Sulle opere

I cartelloni delle stagioni delle opere liriche al Teatro Reinach non presentano novità particolari, ma sono comunque lo specchio dell'evoluzione del gusto dei parmigiani. Se nei primi anni di funzionamento si rileva una notevole varietà nelle esecuzioni, che alternavano ai grandi nomi di Rossini, Bellini, Donizetti e Verdi quelli di diversi compositori al tempo famosi e accolti con entusiasmo da un pubblico attento e che conosceva minutamente anche i particolari di quelle opere oggi dimenticate, con il passar del tempo si assiste a una progressiva sclerotizzazione dei programmi. Mentre i teatri maggiori si aprirono (forse anche troppo) alle opere straniere e a quelle assai modeste dei nuovi autori italiani, il Reinach, maggiormente radicato ai gusti di un pubblico popolare, e pertanto più conservatore e meno incline alla fatuità e variabilità della moda, non seguì questa strada. Al più si puo rilevare che l'avvento dei musicisti della "giovane scuola", se da una parte fece diminuire la presenza delle opere dei grandi maestri italiani, dall'altra fece scomparire gli altri autori, "minori" specie di opere buffe che fino allora avevano trovato una cordiale ospitalità, ma che l'irruzione trionfale dell'operetta aveva già in larga parte allontanato dalle scene.
Il teatro Reinach, che non godeva di alcuna sovvenzione pubblica - il gestore, anzi, doveva pagare un affitto all'opera pia proprietaria dell'immobile - rientrava nella categoria di quei politeama, locali popolari, dove ci si poteva divertire con poca spesa, in contrapposizione al Teatro Regio, che godeva di una dote comunale e di un contributo fisso dei palchettisti, e che era frequentato, specie nei palchi, da un pubblico abbiente o, quanto meno, di funzionari e alti ufficiali.
Sui più di novanta titoli delle opere eseguite, il primato assoluto fu appannaggio del Barbiere di Siviglia (ben 27 allestimenti diversi), mentre i maggiori ritorni salutarono Rigoletto (13 stagioni), La traviata e Lucia di Lammermoor (12), Pagliacci (11), Cavalleria rusticana (10), Don Pasquale (9), Il trovatore (8), Carmen e La sonnambula (6), L' elisir d 'amore, Un ballo in maschera e Tosca (5) e via decrescendo. Tra le opere che comparvero soltanto una volta, malgrado il grande successo conseguito nelle cinque recite, vogliamo ricordare una prima assoluta: quella dell'Antony di Riccardo Casalaina, apparsa sulle scene il 14 aprile 1912, dopo che il giovane e promettente autore era deceduto nel terremoto di Messina. Come l'opera fosse approdata alle scene di questo teatro, non siamo riusciti ancora a scoprirlo: è altresì da ricordare che al brillante esito contribuì un debuttante: Tito Schipa.
Per quel che riguarda gli esecutori comparsi sul palcoscenico, si riscontra la presenza di interpreti al tramonto di prestigiose carriere e, anche se furono una conferma a quanto aveva detto Liszt, che la carriera di un virtuoso è appannaggio solo della gioventù, gli spettatori altre volte intransigenti e impietosi seppero comprendere e resero omaggio ... alla memoria. Dal versante opposto, come tutti i politeama italiani, fu una preziosa fucina per il debutto di giovani voci e, nei settant'anni di esistenza, ci si imbatte in nomi che avrebbero lasciato una traccia nel campo dell'esecuzione: sia italiani che stranieri e, tra questi, notevole la presenza degli spagnoli, quasi tutti studenti nella vicina Milano. Come si può leggere nella parte cronologica, dal commento riportato dopo ogni spettacolo lirico che si rifà esclusivamente alle cronache dei giornali del tempo, risulta che, in fatto di esigenza per le voci, gli spettatori del Reinach non erano meno competenti e meno esigenti di quelli del Regio. Innumeri le cronache di serate tempestose, sia per i crucefigge che per gli osanna: e il termine "panico", nell'indicare le prestazioni dei giovani artisti alle prime delle rappresentazioni, risulta pressocché una costante, ammorbidita dalla giustificazione che le scarse disponibilità consentivano un numero assai limitato di prove. Spesso, così, le prime avevano quasi la funzione di prova generale in costume e, per vedere lo spettacolo a punto, bisognava avere la pazienza di attendere la seconda, meglio la terza.
Il pubblico, in specie quello dei "piani alti", oltre a stupirci per la competenza e conoscenza dettagliata degli spartiti, si può dire che, nella sua natura, presentava un misto di generosità e insofferenza: se l'artista si dava con tutta l'anima, con baldanza, entusiasmo, il "rispettabile" poteva anche sorvolare su qualche menda, ma guai a chi tentava di fare il furbo. Alcuni esempi di quanto avvenne ci danno la temperatura segnata da quel termometro, quasi sempre infallibile sui meriti, che era l'umore di questo pubblico. Così, nel 1886, "Tombola! ma che tombola co' fiocchi, come quando la si estrae in piazza il giovedì grasso. Povera Linda, così bella, così soave, così fresca, ad onta dei molti anni! Essa non meritava davvero d'essere trattata, anzi, bistrattata a quel modo. Un vero sacrilegio": così iniziava la cronaca della Gazzetta di Parma. Il primo atto era passato con un alternarsi di applausi al baritono e al soprano e di fischi, urla, colpi di tosse, e "risate da stroncare un rinoceronte" agli altri artisti. Al secondo, invece, il barometro aveva segnato burrasca: siccome durante il primo atto il tenore era stato "conciato pel dì delle feste", si era pensato di evitare rischi maggiori omettendo la sua aria. "Dio! Il pubblico se ne avvide e stimando d'essere defraudato nei suoi diritti, cominciò a fare un baccano indiavolato e a gridare: " Fuori il tenore, vogliamo sentir l'aria!" Non potendo il soprano proseguire nella sua parte, calò la tela. Dopo un po' uscì l'avvisatore per dire che il tenore era indisposto: la bufera riesplose con raddoppiata intensità e volarono sul palcoscenico oggetti d'ogni genere: addirittura due michette di pane. Venne calato il sipario definitivamente, e l'opera cancellata dal cartellone.
