'impresari, esercitando il lenocinio del loro mestiere, appiccicano compiacentemente sui
cartelloni a solletico di boriose celebrità; gli andava di pien diritto. In questo
ventennio, altri tenori hanno potuto vantare potenza di polmoni, o duttilità di gola;
nessuno più di Gayarre è riescito ad affascinare, ad estasiare il pubblico; nessuno ha
fatto provare agli ascoltatori la voluttà di un canto che avvolgeva come in un'atmosfera
paradisiaca tutta le loro persone e conquideva e rapiva le loro anime. Era nato a Gerona,
in Spagna, da poverissimi genitori. Appassionatissimo per la musica, studiò in patria il
canto, poi venne a Milano per perfezionarsi. Povero in canna e tapino più che mai, verso
il 1870 accettò una scrittura di secondo tenore nell'opera l'Elixir d'amore pel
teatro di Varese. Fortuna volle che il primo tenore, non essendo piaciuto, si decidesse
per salvare la posizione, ad ammalarsi. La di lui parte fu offerta en dèsespoir de
cause al Gayarre, il quale accettò e mandò in visibilio i varesini. Tuttavia il
successo di Varese non l'aveva menato molto lontano. Egli era più che mai trito e privo
di scritture, quando all'impresario G. B. Lasina, il quale doveva ammanire lo spettacolo
di questo teatro regio pel carnevale 1870-71, venne la buona idea di scritturarlo e l'ebbe
per un tozzo di pane. Il povero Gayarre era, allora, sì male in arnese, che l'impresario
anticipò qualche fondo, affinché si potesse rimpannucciare e presentarsi alla piazza
senza far troppo scomparire sè stesso e lui, l'impresario. In appresso, il Lasina vantava
sempre, a proposito del tenore scovato tra la muta famelica che si aggira per le vie di
Milano, il suo ottimo fiuto di can bracco; ma, francamente, credo egli fosse un orbo che
aveva trovato un ferro di cavallo, in mezzo la via. La prevenzione del pubblico parmigiano
per questo sconosciutissimo tra gli sconosciuti era, per verità, poco buona ed il
malumore contro l'impresario e la commissione teatrale perché s'era formata una compagnia
quasi tutta di esordienti - oltre il Gayarre erano stati scritturati la Conti-Foroni ed il
baritono Bastianelli - non era poco. Venne il Santo Stefano. Si rappresentavano I
lombardi a la prima crociata. Il prologo andò abbastanza bene. Il Bastianelli piacque
piacque anche la Conti-Foroni ed il resto. Finalmente al rialzarsi del telone si presenta
Gayarre per cantare la cavatina. Campassi cent'anni, ricorderò sempre quel momento. Mi
trovavo nel palco n. 29 seconda fila con altri amici. Con noi era pure il compianto prof.
Torrigiani, allora in tutta la vigoria della persona e della mente. Al modo con cui
Gayarre declamò il breve recitativo, noi tutti aguzzammo le orecchie; ma quando a mezza
voce o con un fare indifferente, come se facesse per celia, ebbe intonato: "La mia
delizia infondere," ci guardammo in faccia trasognati: non potevamo credere nè ai
nostri orecchi nè ai nostri occhi. Terminata quell'aria, il pubblico sembrava diventato
matto. Un'esplosione di entusiasmo simile non ricordo aver mai visto. - Ragazzi miei -
disse il prof. Torrigiani - è un pezzo che non si è sentito un artista eguale; ma state
certi che si starà ancora di più senza sentirne un altro. Dopo i Lombardi vennero
eseguiti il Ballo in Maschera ed il Rigoletto, con sempre crescente
successo. Bisognava sentire con che chic Gayarre cantava "la donna è
mobile" e diceva il "bella figlia dell'amore"! La primavera seguente,
essendo impresaria la famiglia teatrale, si diedero una dozzina di rappresentazioni di Ruy-Blas,
pure con Gayarre, scritturato per 1500 lire. Anche qui, fu un successo enorme, folle. Il
carnevale dopo, Gayarre entrava trionfalmente alla Scala. La carriera teatrale di Gayarre,
fu una sequela di trionfi colossali inauditi, riportati in tutti i maggiori teatri
d'Europa - in America non volle mai andare, quantunque avesse avuto delle offerte da far
strabiliare. Ovunque egli si presentò e sotto qualunque spoglia egli sapeva far delirare
il pubblico. Il suo repertorio era svariatissimo: Favorita, Ugonotti, Africana,
Lohengrin, Tannhaüser, ecc., ma era specialmente nelle opere di vecchio repertorio,
in cui i cantanti devono proprio saper cantare - pretesa che, oramai, pare assurda - che
il grande tenore eccelleva. Chi non ha sentito da lui lo "Spirto gentil" nella Favorita,
non può concepire cosa sia celestialità di canto. Dodici giorni fa, circa, Gayarre
cantava a Madrid i Pescatori di Perle. A metà della rappresentazione, egli si
rivolge al pubblico e dice: "No puedo mas cantar!" Si ritira a casa
assalito da gagliarda febbre; i medici constatano trattarsi di una polmonite, che ben
presto diventa purulenta. La forte tempra del catalano lotta con la vigoria del male;
questo, purtroppo, vince ed il grande tenore si spense l'altro giorno dopo straziante
agonia. Sebbene non avesse mai riscosso le paghe fenomenali delle imprese americane e
quantunque fosse d'animo generosissimo, Gayarre è morto assai ricco; più volte
milionario. La sua fortuna, le adulazioni dei pubblici, non lo hanno mai fatto salire in
superbia, né gli hanno procurato quegl'isterismi, per cui si rendono uggiosi tante altre
celebrità della scena. Egli fu sempre un bon enfant, amico della celia e della
compagnia allegra. Dopo alcuni anni dal suo debutto di Parma Gayarre non so perché - o,
meglio, il perché credo di saperlo, ma non lo posso dire - capitò qui e la sua prima
visita fu alla Gazzetta, dove egli ben sapeva di contare, più che degli
ammiratori, degli amici. Era sempre allegro come un fringuello e più mattacchione che
mai. Gli allori mietuti ed i danari intascati in copia allora allora nella sua Spagna, non
lo avevano reso per nulla altezzoso. Diceva bene perfino de' suoi colleghi. Egli era
veramente un'eletta natura di artista ed un carissimo uomo. Ora che egli è morto nel
colmo della gloria e nella pienezza de' suoi mezzi vocali, di lui resterà solo il ricordo
che lo colloca accanto ai nostri più grandi cantanti, dai quali aveva appreso l'arte
sublime; sicché ben a ragione, quantunque straniero di nascita, noi lo consideravamo come
una gloria nostrana.
Z.
"Gazzetta di Parma" del 26 dicembre 1890
LO SPETTACOLO AL REGIO
Il Teatro
La sala del Regio presentava lo stesso aspetto imponente della sera d'apertura. Popolatissimi i palchi; tutti occupati i posti riservati; pigiati come le acciughe gli spettatori in piedi; accatastati quelli del lubbione. L'impresa deve essersi fregata le mani, mirando tanto concorso. Però, se, domani lo vedrà diminuito, ne incolpi la porta della platea, che essendo rimasta aperta la maggior parte dello spettacolo, ha promosso tale corrente di aria, che un buon numero di spettatori non possono a meno d'essersi messi a letto con un reuma, od una buona costipazione. Per carità, si tenga chiusa quella maledettissima porta, altrimenti viene una moria. Del resto, ho chiamato imponente l'aspetto della sala, per la comodità di servirmi d'una frase fatta; anzi: di rito. Per verità, la folla non basta per costituire l'imponenza d'un teatro. Dal lato toilettes, si stava male parecchio; dal lato illuminazione peggio.
L'Opera
I pescatori di Perle fu messo in scena or non è molto tempo - e niente male, considerato il teatro - al Reynach. Si tratta, quindi, d'un'opera conosciuta e della quale ho già parlato. Convien dire che questo spartito non ci guadagni troppo a sentirlo perché l'effetto che mi ha prodotto questa riproduzione è forse stata meno buona della prima. E questo è pure il giudizio di tanti altri. E tiro via. L'esecuzione non è stata, certo, perfetta. C'era molto panico in palcoscenico; molta intolleranza nella sala. Credo che molte mende scompariranno in seguito. Il tenore Garulli è un tenore che sa veramente cantare; non ha grandi mezzi vocali; ma supplisce con una squisita interpretazione alle deficenze della gola ed in talune frasi, dette con sentimento e maestria, seppe farsi applaudire. Non tutto, però, gli riescì a seconda e il pubblico feroce non mancò di rimarcarlo. Qui a Parma, poi, si ha un deciso abborrimento per le note di falsetto; abborrimento che spinge fino alla frenesia. Questione di gusto. In certi caso, però, il pubblico ha torto. Come, per esempio, iersera. Il falsetto che il tenore emette alla fine della sua bella romanza, ci vuole; è scritto così; tutti i tenori lo eseguiscono così: Il pubblico parmigiano si dia, dunque, pazienza. Anche la sig. Garulli Bendazzi è una distinta artista, che ha buoni mezzi, molt'arte e molta intelligenza. Più volte essa seppe strappare all'accigliato pubblico, segni di approvazione; e questo è già molto. Sono persuaso che, in un altro spartito, la signora Garulli Bendazzi farà un'impressione molto maggiore. Un buon artista si è pur appalesato il baritono sig. Bacchetta che ha buoni mezzi; ma che mi pare schivi troppo le note di bravura. I cori e l'orchestra - quest'ultima sotto la direzione del m. Cialdini - sono andati assai bene. Francamente: quello di iersera - per quanto riguarda l'opera - fu un mezzo insuccesso. Ma non è detta ancora l'ultima parola. Questa sera tutto può accomodarsi per il meglio. Ciò spero ed auguro.
Il Ballo
In mezzo a quel pandemonio di mirre, di ballerine, di comparse, di tramagnini, di
ragazzine, in mezzo a quell'avventurosa storia, gesticolate e ballata, di Sieba,
storia lunga e ingarbugliata, fatta d'innumerevoli braccia e innumerevoli piedi, io - come
molta parte del pubblico - sono stato ieri sera, sbigottito, stupefatto. Non si faccia
quindi meraviglia, il lettore, se troverà questo mio resoconto imperfetto ed incompleto. Sieba
incominciato fra gli applausi alle 11 finiva circa alle 12. Il successo di questo
accreditato ballo è stato ieri sera un successo di ammirazione esplicatasi più con degli
ah e degli oh che non con dei bravi battimani. Il brio della musica, la
varietà dei quadri e, soprattutto, l'attezza d'ogni filosofia coreografica, e d'ogni
accenno di coreaografia storica rendono dilettevole codesto ballo che da parecchi anni fa
il giro del mondo. Il primo quadro è piaciuto assai, anzi si è voluto subito un bis.
I motivi plastici e pittoreschi del secondo, del quarto, del quinto e nono quadro,
impressionano il pubblico e per lo sfarzo della messa in scena e per gli intrecci delle
danze ordinate ed audaci. La tregenda infernale - però la cui musica buona per
eleganza e spontaneità è stata scritta dal maestro Venami - piacerà molto di più
quando la luce elettrica in palcoscenico e specialmente in questo quadro sia più ricca,
più ordinata, più sicura. L'ultimo quadro ottenne un vero successo. La marcia ballabile
finale è piaciuta moltissimo. L'impresa Speroni e Guastalla non hanno certamente fatto
risparmi per l'allestimento di questo Sieba. Le scene del Giacopelli sono quasi
tutte belle, alcune bellissime ricordano il fare del famoso Magnani. Ottimi i macchinismi,
del che va data lode al bravo Fulgoni. Splendidi, ricchi sfarzosi i vestiari delle
ballerine, delle comparse. L'esecuzione da parte del corpo danzante, buonissima buona
assai anche per parte delle piccine. La prima ballerina Adele Mocchino interpreta
sapientemente - per così dire - le difficili pirolette di Sieba. Il pubblico ieri sera
l'applaudì assai, in ispecie dopo il passo a due fatto in unione al primo ballerino
Gezzo. Piacque molto anche la esimia Faung de Lovino prima mima in pittoresco costume di re
di Thule. Ma chi certo ieri sera meritò più di tutti gli applausi del pubblico è
stato il riproduttore del ballo Giuseppe Cecchetti che ha saputo mettere amore,
sentimento, passione nelle braccia delle mime, nei piedi delle ballerine e perfino
nei piedi e nelle braccia delle comparse. E non scordiamoci neppure di nominare il bravo
Eraclio Gerbella che ha diretto durante il ballo con molto slancio ed energia l'orchestra
valente ed instancabile che ha trattato assai bene la musica spesso squisita, graziosa ed
elegantissima e qualche volta anche rumorosa del cav. Romualdo Moremo. Concludo affermando
che questa Sieba è per se solo uno spettacolo per il quale il pubblico può dire
di spender bene i suoi quattrini. Unico inconveniente da lamentare in questo glorioso Sieba
vi è la quasi mancanza di luce elettrica sul palcoscenico e per di più quella poca
che vi è, è anche disposta male. Speriamo ed auguriamoci che si ovvii presto a questo
malanno che toglie moltissimo effetto a moltissimi quadri. Tanto per finire ricorderò il
ballo Sieba fu rappresentato per la prima volta in Italia al teatro Regio di
Torino dove ottenne un successo splendido e clamoroso. Anima di tutto lo spettacolo fu il
noto agente teatrale milanese cav. Giuseppe Bonola, che io qui ringrazio, perché devo a
lui il seguente aneddoto inedito intorno a questo ballo del Manzotti. Quando lo Sieba fu
rappresentato nel 1880 al teatro Belcour di Lione, tre impresari francesi De Plunket,
Bertrand e Cautin, ne rimasero così entusiasti che, unitisi in società con un capitale
di 10 milioni, decisero di far fabbricare un teatro in Parigi per potervi rappresentare il
ballo del Manzotti. Nel 1881 questi stessi impresari si recarono a Milano per l'Excelsior.
L'entusiasmo crebbe. Di ritorno in Parigi, misero in esecuzione il loro progetto. Dopo tre
anni il teatro era innalzato e si chiamò Eden Théatre. Fu inaugurato coll'Excelsior
che si rappresentò per 450 sere di seguito fruttando un guadagno netto di due
milioni! Il Sieba fu dato dopo l'Excelsior. A Parigi si aggiunge la
famosa ridda invernale che fece un chiasso indiavolato! È dunque dovuto a questo
grandioso ballo del Manzotti, la costruzione del teatro parigino.
S.
"Gazzetta di Parma" del 27 dicembre 1890
Come mi sono augurato, la seconda rappresentazione dei Pescatori di Perle, nel
suo complesso è proceduta molto meglio della prima. Molte incertezze sono scomparse; gli
animi si sono più rinfrancati; il pubblico ha smesso quel suo terribile broncio e s'è
mostrato più umano e più giusto. Il tenore Garulli ha saputo prendersi una bella
rinvicita. Egli, in omaggio al gusto del pubblico, ha omesso le note in falsetto; ha
evitato, insomma, gli scogli contro i quali s'era urtato giovedì sera e s'è, perciò,
fatto applaudire dal principio alla fine dell'opera. Dopo il prim'atto, il pubblico l'ha
chiamato al proscenio in unione alla prima donna; alla quale toccarono pure molti applausi
lungo la rappresentazione. Il baritono Bacchetta è piaciuto anch'egli, più della prima
sera. Ha buona voce e la sua parte, di poche risorse, l'eseguisce commendevolmente. Fu
applaudito nel duetto col tenore nel prim'atto e nella sua romanza. Intanto l'Impresa
vuole spingere a tutto vapore l'andata in scena della Cavalleria rusticana. E
credo questo sia buon suggerimento. Sarebbe una cattiva speculazione quella di stancare il
pubblico con troppe rappresentazioni successive dei Pescatori; opera, a mio
modesto avviso, di scarsa vitalità; massime in un ambiente, com'è il nostro Regio. Né
penso che la Carmen sia stata una felice sostituzione all'indigesto Freischütz.
La Carmen è stata troppo sfruttata a Parma. Senza parlare della prima edizione
col Campanini, la Bonheur, Del Puente, ecc. anche al Reynach venne data per poche sere è
vero, ma abbastanza bene. Il pubblico si è sazio e vorrebbe dell'altro. L'impresa e la
Commissione ci devono seriamente pensare e sono persuaso che se si venisse fuori con un
buon progetto, il pubblico si metterebbe sempre più su la via del buonumore. Perché il
segreto della riescita d'una stagione sta qui: mantenere il pubblico di buon umore. Tutto
il resto viene in seconda linea.
Z.
"Gazzetta di Parma" del 2 gennaio 1891
Continuano al Regio, con il solito successo, le rappresentazioni dei Pescatori di
perle e del ballo Sieba. Nell'opera del Bizet il bravo tenore Garulli è
divenuto il prediletto del nostro pubblico che ammira e applaude in lui l'artista dalla
voce calda, vibrata, simpatica, dal canto dolce, insinuante e passionale. Anche ieri sera
egli dovette ripetere fra incessanti applausi la deliziosa romanza dell'atto primo che
egli canta con anima e con sentimento, sfoggiando alla fine alcuni acuti limpidi,
squillanti, purissimi. Bene ancora tutti gli altri. L'orchestra ottima sempre sotto la
direzione del valente cav. Gialdino Cialdini. Pure il ballo Sieba ottiene
seralmente un grande successo d'applausi, d'ammirazione e di grida all'indirizzo di tutto
il corpo danzante compresa la simpatica prima ballerina Albina Mocchino. Quelle brave
ragazzine, poi così bene istruite, così intelligenti e così carine sollevano ad ogni
passo che fanno delle meritate ovazioni. In complesso, ripetiamo, lo spettacolo attuale
del nostro Regio è tale, quale raramente è dato di avere in teatri di provincia, e
merita quindi l'incondizionato favore del pubblico. Ieri sera - primo dell'anno - il
teatro era affollatissimo, splendido per numero di signore. Tutte le più note, eleganti e
belle signore e signorine di Parma nostra si erano fatte un dovere di non mancare allo
spettacolo e mettevano nella severità del Regio quella nota gentile che accompagna
ovunque l'eterno femminino. Per comodo dei nostri lettori di provincia ricordiamo ed
annunciamo che nelle sere di sabato 3, domenica 4, martedì 6, avrà luogo lo stesso
spettacolo cioè Pescatori di Perle e Sieba. Giovedì sera poi salvo i
soliti casi imprevisti prima rappresentazione della tanto decantata e famosa Cavalleria
Rusticana. È ormai certo che per terz'opra della stagione, invece dell'annunciata Carmen,
l'Impresa allestirà un Mefistofele che promette s'in d'ora d'essere un ottimo
spettacolo. L'opera del Boito che tanti grati ricordi ha lasciato in Parma sarà
interpretata da una compagnia di canto totalmente nuova. Gli artisti scritturati sono la
Valentinà Mendioroz un soprano di fama assodata che viene a noi reduce dai trionfi
suscitati al teatro Reale di Madrid nello stesso Mefistofele, il basso De
Bengardi, un'artista molto conosciuto nel mondo teatrale, e il tenore Miiller che
anch'esso gode buon nome. La scelta dello spartito non poteva essere migliore e se
l'esecuzione corrisponderà alle speranze che si nutrono l'Impresa, non avrà certo a
dolersi dei sacrifici che è costretta a fare per allestire questo terzo spettacolo,
giacché il favore del pubblico non le mancherà certo. La Commissione teatrale e per essa
il presidente marchese di Soragna che aveva subordinata la rappresentazione del Mefistofele
all'accettazione della compagnia di canto per parte del Boito, ad un telegramma
inviato a questi, - telegramma contenente i nomi degli artisti futuri esecutori dello
spartito boitiano - l'illustre maestro rispondeva pure telegraficamente al Presidente
della Commissione teatrale marchese di Soragna in questi precisi termini: Approvo
pienamente gli esecutori proposti e ringrazio lei pel suo cortese annunzio. La competenza
dell'illustre Boito è fuori discussione e noi, dinnanzi a tanta autorità, deponiamo la
penna plaudendo alla coraggiosa impresa per la scelta dell'opera e degli artisti, ed
augurandoci che presto sia messo in scena il melodramma bellissimo del celebre direttore
del nostro Conservatorio.
S.
"L'Onorevole Sugaman" del 3 gennaio 1891
Sparite quasi completamente le incertezze, inevitabili del resto, della première,
lo spettacolo d'opera del nostro Regio procede ora in modo soddisfacente e lo prova il
concorso del pubblico sempre numeroso e gli applausi spesse fiate entusiastici. Il sig. Garulli
cav. Alfonso, lasciato da parte il troppo manifesto panico della prima sera, si
mostrò, nelle successive rappresentazioni, artista provetto quale la fama ce lo aveva
annunciato. Egli ha voce bella, pastosa, che sa modulare con grazia e agilità. Fatto
segno ogni sera alla più festosa accoglienza, si è ora conquistata la piena simpatia del
pubblico. Con lui riscuote applausi la gentile sua Signora Ernestina Bendazzi Garulli.
Il baritono Bacchetta, già meritatamente conosciuto dal nostro pubblico, che
già altre volte l'ebbe ad applaudire, ha voce robusta e buon metodo di canto. Egli nella
lunga e pur tanto sacrificata sua parte, sa scuotere il pubblico che gli prodiga ogni sera
molti e meritati applausi specie dopo la sua romanza del 3. atto. Bene anche il basso Cromberg.
Eccellente poi l'orchestra, diretta dal valente maestro Gialdini e i cori istruiti dal
bravo Eraclio Gerbella. Il ballo Sieba, messo in scena con sfarzo, ha
incontrato la piena soddisfazione del pubblico. L'ottimo coreografo Sig. Cecchetti è
tutte le sere chiamato al proscenio e applausi immensi vengono tributati a lui e alla
brava copia Mochino Albina e Rizzo Giovanni e all'intero corpo danzante.
Splendide poi sono le scene dipinte dal nostro Giacopelli che pure venne più volte
chiamato al proscenio. Le prove della Cavalleria Rusticana procedono alacramente. È
probabile ch'essa vada in scena il prossimo Mercoledì. L'impresa poi, aderendo al
desiderio di molti abbonati, è venuta nella determinazione di sostituire alla Carmen, il Mefistofele.
Gli interpreti di questo spartito saranno la Signorina Mendioroz, i Sig. Muller
e De-Bengardi, nomi meritatamente conosciuti in arte. Noi applaudiamo di
cuore a questa determinazione, mentre segnaliamo alla pubblica lode i nomi degli
impresarii Sig. Speroni e Guastalla che nulla trascurano per soddisfare,
nel miglior modo possibile, i desideri del pubblico.
Ele
"Gazzetta di Parma" del 11 gennaio 1891
LA "CAVALLERIA RUSTICANA" A PARMA
Non mi si venga a dire che questo è il secolo de' bottegai; l'epoca della prosaccia
volgare. Quando penso che, in passato, i giovani maestri dovevano dare al mondo dei veri
capolavori prima di raggiungere, non dico la celebrità; ma soltanto la notorietà; ed
intanto campavano la vita meschinamente, lavorando come cani, e leticando il magro pranzo
con una più magra cena; non può a meno di ammirare l'età presente, tanto calunniata,
che d'acchito dà la celebrità ad un esordiente, ieri affatto ignorato e con la
celebrità, un'agiatezza che promette di diventare una ricchezza e lo sazia - e speriamo
non lo guasti - con apoteosi solo concesse ai sommi. Non disprezziamoci dunque, noi alla
generazione del morente secolo XIX; ma, senza ombra di vanteria, proclamiamo altamente,
perché è la verità, che siamo la gran brava e la gran buona gente. Soprattutto, buona.
A meno che il m. Mascagni non appartenga alla fortunata categoria di que' pochi, che
nascono, come si suol dire, con la cuffia e che le circostanze, più che altro, aiutano a
salire rapidamente. Il m. Mascagni è venuto sulla scena prima e principale fortuna - in
buon punto. Da tanti anni si amministra al buon pubblico sì forte dosi di oppiacci
musicali; i suoi tutori estetici gli hanno talmente intronato le orecchie che, per
sembrare civile ed intelligente, bisogna egli si assogetti ad annoiarsi con dignità e
lasciarsi disarticolare le mascelle, dottamente sbadigliando; gli avevano infarcito il
cervello con tante astruserie pesanti e vuote nella loro assordante rimbombanza; che
quando s'è presentato un giovane capace d'azzeccare qualche idea, d'inventare qualche
frase, larga, calda, ispirata per una subitanea e infrenabile reazione, il pubblico ha
gridato: ecco il Messia, ecco il genio! E come avviene quasi sempre delle reazioni,
quantunque giustificate, anche questa volta, s'è oltrepassato di parecchio il segno. Mi
spiace non pensare come la generalità del pubblico; so che avrò contro di me gli arcigni
Minossi dell'arte e della critica, i quali hanno preso sotto le loro ali protettrici - non
badando alla coerenza - il Mascagni; ma a me lo dico chiaro e netto - a me sembra che
tutto questo entusiasmo per la Cavalleria rusticana sia una solenne gonfiatura.
Lo accetterei e, magari, vi parteciperei, se esso significasse solamente protesta alle
alte, sublimi noiosità, alle pretensiose malensagini, con cui, da tempo, ci seccano a
morte; come affermazione che il gusto popolare è per il ritorno alla musica dal canto
ispirato dalla frase quadrata; ma basta lì. Quando s'è additato il m. Mascagni come il
futuro continuatore delle glorie italiane, come il legittimo successore di Verdi, più che
una bestemmia, s'è detta una baggianata. Quel giovine maestro ha scritto - non lo si
dimentichi - un'opera d'un solo atto, che dura poco più d'un'ora e dove sono tre o
quattro pezzi belli, sentiti; ma - a mio debole avviso - non certamente tali da potersi
dire che hanno il suggello del genio, né meritevoli di fare andare tutti i pubblici
d'Italia in visibilio. Il racconto di Santuzza il duetto tra Santuzza e Turiddu
l'addio di Turiddu sono pezzi felicemente indovinati dove c'è colore ed
inspirazione. Una dolce melodia è pure nell'intermezzo sinfonico e che affidata
agl'istrumenti d'arco produce un effetto sicuro. E bello pure - sebbene, per ineguaglianza
dei cori, non lo sia potuto apprezzare interamente - è il pezzo concertato. il restante
è roba più o meno comune - compreso il brindisi anzi qualche punto, come il duetto tra Santuzza
ed Alfio, m'è sembrato bruttino anzichenò. Un'altra fortuna del maestro
Mascagni è d'essersi imbattuto - cosa straordinaria - in un libretto, che, nel suo
genere, è tutto quanto di bello si possa immaginare. S'è detto che, nel successo della Cavalleria
Rusticana, il merito spettava, per una metà, al Verga, dal dramma del quale s'è
tratto il libretto. Quello che ha detto così, se ha peccato di parzialità, lo ha fatto,
forse, in favore del Mascagni. Cosa dovrebbesi concludere? Che il maestro Mascagni ha
mostrato, con quel suo piccolo lavoro, di possedere moltissima disposizione quale
operettista; d'avere una vena melodica abbastanza larga e, soprattutto d'aver intuito che
il gusto del pubblico è per il ritorno alle forme piane ed alla melodia ritmica. E di
questo, proprio, gli va data lode. Ma, prima di dedicargli le apoteosi, di proclamarlo un
genio, conviene darsi pazienza ed attendere che abbia scritto altri due, o tre spartiti in
più atti, su libretti che non escano dal comune, siccome avviene alla maggior parte dei
maestri. Altrimenti, i pubblici lasciandosi sedurre dalle critiche interessate e
farabolane e trascinare dalla claques, perderanno il diritto a quella
rispettabilità e serietà, a cui mira ogni pubblico onestamente imparziale, e forse
correranno il rischio di sciupare un giovane maestro, che ha dato prova di possedere un
promettente talento. Ed ora vengo alla cronaca imparziale della serata. C'era un pubblico
imponente ed attentissimo. Cinque minuti prima che si alzasse il sipario tutti erano al
loro posto. Era proprio il pubblico delle grandi occasioni. Il preludio è ascoltato
attentamente; ma passa in silenzio. Alla fine s'odono soltanto due o tre: bravo! Piace
molto la siciliana, cantata bene; ma non benissimo dal bravo Garulli. Una parte
del pubblico domanda il bis che è tosto concesso. La seconda volta, il Garulli canta
molto meglio e gli applausi diventano generali. Il tenore viene alla ribalta a
ringraziare. Il coro seguente passa freddo. Un grande successo ottiene la seconda parte
della scena seguente, tra Lucia e Santuzza. La signora Garulli si rivela
una vera artista. Se i suoi mezzi vocali non sono potenti, sono tuttavia, sufficienti.
Alcune frasi le accentua con una grazia, con una passione e, soprattutto, con tanta
verità che di più non si potrebbe desiderare. La signora Garulli riceve un applauso
lungo, calorosissimo e meritamente. La signora Alberti nella particina di Lucia -
parte senza risorse - fa pure benino e mostra di possedere un buon organo vocale. La
canzona di Alfio è accolta in perfetto silenzio. Il baritono Bacchetta ha,
evidentemente buoni mezzi; ma non cava effetto maggiore che abbiano saputo ottenere altri,
nella stessa parte. Il concertato è pure accolto in silenzio. Qui l'effetto come dissi
più su - non è ottenuto, causa l'ineguaglianza nella potenza vocale delle varie parti
dei cori. All'unissono le voci che dovrebbero venire dalla chiesa sono soffocate da quelle
che si sentono su la scena. Il duetto tra Santuzza e Turiddu segna il
punto culminante del successo ottenuto nella serata. I coniugi Garulli gareggiano di
bravura. Si chiede il bis che è accordato. Gli artisti sono acclamatissimi. Lola
- signora Baus - disimpegna pure bene la propria parte. Applauditissimo e ripetuto
l'intermezzo sinfonico. Il pubblico festeggia calorosamente il m. cav. Gialdini, che si
dimostra, qual è ritenuto in tutta Italia, direttore valentissimo. Nuovi applausi, ma
senza entusiasmo al brindisi. L'addio di Turriddu alla madre è salutato con fragorosi
applausi e una chiamata al proscenio. Il dramma quindi si svolge con fulminea rapidità.
Ed è dramma soltanto parlato. Con tutto ciò, il pubblico è attratto e soggiogato. Al
calar della scena scoppiano nuovi e calorosissimi applausi. I coniugi Garulli, unitamente
al direttore Gialdini, sono chiamati cinque o sei volte all'onore del proscenio. Ed
un'altra fortuna è pure toccata al m. Mascagni: quella che il suo lavoro venne finora
interpretato da artisti coscienziosi e di vaglia. E l'esecuzione di Parma è pure tale che
se l'autore verrà ad essistervi, non potrà a meno di proclamarsene altamente
soddisfatto. Tutto è andato egregiamente. I due principali esecutori eccellenti; gli
altri bene; l'orchestra, diretta da un'artista di merito, benissimo; i cori - se si tien
conto delle difficoltà che ebbero a superare e se si pensa che quasi dappertutto, anche
alla Scala, andarono malissimo; non se la sono cavata troppo male. Il pubblico, poi,
contentone come una pasqua. Perché, dunque, dovrei essere malcontento io? Ma nemmeno per
sogno. Applaudo, anzi con tutta la forza delle mie mani. Domani, il mio collega, che mi
sostituisce, vi saprà dire, o lettori, come è andata stasera.
Z.
"Gazzetta di Parma" del 12 gennaio 1891
Anche ieri sera al Regio, teatro imponente, splendido per numero e qualità di
pubblico. Molti forestieri e molte notabilità artistiche. Notato in una poltroncina il
maestro barone Alberto Franchetti, l'autore di quell'Asrael che si rappresenta
ora con tanto successo al Regio di Torino e che, chi sa, quando sarà dato a noi di
applaudire. Era accompagnato dalla sua signora - una bellissima e distinta figura di
donna. Notata pure in un'altra poltrona la nostra concittadina Adalgisa Gabbi fiorente
come sempre di gioventù e di bellezza. Non ritornerò - almeno per oggi - sulla musica di
questa Cavalleria. Dirò per altro che alla seconda rappresentazione non si è
più verificato l'alto entusiasmo della prima. Non più quattro, ma tre i pezzi ripetuti:
la stretta finale del duetto fra Santuzza e Turiddu, l'intermezzo
sinfonico e l'addio di Turiddu alla madre; quest'ultimo un pezzo nuovo di cui
sabato sera non si fece il bis. Passò sotto silenzio invece il preludio. Nel racconto di Santuzza
che è indubbiamente una fra le più belle pagine dell'opera e in cui è da notare la
drammaticissima frase: priva dell'onor mio rimango, piena della più straziante
disperazione, la brava Bendazzi Garulli si fece assai applaudire. Alla fine dell'opera
quattro chiamate agli artisti e al direttore Cialdini. In quanto all'esecuzione ripeterò
quello che diceva ieri il nostro giornale: essa è buonissima sotto tutti i rapporti. La
Bendazzi Garulli - nella bella figura siciliana di Santuzza - ha cantato anche
ieri sera - quantunque visibilmente indisposta - con tutto l'impegno e con tutta l'arte
sua di artista elettissima. Ha dovuto ripetere in unione al tenore la stretta finale del
duetto. Anche il Garulli ha cantato, se è possibile, meglio della prima sera, con voce
fresca e sicura, con arte grande e potente. Il pubblico lo ha acclamato più volte e gli
ha fatto replicare l'addio alla madre. È un Turiddu perfetto in ogni
gesto, in ogni atteggiamento, in ogni inflessione di voce. Ottimamente tutti gli altri.
Abbastanza bene i cori. L'orchestra, guidata dal maestro Cialdini con un calore
straordinario, s'è data all'esecuzione di Cavalleria Rusticana come ad un sacro
dovere e l'ha perfettamente adempiuto. Non si potrebbe suonare con più anima, con più
vita tutta l'opera. L'intermezzo sinfonico, con l'intreccio dell'orchestra con l'organo fu
eseguito anche ieri sera meravigliosamente e ripeto - davvero - per generale richiesta. E
giacché parliamo dell'orchestra e del suo direttore, ecco il telegramma che Pietro
Mascagni ha indirizzato al Cav. Gialdini dopo la prima rappresentazione di questa sua Cavalleria
a Parma:
"Attribuisco vostro talento, vostra coscienza artista, esito trionfale Cavalleria.
Pregovi esprimere gratitudine coniugi Garulli, orchestra, artisti, masse, tutti. Saluti
affettuosi
MASCAGNI
E bene a ragione e giustamente Pietro Mascagni può dichiararsi soddisfatto dell'esecuzione che dell'opera sua si da attualmente al nostro Regio. Solo ad un inconveniente però bisognerebbe provvedere. L'ultimo grido Hanno ammazzato compare Turiddu, colpa l'accento tutt'altro che drammatico con cui venne pronunciato e sabato e ieri sera, non ottiene l'effetto voluto. Si cerchi, se è possibile di rimediare. Stasera intanto avremo una serata popolare del solo ballo Sieba a prezzi ridotti a L. 1,00 l'ingresso, a L. 1,00 il posto riservato, (oltre l'ingresso). Si avverte il pubblico che in platea vi saranno libere sette file di posti. E non aggiungiamo altro perchè non vi è bisogno di soffietti per fare accorrere stasera della gente in teatro. Lo spettacolo si raccomanda da sè. Domani sera riposo. Mercoledì - giorno di S. Ilario - e giovedì ancora Cavalleria.
"On. Canela" del 17 gennaio 1891
DAL LUBION
Farò semplicemente la relazione della premiere della Cavalleria Rusticana per...
la ragione semplicissima che non ho assistito che a quella; del resto, stando a quanto mi
hanno detto i miei amici, le rappresentazioni che ne susseguirono non differiscono dalla
prima che per essere venute dopo. Incomincio: alle otto e venticinque, prima che il
generale Gialdino Gialdini - un vecchio e più volte decorato soldato dell'arte, - desse
il comando dell'attacco, il pubblico impaziente aveva già intonato l'aria della fanfara
della Cavalleria:
Su gli scanni strapagati
rosi siam dall'ansietà
ma i franchett ch'abbiam sborsati
chi doman ci renderà?...
Intanto il generale aveva comandato l'attacco e... subito si volle il bis dell'aria di
Turiddu, la quale rimase talmente impressa nella zucca del colto pubblico che, più
importuno dei soliti fiammiferai, all'uscire dal Teatro continuò a cantarellarla così:
CANELA Ch'hai di latti la cartisa,
la lingua lunga comu 'na camisa
e bianca e russa comu 'na cirasa
beato lu primu cu ti vasa
qua nun t'affacci al chiosco di Paini
e ti vendon per sol cinqui quattrini.
Il coro delle contadinelle e dei contadini, passa sotto silenzio. In compenso è
acclamatissima l'aria di Santuzza e Mamma Lucia:
Mamma Lucia, vi supplico piangendo,
fate come Gesù a la smarrita pecorella ditemi per pietà, dov'è
CANELLA?...
E qui bisogna aprire tanto di parentesi e dire che se tutte le tradite possedessero la
"coquetterie" il sentimento e il cuore della signora Garulli - Bendazzi, non si
verificherebbero davvero tali abbandoni luttuosi. La signora Garulli-Bendazzi che nei
"Pescatori" non ci ha strappato un applauso, che ci ha lasciati impassibili,
nella parte della tradita Santuzza, l'abbiamo caldamente, continuamente applaudita, - ci
ha commossi, avrebbe commosso anche Turiddu... se Turiddu non avesse avuto ai piedi il
suggeritore che gli andava ripetendo il continuo Tien duro!... Nessun applauso all'aria di
Alfio e al relativo coro:
La ferrovia aspettami
le campanelle squillano
de la Staziòn - Ehi là!
Strillin gli elettori, impèri pur don Ciccio
a me che cosa fa?...
Coro
Mestiere fortunato
fare il deputato
non dire mai un'acca
e girar sempre a macca.
Vero entusiasmo al racconto di Santuzza e Lucia:
Tu il sai, mamma, prima che fosse ancor venduto
diceami che un CANELA m'avrebbe trattenuto:
uscì, ma il perfido, senza un CANELA almen,
Testeina, mi lasciò...
Ma qui il racconto di Santuzza è troncato dalle ovazioni entusiastiche e dalle grida di
bis-bis che la signora Garulli concede gentilmente fa applausi maggiori. Nuovi e ripetuti
applausi e richieste generali di bis (le più generali dell'opera, se facciamo astrazione
dell'intermezzo) al duetto splendido tra Santuzza e Turiddu splendidamente cantato dai
coniugi Garulli.
- No, no, Turiddu, lasciami ancor posar CANELA sopra il mio cor...
- Nol posso, CANELA, a me
è indispensabil, per la mia fè.
Freddezza nella scena seguente, ed entusiasmo... entusiastico all'intermezzo che veramente
entusiasma, e che è un mirabile accoppiamento di note in:
zin - zon - zon - zin - zin - zin... zin - zin...
Nessun applauso - anzi, per essere più giusti, nessuna soddisfazione al brindisi:
Viva il vino piemontese,
non il naso torinese
che dopo averlo già infiascato
ci daran per candidato:
Viva il vino che rallegra
e non è una cingallegra
come il detto bagolon
che riavrem pr'il j' elezion.
Dove si ammira un altro punto culminante del fortunatissimo lavoro del Mascagni, è
nell'addio di Turiddu alla madre che, squisitamente cantato dal Garulli, se ne vuole il
bis.
Mamma, io me ne andrò con Dio,
ma se rispettato vuoi il desiderio mio,
metter mi dei dentro la barella
un figlio almeno del CANELLA e...
poco dopo cala la tela, per risollevarsi altre quattro volte e lasciare salutare al
pubblico i valorosi soldati della "Cavalleria" e il non meno valoroso loro
generale Gialdini. E... la sentenza su l'opera?... Ai posteri l'ardua risposta; la musica
è bella, ma io sono condotto a questa conclusione che:
il sor di Pasquirolo
quando col suo Secolo
spinse il libretto fuori
pensò: la bella musica
ingrassa gli editori,
ché la "reclamme" fatale
fa tanto esagerata
che forza mi è concludere:
Tutta non è mertata.
"Rigoletto, el gobet" del 18 gennaio 1891
Con quel ritardo al quale ci condanna la nostra condizione di ebdomadari, registriamo
oggi, dopo aver a lungo parlato del libretto nell'ultimo nostro numero, il successo pieno,
e in alcuni punti entusiastico che ha avuto sulle scene del nostro Regio - Cavalleria
Rusticana - del Mascagni. E vorremmo parlarne a lungo e mostrare ad uno ad uno tutti
i pregi di questo spartito tanto lodato e pur tanto combattuto dalla stampa, e confrontare
quel poco di non troppo riescito e di trivialuccio col molto di buono, di bello, di
originale cui è improntata questa bella pagina di musica italiana; ma non permettendocelo
lo spazio ci limiteremo a dir qualcosa dell'esecuzione, meravigliosa e tale da cooperare
in buona parte al successo. La Signora Ernestina Bendazzi-Garulli, (Santuzza)
si è mostrata artista di talento non comune e attrice dalla scena drammatica
efficacissima. Il fine e delicato gusto artistico ch'ella accoppia ad un canto melodioso,
pieno di sentimento e di grazia ha commosso, entusiasmato tutti. Fatta segno alla più
festosa accoglienza, è ogni sera costretta, tra le più vive acclamazioni, a bissare il
racconto di Santuzza e il duetto con Turiddu. E Turiddu è il tenore, il
bravo, l'eccellente Garulli che riveste il suo canto di tanta grazia e dolcezza
da confermare pienamente il verdetto della fama che ce l'aveva annunciato quale artista
grande, eccezionale. Egli colorisce il carattere di Turiddu in modo così fine ed elegante
da procacciarsi scoppi di applausi vivissimi specie dopo l'addio alla madre. Un
bravo carettiere, dall'azione corretta e dal canto robusto e bello è il baritono
Bacchetta che interpretò con molta naturalezza il difficile carattere di Alfio
mostrando una volta più quanto grande sia la sua valentia di distinto artista.
Benissimo Lola, Sig. Baus, e Lucia Sig. Alberti. L'orchestra diretta dal
valente maestro Sig. Gialdini si è mantenuta all'altezza della fama che gode.
Molto buoni anche i cori, come sempre istruiti dal bravo nostro Gerbella. Il ballo Sieba
continua a destare ogni sera il solito entusiasmo. Applausi continui al coreografo
Sig. Cecchetti, alla brava coppia Mochino-Rizzo e all'intero corpo danzante. Piacque assai
il nuovo passo a due, e procurò chiamate al proscenio, bis, e applausi alla brava,
simpaticissima Signorina Mochino e all'egregio Rizzo. Nell'entrante settimana andrà in
scena il Mefistofele, gli artisti chiamati ad interpretarlo sono la Sig. Valentina
Mendioroz, appena reduce da Madrid, dove a quel teatro Reale, e nel Mefistofele aggiunse
un nuovo trionfo ai molti acquistati in Italia, il Sig. Muller tenore, e De-Bengardi
basso.
AUGURI AGLI ARTISTI E ALL'IMPRESA.
Sparafucile
"On. Canela" del 24 gennaio 1891
DAL LUBION
Come devo cominciare la mia relazione?... Per esser esatto, all'ebraica, e
cioè... dalle ultime righe dalla relazione passata nelle quali avevo registrato i trionfi
degli artisti. Ma repetita stufant quindi... quindi sarò telegrafico: Cavalleria
rusticana continua piacere: Signora Garulli-Bendazzi continua raccogliere
vere ovazioni: Tenore Garulli continua meritare larghi applausi; Baritono Bacchetta
continua piacere: Impresari fortunati (beati loro!) continuano stropicciarsi le mani
sull'aria
Oh che bel mestiere
fare l'impresario
e aver tutte le sere
cassa e cassetti
ricolmi di biglietti
P.S. Il Mefistofele probabilmente, andrà in scena mercoledì. Stando agli on
dit pare che la signora Valentina Mendioroz (Margherita) oltre sedurre Faust
finirà per sedurre anche il pubblico. È quello che le auguro... giacché tra il
pubblico qualche volta ci sono anch'io.
"Gazzetta di Parma" del 30 gennaio 1891
La cronaca della serata di ieri sarà breve, perché non è una cronaca lieta.
Decisamente questa seconda edizione del Mefistofele di Boito ha fatto un
capitombolo. Le ha nociuto il ricordo, ancora vivissimo, della prima edizione, che ebbe un
esito trionfale. Né, per quel tanto che s'è potuto capire, in mezzo alla burrasca, che
indebolisce i buoni e fa smarrire i deboli, pare che gli elementi che costituiscono il
recente spettacolo, siano tali da reggersi, anche prescindendo da qualsiasi altro
confronto. Chi s'è salvato dal naufragio - e meritatamente - è stato il m. Gialdini con
la sua brava orchestra, che ebbe dei momenti assolutamente felicissimi. Il prologo fu un
trionfo ed il finale, splendidissimo - di cui si volle la replica - procurò al m.
Giardini applausi e chiamate, a cui partecipò il bravo m. Gerbella, direttore dei cori.
Un'altra superstite è stata la sig. Mendioroz, una gentile artista, intelligentissima e
che canta di eccellente scuola e con mezzi vocali, se non potenti, sufficienti e
simpatici. Fu applaudita fragorosamente dopo l'aria della prigione e dopo la serenata del
Sabba classico, nel qual ultimo pezzo anche la signorina Baus si trasse abbastanza bene
d'impiccio. Negli altri pezzi, in cui non era sola, la signorina Mendioroz lottò
valorosamente per non essere travolta nell'uragano, che s'andava scaricando sempre con
maggiore violenza, e ci riuscì. È quindi naturale, che di lei non si possa recare un
giudizio completo, assoluto. Un artista nuovo alle scene, su cui agisce, non può
manifestarsi in tutta la pienezza del proprio talento, se il complesso dello spettacolo
volge a ruina. Tanto più se l'artista è una giovine signorina, che, sebbene abbia
calcato altre scene importanti, non può avere ancora fatto l'animo così impavido per
contemplare serenamente la catastrofe che trovolge i suoi compagni. Ritengo, che rimesse
al meglio le cose, la signorina Mendioroz non mancherà di ottenere in questo teatro
successo eguale a quelli che già vanta nella sua breve carriera artistica. Degli altri
esecutori del Mefistofele tacerò. È un riguardo che mi piace usare con gli
sfortunati; e poi anche sarei un po' perplesso nel decidere se il pubblico, mostrandosi
tanto severo, fu giusto sempre e con tutti. Credo che l'impresa non tenterà una seconda
rappresentazione del Mefistofele con gli stessi elementi della prima; né che la
Commissione, in ogni caso, lo permetterebbe. Sarebbe una grave imprudenza. Le cose si
possono - a mio vedere - accomodare pel meglio, purché l'Impresa seriamente voglia. E
deve volere, perché dopo l'esito tanto fortunato - sotto l'aspetto finanziario - delle
precedenti rappresentazioni, il pubblico non tollererebbe - ed avrebbe ragione - delle
meschine rappezzature. L'Impresa - lo dico chiaramente - ha avuto torto di fare troppo a
fidanza su la sua buona stella, che, finora, non l'ha abbandonata. Anche la fortuna si
stanca. E non di rado avviene, che, per troppo volere tirar la corda, s'arrischia di
rimetterci il guadagnato. Stando alle voci che correvano, dopo lo spettacolo, pare che
l'Impresa pensi appunto a rimediare al guaio. Si direbbe quasi, che prevedesse la
catastrofe. Ho sentito, anzi, in proposito, fare dei nomi d'artisti, in surrogazione di
quelli che vennero disapprovati. È inutile che ripeta que' nomi, dacché nulla vi può
essere di positivo. Io, però, mi darò cura di stare alle vedette, per tenerne informati
i lettori.
Z.
"L'on. Canela" del 5 febbraio 1891
MEFISTOFELE
È proprio vero, le istorie vecchie hanno sempre ragione!... Anche questa volta i pifferi
di Montagna che andarono per suonare rimasero suonati... Cioè, Mefistofele che, per non
disobbedire a Boito, si era messo una volta ancora a fischiare su tutto e su tutti, alla
sua volta è rimasto fischiato, e come!... Sembrava la fiera di San Giuseppe... ciò che
prova che molti si erano messo deliberatamente il fischietto in saccoccia... In ogni modo,
pace eterna al povero diavolo, giacché dinnanzi alla maestà della morte cessa l'ira
nemica e... le corone dei trionfatori al maestro Gialdini e alla signorina Valentina
Mendioroz che, in mezzo a tanto sfacelo di, diavoli e cavalieri fu la sola che raccolse
applausi calorosissimi, tanto più meritati quando si pensa che, giovedì sera, il
pubblico sovrano si era addirittura messo in testa di fungere da Pubblico Ministero.
"Gazzetta di Parma" del 6 febbraio 1891
La seconda edizione del Mefistofele - in alcun punto corretta ed in alcun altro infinitamente migliorata - ha avuto un successo, in complesso, assai più lieto della prima. Questa volta, l'Impresa ha saputo far acquisto d'un artista, anzi: d'un grande artista. Il basso Tamburlini fin dal principio, ha prodotto una fortissima impressione sul pubblico ed il suo, durante tutto il corso dell'opera, fu un successo pieno, legittimo, trionfale. Egli ha una bellissima voce, potente negli acuti - talvolta persino baritonali - e ne' bassi. Come attore, è indiscutibile. Bisogna risalire molto nella cronaca del Regio, per trovare un basso, che al Tamburlini possa star del pari. Invece il tenore Nouvelli, che è venuto, qui per la prima volta, preceduto dalla fama di trionfi riportati in addietro, su le principali scene, non ha totalmente appagate le esigenze dell'esigentissimo pubblico. Egli ha sfoggiato una vera abilità per dissimulare le avarie della voce; in talune frasi, quando la tessitura, gli andava bene, ha mostrato gusto e talento; ma per quanto grande fosse il talento, le avarie si appalesavano pur sempre, ed il pubblico inesorabile non ha mancato di rilevarle, come lo ha pure applaudito in taluni pezzi. La signorina Mendioroz ha pienamente confermato il successo della prima sera; anzi: lo ha cresciuto. Liberatosi dal panico, inevitabile panico in una serata tanto burrascosa, ha sfoggiato i suoi mezzi, veramente belli nelle note acute, di un timbro deliziosamente argentino. La grazia e la gentilezza della sua avvenente persona valsero ad assodare le vive simpatie che destò al suo primo apparire. In complesso: applausi fragorosissimi e due chiamate a Tamburlini nel prologo; entusiasmo e bis pel finale del prologo. Applauditissimo e bissato il quartetto, e chiamate agli artisti. Applausi alla signorina Mendioroz dopo l'aria della prigione. Applausi grandissimi al finale del sabba classico. Ovazione e chiamate al Tamburlini nell'ultimo calar della tela.
"Gazzetta di Parma" del 24 dicembre 1890
IL CARNEVALE NEI TEATRI D'ITALIA
Diamo l'elenco degli spettacoli coi quali si aprirà la stagione del prossimo
carnevale in diversi teatri d'Italia:
Ancona, Teatro Muse - Carmen
Arezzo, Teatro Petrarca - Faust
Bergamo, Teatro Riccardi - Foscari
Bologna, Teatro Brunetti - Foscari
Bologna Teatro Corso - Forza del destino
Brescia, Teatro Grande - Carmen
Camerino, Teatro Marchetti - Favorita
Cagliari, Teatro Cerruti - Ugonotti
Carrara, Teatro Animosi - Ebreo
Catanzaro, Teatro Comunale - Frà Diavolo
Città di Castello, - Frà Diavolo
Como, Teatro Sociale - Ernani
Crema, Teatro Sociale - Carmen
Cremona, Teatro Concordia - Mefistofole
Cuneo, Teatro Civico - Don Sebastiano
Empoli, Teatro Salvini - Faust
Faenza, Teatro Comunale - Lohengrin
Fermo, Teatro Comunale - Napoli di Carnevale
Ferrara, Teatro Comunale - Ugonotti
Firenze, Teatro Pagliano - Cavalleria rustic.
Forlì, Teatro Comunale - Forza del Destino
Genova, Teatro Carlo Felice - Amleto
Legnago, Teatro Sociale - Favorita
Lodi, Teatro Gaffurio - Mignon
Lucca, Teatro Pacini - Mignon
Mantova, Teatro Sociale - Otello
Messina, Teatro Vittorio Eman. - Amleto
Milano, Teatro della Scala - Cid
Milano, Teatro Dal Verme - Ballo Amor ed operette
Modena, Teatro Municipale - Carmen
Napoli, Teatro San Carlo - Gioconda
Napoli, Teatro Bellini - Faust
Novara, Teatro Coccia - Otello
Oneglia, Teatro Umberto - Rigoletto
Parma, Teatro Regio - Pescatori di Perle e Sieba
Pavia - Frà Diavolo
Pisa Teatro Nuovo - Salvator Rosa
Pistoja, Teatro Manzoni - Luisa Miller
Porto Maurizio, Teatro Cavour - Puritani
Prato, Teatro Metastasio - Frà Diavolo
Rimini, Teatro Vittorio Eman. - Frà Diavolo
Roma, Teatro Argentina - Africana
Saluzzo, Teatro Saluzzo - Favorita
S. Remo, Teatro Principe Amedeo - Ugonotti
Sassari, Politeama - Jone
Savona, Teatro Chiabrera - Carmen
Siena, Teatro Rozzi - Sonnambula
Sinigaglia, Teatro Fenice - Favorita
Spezia, Teatro Civico - Ballo in Maschera
Terni - Favorita
Torino, Teatro Regio - Asrael
Trieste, Teatro Comunale - Mefistofele
Venezia, Teatro Rossini - Forza del Destino
Vercelli, Teatro Civico - Bella fanciulla di Perth
Verona, Teatro Ristori - Puritani.
"Gazzetta di Parma" del 13 gennaio 1891
Pubblico assai di buon grado la seguente lettera che mi dirige l'egregio ing.
Alberto Cugini. A questa lettera oggi non rispondo, perché me ne manca il tempo
ed anche perché le proposte, in essa contenute, sono varie, complesse, importantissime
e meritano diligente studio. È bene, intanto, che una discussione si faccia
su questo interessantissimo argomento e perciò metto fin d'ora, un po' di spazio
a disposizione di quelli che vorranno prender la parola in proposito.
Egregio sig. Direttore
Ieri sera mi è venuta un'idea, che io manifesto a Lei, perché ne tenga quel
conto che merita. Mi è venuta nel palchetto al Regio, ove attendevo che i miei
nervi e le mie arterie si calmassero dall'eccitamento cui li aveva spinti la
musica drammatica e umana del Mascagni, vagando collo sguardo per l'ampia sala
sfolgorante per la bellezza e l'eleganza delle nostre signore. Mentre l'immagine
di Santuzza abbandonata e di compare Turiddu si dileguavano adagio dalla fantasia,
pensavo che nella futura invernata il nostro massimo teatro sarà chiuso a doppio
giro di chiave, e che sul palcoscenico in luogo delle ballerine del bravo Cecchetti
danzeranno lietamente i topi. È inutile dissimularlo: nelle condizioni in cui
oggi si trovano malauguratamente le finanze del Comune, la nostra amministrazione
non può né deve proporre uno stanziamento per una dote teatrale; non entro nella
questione di merito, perché allora avrei molte cose a dire, fra l'altro che
le doti ai teatri fornite dalla cassa del Comune non sono niente affatto giustificate.
Ma è anche inutile dissimularci che il parmigiano senza il suo Regio aperto
nella stagione di Carnevale, senza lo spettacolo in musica per cui si appassiona
e si interessa tanto, io non so comprenderlo. È vero che si fa sempre senza
di ciò che non si ha; ma vi sono delle privazioni così dolorose, ad evitare
le quali siamo disposti a tutto. Oggi, abbiamo dinnanzi a noi quasi un anno
di tempo; non potremmo girare attorno lo sguardo e vedere se vi fosse qualche
mezzo che ci permettesse il lusso dello spettacolo d'opera anche nel prossimo
carnevale? Cerchiamolo, non aspettiamoci di aver l'acqua alla gola; non spaventiamoci
delle difficoltà; l'impossibile non esiste che per le persone malate di corpo,
o di spirito, ma non per noi che crediamo di essere sani nell'uno e nell'altro;
per noi è una parola vana. Ispiriamoci a Milano, dove l'iniziativa dei cittadini
ottiene ciò che Governo e Municipio e corpi costituiti non sono capaci di fare.
Siamo poveretti, faremo il passo secondo la gamba, ma facciamo questo passo,
non rimaniamo neghittosi col naso all'aria ad aspettare che la manna ci piova
dal cielo. Il cielo di oggidì si è cambiato; non lascia piovere che acqua, neve,
gragnuola e qualche volta dei fulmini che inceneriscono. Rammentiamo che Teatro
aperto non vuol dire soltanto una soddisfazione dello spirito, un divertimento
per gli occhi, del quale approfittano tutti i cittadini dalle poltroncine al
loggione; ma vuol dire lavoro per le sarte, per le modiste; vuol dire affari
d'oro per una quantità di negozianti; vuol dire un compenso per molti suonatori;
vuol dire il pane per i coristi e per un numero grande di artigiani. Chi può
fare il conto della somma di denaro che lo spettacolo leva dalle tasche di tutti
e mette in circolazione? Aggiunga, ed Ella del resto queste cose è in grado
di insegnarle a me, che i nostri signori e più ancora le nostre signore, se
non avranno a Parma nessuna attrattiva se ne andranno a passare gli ultimi giorni
di carnevale a Bologna, a Milano, a Roma, e siccome l'occasione fa l'uomo ladro,
a Bologna, a Milano, a Roma piglieranno i cappellini, gli abiti, i guanti, gli
oggetti di bigiotteria, i mobili, e tante altre cose, che avranno magari lo
stesso merito di quelle di Parma, ma che dopo tutto avranno il pregio di venire
di fuori. E tutte queste cose vogliono dire denari usciti da Parma per ritornarvi...
quando suoneranno le trombe di Gerico, ma temo che allora sarà troppo tardi
per rimediare alla generale bolletta. Ah! Lei cerca invano fra tante parole
l'idea che le ho annunciato? Eccola finalmente. La Società di incoraggiamento
alla agricoltura, industria e commercio, in un'epoca di tanti congressi
di uomini seri si era fatta iniziatrice di un congresso di maschere italiane
per questo carnevale, dimenticando che le maschere hanno perso del loro prestigio
dal giorno in cui cominciarono a scimiottare gli uomini seri; questa riunione
del buon umore obbligato dalle varie regioni italiane avrebbe portato seco altri
divertimenti, a realizzare i quali sarebbe tosto necessario una discreta sommetta
per cui si era chiesto, invano, il sussidio del Comune. Ora se la società vuole
veramente incoraggiare l'industria e il commercio faccia delle due cose l'una;
o destini le somme che aveva in preventivo a qualche divertimento a pagamento,
nuovo, elegante e ben fatto, che possa attirare e interessare molto pubblico,
e il provento di esso serva come nucleo della futura dote; oppure abbandoni
l'idea di divertimenti di quest'anno e destini addirittura quella somma a tale
uso. E uno! La Società orchestrale, la più interessata a che lo spettacolo
al Regio abbia luogo, si faccia iniziatrice di buoni concerti per la quaresima,
ciò che le sarà facile cogli ottimi elementi che si trovano a Parma, e il provento
di essi venga aggiunto al nucleo formato dalla Società di incoraggiamento. E
due! La Società dei commercianti e quella del Carnevale dell'oltre
torrente, già confederate a quella di incoraggiamento, diano essi
pure una somma. E quattro! Finalmente si formi un comitato di persone di capacità
e di buon volere, che raccolga firme di cittadini, fra primi i palchettisti,
obbligandoli per un anno ad una quota mensile. E cinque! Ma questo Comitato,
formato di valori e di attività, cerchi, studi proponga qualche cosa di buono
per la ventura primavera, che valga a fruttare altri quattrini alla dote raccogliticcia.
Si rammenta, egregio Direttore, la Esposizione di arte antica tenuta nelle sale
del Museo, undici o dodici anni or sono? Ebbene essa fruttò al Comitato di Provvedimento
quasi tre mila lire nette da spesa. Coraggio, buona volontà, fede nelle vostre
braccia e nella vostra testa, e riuscirete! Almeno io lo credo, purché questa
mia opinione non sia un ricordo del soggiorno abbastanza lungo che ho fatto
a Milano! Non raggiungeremo le trenta mila lire? Pazienza, ci accontenteremo
di due opere in luogo di tre e un ballo. Sempre meglio un osso che un bastone.
E poi questa può essere migliorata d'assai. Non ho finito. Vi è un'altra difficoltà.
La commissione di vigilanza sui teatri può, se lo vuole, impedire che il Regio
si apra nel venturo carnevale, se non vi è applicata la illuminazione elettrica;
queste parole tradotte nel linguaggio che si parla alla cassa del Comune suoneranno
circa venti mila lire. Si potrebbe forse superare anche questa difcoltà coll'eseguire
l'impianto della illuminazione Edison sul palcoscenico e nelle corsie dei palchi,
e in via provvisoria illuminare la sala e l'atrio con lampade ad arco, come
si fece in occasione della riuscitissima festa degli studenti nel decorso maggio.
La spesa sarebbe sensibilmente minore. Né è detto che qualche benemerito cittadino
o istituto, come la Cassa di Risparmio, non potesse anticipare al comune la
somma necessaria come prestito senza interessi. Reggio, se non m'inganno, in
questo modo ha ottenuto una condotta di acqua potabile. E giacché, egregio Direttore,
Ella è stata tanto cortese da leggere fin qui questa mia lettera, porti pazienza
ancora un momento ma prepari, innanzi di continuare la lettura, le pietre per
lapidarmi. A Lei si uniranno probabilmente i novanta centesimi dei lettori,
perché ogni idea, Ella lo sa, deve avere i suoi martiri. I teatri esclusivamente
a palchetti come sono tutti i più belli d'Italia non più di ieri, hanno fatto
il loro tempo; oggi le esigenze nuove li vogliono a gallerie; maggiore quantità
di persone può in tal modo approfittare dello spettacolo, e per lo spazio maggiore
disponibile e per la minore spesa che si richiede per entrare in una galleria
in confronto di quella necessaria per un palchetto. Ora io alzerei la mia mano
sacrilega sulle pareti che dividono i palchetti di quarta fila per demolirle
tutte e ricavarne una galleria cui si avrebbe ingresso col biglietto valevole
per la platea e palchi; anzi ridurrei a galleria anche una parte del terzo ordine:
certo che prima il Comune dovrebbe acquistare i pochi palchi che nell'ultimo
ordine sono di proprietà privata, e pel terzo procedere magari a permute. In
tal guisa verrebbero ad aumentare di molto gli introiti serali, perché potrebbero
godere dello spettacolo molte famiglie, (tutte quelle che vanno ad occupare
le gradinate del Politeama), che non possono approfittare delle poltrone, ma
che non si sentono neppure di farsi schiacciare nella platea. Tutti i teatri
delle grandi città, specialmente dell'estero, sono costrutti a palchi e gallerie.
La distinzione e l'eleganza del teatro certamente ne soffre , ma d'altra parte?
Democratizziamo le istituzioni perché non vogliamo democratizzare anche il teatro?
Se Ella è giunta a leggermi fin qui, io Le manifesto i sensi della mia gratitudine.
Suo
Ing. ALBERTO CUGINI
"Gazzetta di Parma" del 17 gennaio 1891
LA DOTE TEATRALE
La questione della dote teatrale, opportunamente risollevata dall'egregio ing.
Cugini, è importantissima per Parma, perché è questione di vita o di morte per
la continuazione degli spettacoli al Regio, che tanto contribuiscono a mantenere
quella tradizione artistica e signorile nello stesso tempo - sia pure in minime
proporzioni - per cui la città nostra seguita a mantenersi in un rango superiore
a tante altre città, magari più importanti per popolazione e ricchezza, e la
rende soggiorno gradito ai non pochi forestieri, che qui hanno stabile o passeggiera
dimora. È inutile nasconderlo. Parma nostra, per una serie di vicende non imputabili
alla sua popolazione, è scaduta molto dal suo antico splendore. Essa si trova
nelle condizioni di quelle famiglie nobili decadute, che furono costrette di
privarsi, capo per capo, di quanto formava il loro lustro e ridursi in quello
stato di semimiseria, che malamente dissimulano i residui di una doratura. Tolgasi
oggi il teatro, domani la Corte d'Appello, posdomani l'Università, un altro
giorno il Conservatorio di musica - danni che, purtroppo, ci sovrastano - e
Parma assumerà l'importanza di una grossa borgata. Si dice e non senza apparenza
di ragione: le famiglie, che, all'approssimarsi della ruina non sanno prendere
coraggiosamente il loro partito e ritardano di mettersi sul piede modesto che
comporta la stremata fortun, affretta no la ruina finale. Se non è più possibile
la vita del signore, si faccia quella del laborioso operaio, che sarà sempre
meglio che quella del pitocco. Ma è possibile applicare strettamente questa
massima giustissima per una famiglia, ad una città? Ne ho i miei riveriti dubbi.
L'ing. Cugini ha egregiamente accennato ai danni che, dalla chiusura del teatro,
ne deriverebbe alla cittadinanza in generale e più specialmente alle non poche
famiglie che sul teatro lucrano non poco e ne ritraggono giovamento. Verissimo.
Il teatro è fonte di guadagno per molti. Buona parte dei denari della dote teatrale,
restano tra noi e, per poco lo spettacolo sia discreto, colla venuta di forestieri,
si compensa largamente a quanto i maggiori artisti riescono a' portar via. Si
tratta, dunque, piuttosto d'un movimento, che non d'una sottrazione di capitali.
Oltre di ciò, è positivo che i nostri spettacoli teatrali contribuiscono a trattenere
tra le nostre mura le famiglie ricche indigene ed una quantità di altre famiglie
agiate, non della città le quali, molto probabilmente, senza l'attrattiva del
teatro avrebbero presa stanza altrove. Per mio conto, posso assicurare che già
alcuni ricchi, nella possibilità che, l'anno prossimo, rimanga chiuso il teatro,
pensano di passare l'inverno in altro luogo. La possibile emigrazione di famiglie
ricche, non compensata, certo, dall'immigrazione periodica di centinaia di pezzenti,
è un affare abbastanza serio e questo vuol essere considerato seriamente e senza
preconcetti. Ciò m'impressiona assai più che non la sorte della così detta famiglia
teatrale. Dico il vero. Mi sembra che questa benedetta famiglia non possa vantare
troppe benemerenze verso il Regio. Il nostro teatro è stato per essa la mucca,
ai capezzoli della quale si è attaccata senz'ombra di discrezione, magari fino
a trarne sangue, quando non poteva più dar latte. La società orchestrale e la
società dei coristi non hanno o non han mostrato d'avere, col fatto, alcun intendimento
artistico; ma sebbene sembra abbiano per unico scopo la tutela degl'interessi
particolari dei componenti di essa. E in siffatta tutela, non di rado, si è
ecceduto. Quando penso che la società dei coristi impone alle varie imprese
tutti i suoi membri, anche se vecchi e sfiatati e non permette si scritturino
coristi all'infuori dei componenti di essa; non posso dire che in siffatta guisa
si tutelino gl'interessi dell'arte, si sia gelosi del buon nome e delle tradizioni
gloriose del nostro massimo teatro e si faciliti la messa in scena degli spettacoli.
E mi limito ad accennare siffatte magagne, senza troppo addentrarmi nelle consuetudini
del Regio; ma, per poco si abbia pratica del teatro, si comprende come, in proposito,
molto ancora si potrebbe dire. Dunque, ritornando a capitolo, convengo coll'ing.
Cugini, che la mancanza di una dote teatrale, compromette la possibilità di
riaprire, con spettacoli soltanto decenti, il Regio, e che la chiusura di questo
costituisce un danno materiale e morale, per la città nostra non indifferente.
È una questione - lo ripeto - molto seria e che non vuol essere risolta a suono
di frasi, di tirate rettoriche e di sentimentalismi fritti e rifritti. Sventuratamente,
la questione della dote municipale è vulnerata, per non dire spacciata, dalle
condizioni del bilancio municipale. E non è tanto la situazione critica, ma
non disperata del bilancio, della quale si possono far forti gli oppugnatori
della dote teatrale, per sostenerne la radiazione dalle linee del bilancio,
quanto il fatto che l'amministrazione comunale è stata, quest'anno, costretta
ad oltrepassare il limite della sovrimposta provinciale e comunale; il che,
per legge, obbliga la radiazione di qualunque spesa facoltativa, siccome è appunto
la dote teatrale. Quid agendum? Tener chiuso il teatro, o trovare, in
qualche modo, un equivalente alla dote fornita, fin qui, dal municipio. L'ing.
Cugini ha detto: la dote deve, ad ogni modo, costituirsi. Basta che la cittadinanza
sia veramente compresa dei danni che si avrebbero tenendo chiuso il teatro e
perciò voglia con risolutezza e bene inteso spirito di sacrificio, sopperirvi.
E l'ing. Cugini addita come si dovrebbe procedere per racimolare la somma occorrente
allo spettacolo. Io mi propongo di dare il mio rimessivo parere su le proposte
del mio giovane ed egregio amico; ma siccome mi sono un po' troppo dilungato,
lo farò in un altro numero.
Z.
"Gazzetta di Parma" del 23 gennaio 1891
Scorrendo l'altro giorno la Gazzetta Piemontese, ci cadde sotto gli occhi una corrispondenza da Parma, portante la relazione dell'esito e dell'esecuzione della Cavalleria Rusticana al nostro Regio. Parlando dell'esito questo anonimo corrispondente scrive: "I pezzi che piacquero maggiormente furono la Siciliana, il racconto di Santuzza e l'addio di Turiddu." O scusi, dove mette l'intermezzo sinfonico, e la stretta finale del duetto tra Santuzza e Turiddu, pezzi che costituirono e costituiscono il vero successo dell'opera? Ma andiamo avanti. Parlando dell'esecuzione questo veritiero corrispondente così giudica i due protagonisti: "La signora Ernestina Bendazzi-Garulli fu applaudita, sebbene la sua voce fosse alquanto affievolita dalla stanchezza, e il tenore Garulli parve un po' troppo affettato nell'usare certe sue note in falsetto". Ci pare che questa corrispondenza non abbia bisogno di commenti. E noi non ne facciamo. Solo a questo tale che scrive con tanta coscienza, ci permettiamo di dire: O voi non siete mai stato teatro e non avete quindi potuto assistere de visu alle grandi feste che il nostro pubblico intelligente tributa seralmente a questi due veri artisti, oppure per scrivere così, voi avuta una ragione speciale, una causa recondita! E cercando bene la causa recondita si trova: questo tale è stato a casa Garulli, ma non è stato troppo contento del modo con cui fu ricevuto. Anche nella Gazzetta Teatrale Italiana troviamo in una corrisponenza da Parma le linee seguenti: Ls signora Ernestina Bendazzi-Garulli parve deficiente nei mezzi vocali soverchiamente affettata nella scena. Il tenore Garulli canta bene, ma abusa troppo di certe su note in falsetto, che mal si adattano all'ampiezza del nostro teatro. "Migliore di tutti si mostrò baritono Bachetta, fornito di magnifica voce." Questa corrispondenza è firmata Roberto Fava, che s'assomiglia troppo a quella della Gazzetta Piemontese per non far dubitare che i due giornali abbiano per fedele, imparziale resocontista la stessa persona. Noi null'altro aggiungiamo del nostro. Lasciamo giudice il pubblico del come certi signori disimpegnino loro mandati!
"Onorevole Canela" del 14 febbraio 1891
AL TEATRO DELLE INDECENZE
Al Teatro delle indecenze (alias teatro Regio), dopo qualche giorno di titubanza,
si è data e già esaurita la seconda edizione del Mefistofele: Gli altri
giornali avendone già parlato a josa, dirò soltanto che il Tamburlini, un Mefistofele
addirittura autentico, ebbe ovazioni entusiastiche, continue, e l'ammiratissima
signorina Mendioroz applausi frequenti. Ma di questo, ripeto, i giornali hanno
discorso; mi fermerò quindi su i do e le altre note che nessun giornale e nessun
reporter ha registrato: Perché?... Per la ragione semplicissima che venivano
dai palchi! I nostri complimenti... specialmente alla pudica Gazzetta che pel
minimo strillo che venga dal loggione non ha fiato sufficiente per chiedere
provvedimenti e misure radicali, mentre per le interruzioni e gli ululati aristocratici
che, specialmente dacché canta il Nouvelli (e pourquoi?...) hanno convertito
il nostro Teatro in una vera arca di Noé o in una fiera di S. Giuseppe, non
s'è fatta ancora viva! I nostri mirallegro e ...i mirallegro anche ai signori
della Questura! Affé mia, che val proprio la pena che l'Impresa lasci entrare
a ufo mezzo battaglione di Benemeriti per vederli ammirare beatamente le belle
signore come tanti pacifici borghesi che abbiano pagato i loro tre franchetti!...
"Gazzetta di Parma" del 12 dicembre 1891
Chi volesse narrare per filo e per segno la storia delle trattative per mettere insieme quel po' di spettacolo carnevalesco che ci è concesso sperare, metterebbe assieme un libro - un semplice opuscolo sarebbe troppo poco - gustoso assai. Metternich e Taillerand non faticarono meno al congresso di Vienna per pacificare l'Europa. Corrispondenze chilometriche telegrammi ai volumi, ambasciatori in titolo ed agenti secreti, informatori;. discussioni in pleunor e colloqui, misteriosi; insomma: tutto l'arsenale ed il ciarpame della diplomazia fu adoperato per condurre in porto la difficile opera. Ma è veramente in porto? Ecco, questo veramente non oserei affermare. Ho sentito tante volte affermare che tutto era combinato e che viceversa, tutto era andato a monte, che prima di garantire una cosa siffatta bisogna pensarci su due volte almeno. Dopo che l'ossatura dello spettacolo è stata fatta e rifatta una diecina di volte dopo che la compagnia artistica ha subito cento trasformazioni caleidoscopiche; rimanevi sempre la questione delle paghe ai professori d'orchestra. Un osso duro, perché l'impresa esigeva una grossa falcidia su le paghe degli altri anni; ciò che i professori non volevano concedere né punto né poco. Finalmente, tira di quà, tira di là, la faccenda sembrava accomodata, quando insorse la questione dell'arpa. Sissignori; questo dolcissimo strumento il cui suono aveva la virtù d'acchetare persino il furioso Saulle, per poco non produsse il patatrac. L'impesa voleva che all'arpa pensasse la società orchestrale; questa, che fra i suoi componenti non ha una arpista, non voleva saperne di scritturarne una. Si è questionato, tutta ieri, su tale proposito. Finalmente - a quanto mi fu riferito - pare che l'impresa cedesse su quest'ultimo punto. Se non che di arpiste disponibili pare non ve ne siano e senz'arpa Sonzogno non permette l'esecuzione dell'Amico Fritz. A mezzanotte la questione era a questo punto e non ho avuto tempo d'informarmi che progresso abbia fatto d'allora in poi. Tutto, però, lascia credere che lo spettacolo si potrà combinare. Che auf di soddisfazione devono emettere i signori della Commissione teatrale! Lo spettacolo sarebbe il seguente. Carmen, Amico Fritz, Amleto, con la Rossini, e la Corsi, il tenore Maina, i baritoni Leherie e Modesti; direttore d'orchestra il m. Pomé, 52 professori d'orchestra e 12 ballerine.
"Gazzetta di "Parma" del 27 dicembre 1891
LA CARMEN AL REGIO
Dico la verità: da un pezzo non vorrei mai venirci ai capelli tirati di parlare
dello spettacolo. Un tempo si diceva: lo spettacolo è buono, è discreto, è ottimo,
è cattivo; ma s'intendeva questo in modo assoluto e inteso soltanto nei rapporti
dell'arte. Oggi non è più così; il buono od il pessimo vuol essere inteso in
senso relativo ed a formare questa relatività concorrono una folla di elementi
che non bisogna trascurare se si vuol essere giusti; ma che pure imbrogliano
il disgraziato, che per ragione d'ufficio, è costretto a dare il suo parere.
Infatti, se i lettori, che, iersera, non furono a teatro - quelli che ci furono
non hanno certo d'uopo che io dica loro com'è andata - mi domandano dell'esito
del nostro spettacolo e del valore che esso ha; dovrò tosto cominciare con dei
se, dei ma, dei distinguo, uggiosi per chi legge; ma più uggiosi per chi scrive.
Effettivamente, se si vuole considerare lo spettacolo sotto il rapporto complessivo
ed assoluto dell'arte, esso presenta delle enormi deficenze e tali da meritar
tutt'altro che una completa approvazione; se lo si considera, invece, sotto
il rapporto degli scarsi mezzi, di cui dispone il teatro in confronto delle
pretese degli artisti, delle peripezie, per cui la composizione dello spettacolo
è dovuta passare; si può onestamente affermare che in esso c'è più ragione in
lode che di biasimo. Negli scorsi anni - non parlo di epoche ormai lontane -
con più posata preparazione e, forse, con mezzi maggiori, abbiamo avuto spettacoli
migliori dell'attuale, ma ne abbiamo avuti anche degli uguali, o peggiori. Poiché
è inutile dissimularselo: coi redditi che fornisce il teatro è assolutamente
impossibile - salvo il miracolo dell'orbo che trova per via il ferro da cavallo;
e, per verità, di siffatti ferri l'orbetto parmigiano ne ha trovati più d'uno;
ciò che ha contribuito a guastarlo - avere uno spettacolo completamente buono.
Bisogna cavarsela di testa la pretesa d'avere d'ora innanzi buoni spettacoli.
Stimarci fortunati del mediocre e saper tollerare il cattivo: ecco la sorte
che ci è riserbato in avvenire; la sorte dei ricchi decaduti, dei nobili declassès.
A mio avviso, dunque, lo spettacolo attuale è quello che non poteva a meno di
essere: mediocre, tollerabile. Gli entusiasmi sarebbero fuor di luogo; ma le
recriminazioni esagerate, violenti del pari. Non parlo dello spartito. La Carmen
non si giudica più. La compagnia è formata di buoni elementi; alcuni dei
quali, però, non mi sembrano a posto in quell'opera. Cito fra questi la signora
Roluti Pia, la quale è venuta tra noi preceduta da buona riputazione artistica
e che si diceva la colonna dello spettacolo. Essa, sia orgasmo, od altro, non
è apparsa certo una Carmen ideale, sebbene non manchi di buoni mezzi
vocali, specie negli acuti, essendo essa un vero soprano. Le ha nociuto, credo,
la sua persona stecchita, l'angolosità della sua azione, priva della mollezza
flessuosa e della rotondità ondeggiante di una gitana, di una cigarera
sivigliana. Non esito a credere che in un altro spartito, trovandosi più
a posto, la signora Roluti potrà meglio esplicare il suo talento di cantatrice
e di attrice e prendersi una solenne rivincita. Una buonissima Micaela è
stata, invece, la signorina Corsi, la quale ha riportato un completo successo,
segnatamente alla sua aria del terz'atto, che dovette ripetere fra applausi
calorosissimi. La signorina Corsi non ha certo un grosso volume di voce; ma
quella che ha è di bel timbro, uguale, pastosa e la sa modulare con arte eletta.
In una parte di maggior rilievo, ella potrà ricavare - lo credo e lo spero -
degli effetti da assicurare uno di que' successi che schiudono la via ai più
lusinghieri trionfi. Il tenore V. Maina, sebbene il suo successo non sia stato
completo, può sempre dire d'aver riportato una vittoria, dacché, se, in principio,
aveva fatto dubitare de' suoi mezzi; a misura che l'azione del dramma incalzava
e che la gola gli si riscaldava, ha avuto dei momenti abbastanza felici e tali
da forzare il pubblico, prevenuto ed ostile, all'applauso. I mezzi vocali di
questo artista - massime fatta ragione alla estrema penuria di tenori - sono
tutt'altro che disprezzabili. Il timbro di voce è simpatico e questo sale agli
acuti con lodevole facilità. Non dubito che, rinfrancato dall'esito, guadagnerà
sempre più nelle simpatie del pubblico. Il baritono Modesti, che possiede ancora
la sua bella voce, tanto ammirata, allorquando esordì nella carriera artistica
su le scene del Reynach, ha guadagnato parecchio in quanto a spigliatezza nell'azione.
Quella del toreador - perché si dica toreador e non torero
non ho mai potuto capire - è, per verità una parte fatta e basta avere buona
voce per essere sicuri dell'applauso; ed il Modesti ha, infatti, approfittato
della bella circostanza per ottenere un applauso generale e l'onore di ripetere
la sua popolarissima aria. Finalmente le parti secondarie, il soprano signorina
Bampo, il contralto sig. Svetadè, il tenore Corsi, il baritono Franzini, il
basso De Probizzi se la sono cavata proprio benino. Il quintetto del second'atto,
che è uno degli scogli della Carmen è filato via diritto come una spada,
si da meritare quell'applauso... che il pubblico imbronciato si è dimenticato
di fare. L'orchestra, sotto la direzione del maestro Pomè, ha sempre proceduto
lodevolmente ed ha avuto dei momenti felicissimi. Applauditissimo e bissato
il delizioso preludio del terzo atto, nel quale è apparso flautista distintissimo
il bravo prof. Cristoforetti. I cori al solito. Applaudita e bissata la marcia
dei ragazzi, ritengo per quella grande simpatia che ispira la fanciullezza.
Malgrado le burrasche ed i colpi di vento, penso che la Carmen abbia
raddoppiato il capo delle tempeste e che oramai potrà navigare spedita, allargando
sempre più il vantaggio per raccogliere il vento del favor popolare. Se vi sono
dei malcontenti e degli incontentabili, questi finiranno per farsi una ragione.
Oramai, chi va a teatro deve premunirsi di una forte dose di filosofia e di
ottimismo, senza cui otterrà di guastarsi il fegato e nient'altro. Stassera
seconda rappresentazione.
Z.
"Gazzetta di Parma" del 14 gennaio 1892
"L'AMICO FRITZ" AL REGIO
Mi limito alla semplice cronaca della serata. I lettori capiranno perché io
sia nell'impossibilità di dare il mio debole parere su la musica del Mascagni.
Comincio. Un teatro imponentissimo, certo il più brillante della stagione. I
palchi guerniti di belle signore in eleganti toilettes. Occupati tutti
i posti riservati e le poltrone. Platea e loggione rigurgitante. Si nota un
forte numero di forestieri venuti per la solenne circostanza da Piacenza, da
Reggio, da Modena. Alle otto precise il maestro Pomè sale sul seggio direttoriale.
Silenzio imponente. Il preludio passa sotto silenzio. Il pubblico seguita con
attenzione lo svolgersi delle scene, senza dare né un segno di approvazione,
né di disapprovazione. Applauditissimo e chiamato all'onore del proscenio il
prof. Mantovani pel modo con cui eseguì la zingaresca - si chiama così. Al calar
della tela c'è un isolato di applauso, che è soffocato da un formidabile zittio.
Seguita il silenzio fino al famoso duetto delle ciliege. Qui l'indifferenza
dell'uditorio comincia a scuotersi. Il pezzo piace e scoppia un fragoroso applauso.
Al solito, si chiede il bis; ma gran parte del pubblico, con ragione,
protesta e grida: avanti. Dopo un po' di lotta, il m. Pomé si decide a proseguire.
L'arrivo del biroccino passa inosservato. Siamo ad un altro punto culminante
dell'opera: il duetto della Bibbia. E qui cominciano le dolenti note. Il baritono
Leherie è stato colto da grave indisposizione; ma il pubblico lo ignora. Egli,
proprio quando stava per incominciare il pezzo , emette una nota, cioè: un suono
gutturale molto infelice. Il loggione, severo come Minosse, che giudica e manda,
senza star lì tanto a riflettere che gli sta davanti un artista di grido, lo
becca come l'ultimo dei comprimari. Il Leherie, il quale non sa, o non
ricorda che la stessa cosa è accaduta, qui in Parma a più d'una celebrità, piglia
il cappello, fa un inchino al pubblico e sparisce tra le quinte. Succede il
finimondo. Urli, fischi da spezzare i crani più solidamente costrutti. Quel
pandemonio dura più di cinque minuti, restando la scena vuota. Finalmente il
Leherie ricompare su la scena. Ottenuto il silenzio, con gentili parole, dice
di essere stato colto da un improvviso e completo abbassamento di voce; egli
perciò domanda se lo spettacolo deve continuare. Il pubblico gli risponde con
un fragorosissimo applauso. Lo spettacolo, perciò, prosegue. Ma è naturale,
che, stante le condizioni di voce in cui si trova il baritono, il pezzo della
Bibbia non fa effetto alcuno e l'uditorio non sa capacitarsi come, in mezzo
all'afonia vocale, l'orchestra senta il bisogno di tutto quel diavolerio con
cui termina il pezzo.
Bref: anche il second'atto, termina tra un silenzio generale. Al terz'atto
è applauditissimo e ripetuto l'intermezzo sinfonico; bel pezzo in verità e di
grande effetto; ma che non mi riesce di capire cosa stia a fare in quell'opera.
Udendolo, il pubblico s'aspetta che la scena rappresenti, per lo meno, un orrido
carcere col relativo sasso di legno e che preludi qualche grave catastrofe.
Niente affatto: la scena rappresenta la rusticana sala di Fritz e preludia
il matrimonio di costui con Suzel. Forse che Mascagni vede un termine
di confronto tra la prigione ed il talamo; tra la morte e il matrimonio! Ma
come ho detto, il pubblico non guarda tanto pel sottile; trova l'intermezzo
bello e, filosofia o non filosofia, applaude con quanto ha fiato. Un applauso
lungo, caloroso e meritato lo riscuote il tenore Moretti pel modo eletto con
cui canta la romanza; pezzo di bella ispirazione, massime la proposta. Si chiede
il bis che è gentilmente concesso. Un altro applauso riscuote lo zingaro,
sig. Sambo, che ha una bella voce robusta intonata. Poi l'opera termina tra
un nuovo e più agghiacciante zittio. La gente commenta l'opera e l'esecuzione
animatissimamente. In generale si trova l'opera molto al disotto della grande
aspettativa e l'esecuzione vocale, in complesso, deficente. È lodata l'esecuzione
orchestrale molto precisa; ma si osserva che suona troppo forte. Dopo questo
resoconto fedele ed imparziale si comprenderà di leggeri come non mi arrischi
a dire il mio parere. È difficile giudicare un'opera dopo una sola prima audizione;
è impossibile se l'esecuzione è stata imperfetta, come quella di iersera. Se
l'Amico Fritz si ripeterà, non mancherò di fare l'officio mio: Intanto
debbo dire, ad onor del vero, che il giudizio del pubblico non mi è sembrato
soverchiamente ingiusto. Non sono uso ad adulare il pubblico e perciò spero
non mi si accuserà di piaggeria, se questa volta mi schiero dalla sua parte.
Il pubblico è venuto in teatro piuttosto ben prevenuto e disposto all'applauso
piuttosto che alla disapprovazione. Se ha disapprovato; se non si è lasciato
imporre dai giudizi di altri pubblici; se ha trovato che, complessivamente,
lo spettacolo non era buono; la colpa, proprio, non è sua. Completo la cronaca
della serata. Il divertimento danzante, nel quale si è prodotta la prima ballerina,
signorina Rizzo - una danzatrice graziosa assai e valente - non so chi abbia
potuto divertire se non i giovinotti di primo pelo, che vanno in sollucchero
se vedono un par di gambe ben tornite. Ad ogni modo, si sa cosa sono siffatti
divertimenti danzanti. Dato un buon spettacolo, come riempitivo poteva anche
passare; ma, dopo l'esecuzione che si è avuta dell'opera, era, per verità troppo
poco. Così, non appena il sipario fu abbassato per l'ultima volta, scoppiò un
tremendo uragano di fischi che si prolungarono fino a ché la sala fu completamente
sgombera.
Z.
"Gazzetta di Parma" del 22 gennaio 1892
LA SECONDA DELL'AMICO FRITZ
Ho già detto le ragioni, per le quali, dopo la prima rappresentazione dell'Amico
Fritz, ho voluto limitarmi a registrare la pura cronaca di quella turbolenta
serata. Per chi scrive, un giudizio precipitato è una colpa, la cui pena minore
è quella di mettere lo scrittore nell'obbligo di ricredersi in faccia al pubblico.
Io, poi, mi compiacio di siffatto riserbo, dacché, con la sostituzione dell'artista
che sosteneva la parte di Rabbino, posso dire, ora, di avere inteso tutta
l'opera. Tuttavia non sono riuscito a sgombrare l'animo mio da una grande perplessità.
Per solidarietà di professione, non posso mettere in dubbio l'esattezza e, tanto
meno la buona fede dei giornalisti, i quali, nel render conto dell'esito ottenuto
dall'Amico Fritz nei vari teatri in cui fu rappresentato e presso pubblici
intelligenti e capaci di giudicare un lavoro d'arte serenamente e senza lasciarsi
montare da manovre extra-artistiche; non hanno esitato a dare la stura alla
più sconfinata ammirazione, alla fraseologia trasudante il più schietto entusiasmo.
Credo che non pochi de' miei colleghi abbiano messa a dura prova il dizionario,
costringendolo a fornire i vocaboli più nuovi, più strani, onde fosse meglio
espresso tutto il caloroso, il bollente, l'infuocato entusiasmo, da cui era
compreso l'animo loro e del pubblico, delle sensazioni violentemente deliziose
del quale si rendevano gl'insufficienti - dicevano essi, con grande modestia
- interpreti. Tutto quanto di elogiativo si poteva dire, a proposito dell'Amico
Fritz, è stato detto. Per un futuro lavoro del Mascagni, la critica, o dovrà
cadere in desolanti ripetizioni, od aumentare la lingua italiana di qualche
dozzina di nuove dizioni. Di fronte ad un simile precedente, io, che ascoltando
religiosamente l'Amico Fritz per tre volte - compresa la prova generale
- non ho mai sentito scorrermi giù pel fil delle reni quella sensazione di freddo,
che è la conseguenza fisica di uno stato psicologico sovrammodo eccitato; che
non sono mai stato scosso un momento da schietto entusiasmo; che non ho potuto
sdilinquere di tenerezza ad ogni banalità che si riscontra nello spartito; ho
dovuto più volte domandarmi, con somma mortificazione dell'io cosciente: ma
che sia proprio un cretino, incapace di capir qualche cosa? Avrei rimesso, molto
volentieri, ai posteri l'ardua sentenza, tenendo il mio giudizio per me solo;
ma dappoiché il lettore assiduo della Gazzetta, oltre il suo proprio,
pretenderà conoscere anche il mio, mi è giuocoforza rivelare quanto penso su
questo tanto acclamato spartito. Francamente, non mi sono riescito a spiegare
gli entusiasmi di altri pubblici. Non vi potrà aver contribuito l'eccezionale
esecuzione, perché, complessivamente, non può essere stata di molto superiore
a quella, riveduta e corretta, che si è avuta a Parma. D'altronde, le apoteosi
di via sono state principalmente, se non esclusivamente pel maestro e gl'interpreti
vennero sempre in seconda linea. Si deve, quindi, inferirne che è la musica
che è piaciuta, che ha entusiasmato. Ora io credo che l'Amico Fritz abbia
rivelato, ancora una volta, delle felici attitudini musicali nel m. Mascagni,
tali da meritargli benevolenza ed incoraggiamento; ma non certamente da legittimare
certe esagerazioni laudatorie, certe apoteosi grottesche, atte soltanto a far
smarrire la coscienza di sè stesso ad un giovane compositore. Mascagni ha esordito
felicemente - forse troppo - con un'opera racchiudente pregi induscutibili;
pregi di sobrietà, di passione, di ispirazione veramente sentita. La Cavalleria
rusticana, per quanto di proporzioni tascabili, era una vera opera drammatica.
Ed il pubblico, pure tributandogli largo plauso d'incoraggiamento, giudiziosamente,
prima di proclamarlo un vero maestro operista, aveva tutto il diritto d'aspettare
una seconda prova, in cui il maestro avesse modo di manifestare la potenza del
proprio ingegno, con un lavoro di proporzioni più vaste che non sia la Cavalleria
rusticana. Ed il secondo lavoro - acclamato e portato ai sette cieli, prima
ancora che fosse rappresentato - è venuto; ma a me sembra che esso nulla aggiunga
alla fama del giovine maestro. Anzi. Un confronto tra i due lavori del Mascagni
è impossibile. Uno è un vero dramma, per quanto di proporzioni ridotte; l'altro
è... Chi mi sa dire cosa sia veramente l'Amico Fritz? Un'idillio, una
commedia musicata? Tale si disse che sia, o che volesse essere; ma tale non
è certamente riuscita. Che l'argomento scelto, senza passioni un po' forti,
si prestasse a scrivere un'opera di genere idilliaco può anche darsi, dacché
la potenza del genio di un maestro arriva persino a conferire al libretto i
pregi che non ha. Ma al maestro è venuto meno la lena, per fare un'opera di
getto. Vi sono due opere nell'Amico Fritz. Dal palco scenico scaturisce
talvolta una musica calma, gentile, ispirata; dall'orchestra pare che prorompino
passioni tumultuose, furibonde. Questa sconnessione tra la parte vocale e l'istrumentale
mi sembra costituisca il principalissimo difetto capitale in quell'opera. Ho
visto levare al cielo la bellezza e la sapienza dell'istrumentazione; direi,
invece, che quella è proprio il tallone d'Achille. Sarebbe stato del caso un
istrumentale leggero, elegante, delicato, ed è riescito, al contrario, pesante,
contorto, inconcepibilmente rumoroso. Udendolo da solo, si è costretti a mettere,
con la propria immaginazione, sul palco scenico una mezza dozzina di guerrieri,
con tanto di pennacchio ed altrettanti turchi, con relativa mezzaluna, insieme
ferocemente combattentisi; che se poi, durante la rappresentazione, uno dei
tanti micidialissimi forti dell'orchestra soffoca inevitabilmente la voce degli
artisti, il povero spettatore intronato è tratto, involontariamente, a domandarsi,
cosa facciano là su la scena quei così vestiti da ebrei alsaziani. Né bisogna
nemmeno esagerare circa la soavità delle melodie trovate dal m. Mascagni. Certo
egli ha quello che si dice: lo spunto melodico facile, grazioso; ma spesso il
pensiero divaga, la melodia si smarrisce; nè è sempre melodia ritmica, quadrata,
che è tradizione e vanto della scuola italiana. Ad onta di questo, la facilità
di rinvenire la melodia è incontestabile nel giovine maestro toscano ed è precisamente
per questo che è lecito sperare egli possa, un giorno, produrre qualche cosa
che veramente accresca il patrimonio artistico nazionale. Del resto, come tratti
il Mascagni le massi corali, come sappia fondere le varie voci dei cantanti
è ancora un mistero. Nell'Amico Fritz, non c'è un finale - secondo l'idea
usuale che si dà a siffatti pezzi - non un quartetto, nemmeno un terzetto. Tutto
il primo atto - se si eccettui una frase, un accenno melodico della Suzel
- è di una desolante vacuità. E vacua, nella sua pretensiosità all'originale,
allo strano, è la suonata dello Zingaro, la quale può soltanto commuovere...
d'ufficio la morbosamente sensibile Suzel; inconcludente il predicozzo
del Rabbino ai ghiottoni; plateale sebbene d'après nature la marcia
finale. Nel second'atto abbiamo di veramente buono il famoso duetto - veramente
originale soltanto nella prima parte quantunque, in ultimo, sciupacchiato dall'istrumentale
assordante. Gli altri pezzi non si estolgono dalla semi aurea mediocrità, compreso
il duetto della Bibbia, che è pure uno dei pezzi di migliore fattura, e tanto
strombazzato arrivo del baroccino, che entusiasmò il pubblico di Roma, come
nella storia dell'arte italiana non vi fossero pagine di musica imitativa di
ben maggiore potenza e valore. Il preludio del terz'atto, quantunque assolutamente
fuori di posto, è proprio un bel pezzo. Il tema è lo stesso della zingaresca;
ma col pieno dell'orchestra raggiunge un effetto, che s'impadronisce del pubblico
e lo trascina all'applauso. Bella, ispirata è pure la romanza di Fritz;
ma il susseguente duetto; è veramente deplorevole per vacuità e l'atto ha il
torto di terminare nel modo più scialbo, si che ogni effetto è tolto e l'eccitamento
del pubblico completamente svanito. Tale l'effetto che ha prodotto in me l'Amico
Fritz. Tale l'effetto che ha prodotto nel pubblico parmigiano, il quale,
iersera, ha confermato il giudizio di mercoledì scorso ed ha condannato irremissibilmente
quell'opera. E per spiegare in altro modo la severità del pubblico non si possono
addurre scuse o pretesti. L'esecuzione fu buona; anzi in alcune parti eccellente.
Tutti gli artisti posero un impegno particolare nell'eseguire la loro parte,
tutti ebbero segni non dubbi di aggradimento. Fu applauditissimo il tenore Moretti
che ha eseguito in modo insuperabile la romanza del terz'atto, che dovette bissare;
fu applaudita la Corsi, il valore della quale venne giustamente apprezzato nella
Carmen; ma che nell'Amico Fritz appare un po' fredda, mentre la
sua voce, che non è molto voluminosa rimane spesso soffocata dal frastuono dell'orchestra,
a soverchiare il quale occorrerebbe la gola di un cannone; eccellente acquisto
è stato quel baritono Pignalosa, che ha rappresentato in modo lodevolissimo
il personaggio del Rabbino ed ha fatto sfoggio di una bella e robustissima
voce; degna pure di molta lode la Sambo nella parte appiccicata di zingaro;
buone le seconde parti; meritevole di plauso l'orchestra per la precisione e
slancio, sì che per merito principalmente suo si è potuto iersera ottenere -
dopo alquanto contrasto - la replica del preludio del terz'atto. Né credo si
sia trascurato di creare in teatro un ambiente favorevole, per quanto artificiale.
Ma sta scritto su la porta del nostro massimo teatro: tessera perforata non
prevalebunt. I miei concittadini comprenderanno facilmente questo latinetto
che non è oraziano. Ma ogni mezzo, ogni mezzuccio, per galvanizzare un successo,
è riuscito vano. Il loggione stesso, il terribile loggione è stato il più severo
nel giudicare; ed il più inflessibile nell'impedire che dei critici, o dei reporters
compiacenti potessero avere il minimo pretesto per spacciare e definire
quello di Parma un successo contrastato. No, non vi fu contrasto. L'Amico
Fritz è caduto per consenso generale del pubblico, il quale, indubbiamente
desiderava l'opposto. E questa caduta ritengo sia un bene pel m. Mascagni, il
quale perduto, smarrito nel turbine di lodi smaccate e di apoteosi grottesche,
non avrebbe avuto modo di rientrare nella sua coscienza d'artista e di scandagliare
ponderamente la propria via prima d'inoltrarvi il piede. Il Mascagni è giovine
ed ha già dato prova d'indiscutibile talento. Egli ha dunque modo e tempo di
prendersi una solenne rivincita. Se la prenda, ed il pubblico parmigiano sarà
felice di applaudirlo.
"Gazzetta di Parma" del 25 gennaio 1892
LA "FAVORITA" AL REGIO
La Favorita ha richiamato iersera, a teatro, un pubblico elegante ed
affollato. I palchi, specialmente, erano una bellezza. L'esito dell'opera fu,
in parte buono, in parte ottimo. I trionfatori furono la signora Novelli ed
il tenore Moretti. È impossibile descrivere le feste entusiastiche fatte a questi
due bravissimi artisti. Ci furono, quasi ad ogni momento, applausi fragorosissimi,
numerose evocazioni al proscenio, richieste di bis. L'ultimo atto specialmente
- in cui si è riammirata una vecchia tela del Magnani - ha fanatizzato. Moretti
ha dovuto ripetere la divina romanza, che egli canta molto lodevolmente; poi,
dopo il duetto, applausi e chiamate senza fine. C'era molta prevenzione contro
il baritono Modesti. La parte di Alfonso è certamente una delle più difficili
che si conoscono. Tutti la cantano; ma pochissimi sanno condirla con quel misto
di patetico e d'ironia che pur sono indispensabili perché la parte risalti.
Ho sentito cantare nella Favorita la Galletti e Gayarre - signori, levatevi
pure il cappello a que' due nomi - ma di baritoni che rappresentassero bene
l'Alfonso XI, non ho sentito che Giraldoni. Sfortunatamente sono arrivato un
po' in ritardo: egli era completamente sfiatato! In ogni modo, il Modesti se
l'è cavata, in definitiva, meglio che non sperassi da lui. A buoni conti, ha
una magnifica voce, e, poi, se iersera, in un punto della sua aria: "a
tanto amor," non avesse voluto strafare, con una volatina di pessimo gusto,
non ci sarebbe stato proprio male. Ad ogni modo, fu anch'egli applaudito. Il
basso, per verità, è alquanto deficente, ma, in fin de' conti, non guasta. Buona
Ines fu la Bampo. Lodevolissimi i cori nell'ultimo atto. Lo dico con
piacere, dacché non poche volte mi è accaduto di dire... il contrario. Commendevole
per precisione l'orchestra. Taluni tempi mi sono sembrati un tantino affrettati.
Io so, che è una questione di lana caprina, dacché, in fatto d'interpretazione,
il direttore è despota. Ma, trattandosi di spartiti classici, mi pare che la
tradizione dovrebbe far legge. Tutto sommato, questa riproduzione della Favorita
è degna di lode. Il pubblico ha applaudito ed ha fatto bene e motivo d'applaudire
maggiormente l'avrà in seguito quando dall'esecuzione saranno sparite quelle
piccole incertezze inevitabili con una andata in scena tanto affrettata. Nell'uscita
dal teatro, tutti esclamavano: che musica! Sì, che musica! E purtroppo non se
ne fa più la giornata. Venti spartiti moderni - specialmente dei più ben fatti
- non pagano l'ultimo atto della Favorita.
Z.