Un Fra Diavolo del 1887 porta un'ulteriore testimonianza della competenza e del sano rigore del pubblico. All'ingresso, un foglio avvisava che per una indisposizione il tenore avrebbe omesso la romanza del terzo atto. "L'alto locato pubblico del loggione" non volle saperne di questo taglio, e per cinque minuti ci fu un baccano indiavolato. Benché indisposto, il tenore cantò l'aria reclamata, e il teatro venne giù per gli applausi. Tre anni dopo, ancora Fra Diavolo e la stessa romanza del terzo atto furono causa di un episodio incredibile per il nostro metro di giudizio. La prima stava conseguendo grande successo, con un pubblico che si divertiva e dimostrava di gradire lo spettacolo. Il terzo atto fu però investito dalla bufera, in quanto il loggione fischiò e rumoreggiò quando il tenore omise la sua aria. Interrotta la rappresentazione, l'avvisatore uscì due volte, ma non poté parlare, in quanto subissato dalle urla. Venne fuori allora il tenore che disse: "Questa romanza io non l'ho mai cantata: la studierò e li servirò". Da quel momento tutto andò benissimo e la seconda e terza recita videro un ulteriore miglioramento. Nella locandina dello spettacolo seguente comparve finalmente la segnalazione: "Questa sera il Tenore canterà la Romanza nel terzo atto dell'Opera suddetta", presentandola così in quell'integrità per la quale "il pubblico sovrano aveva passato i limiti della convenienza", così la Gazzetta, sempre critica verso queste esternazioni popolari.
Molto si è favoleggiato sul pubblico dei loggioni di Parma: ma la realtà, a volte, superò la leggenda. Avvenne che nel secondo atto di un'opera qualcuno del loggione si accorse che il basso aveva omesso sedici battute di importanza insignificante, ma tanto bastò a scatenare fischi e urla. Il pubblico dei palchi reagì applaudendo, ma i fischiatori ebbero il sopravvento, e si dovette calare il sipario. L'avvisatore non pote nemmeno parlare, in quanto bombardato da proiettili d'ogni natura. A un tratto, un ragazzo con una bella voce da tenore si mise in loggione a cantare un'aria dei Due Foscari. Venne accolto con applausi e richieste di bis. Uscì ancora l'avvisatore, annunciando che chi voleva, poteva farsi rimborsare il biglietto. Il teatro si liberò di alcuni scontenti, e la rappresentazione giunse in porto "senza sconci, urla e scandali".
Ma, oltre a essere il Moloch dei cantanti, si verificarono casi che, oltre al lato umano, presentarono anche un risvolto commovente, fenomeno che soltanto una incommensurabile passione, unita a slanci disinteressati, può spiegare. Interi allestimenti di opere ad alto livello, furono il frutto di sottoscrizioni aperte da comitati sorti appositamente per fare debuttare nel canto qualche giovane concittadino, che già per anni era stato mantenuto tenacemente, generosamente, fiduciosamente, da estimatori e amici. Tra coloro che sostennero durante gli anni di studio questi beneficiati vi furono semplici operai, piccoli artigiani, modesti negozianti che, con innegabile sacrificio, restarono fedeli all'impegno, al fine di vedere sorgere tra di loro, con le sole loro forze, un artista degno di calcare le scene e di riscuotere il meritato plauso della folla. E Virginio Assandri fu uno di questi.
I comprimari erano quasi sempre cantanti locali, come pure il coro e l'orchestra, dei quali la città era fucina: nei primi anni le scene furono di produzione locale, e il nome di Gerolamo Magnani una costante nei manifesti e nelle cronache per il plauso tributatogli. Verso la fine del secolo, invece, si constata che Parma aveva disperso anche questo patrimonio di conoscenza sulla gestione degli spettacoli teatrali, e le scene, come i costumi, invece che di produzione locale, divennero merce di importazione a nolo.
Non possiamo dimenticare tra le opere ospitate quei particolari allestimenti sempre bene accolti dal pubblico e dalla critica del Teatro dei Piccoli di Vittorio Podrecca che, per merito delle sue marionette perfezionate nelle soluzioni tecniche e raffinate negli esiti espressivi, si distanziavano nettamente dai tentativi di imitazione. Meritano l'inclusione in questa sede in quanto erano valorizzate da una vera orchestra e da un cast completo di cantanti professionisti.
Il Politeama Reinach, in conclusione, fu uno di quei preziosi teatri di seconda schiera che, se fu una palestra per giovani debuttanti che, dopo la dura selezione potevano arrivare alle grandi scene già rodati, fornì nel contempo a prezzi accessibili la possibilità a tutti o quasi di potersi avvicinare a quello che a Parma era il più amato degli spettacoli. Sull'attesa di uno spettacolo, così ebbe a scrivere Alceo Toni nell'articolo Parma severa, ricalcando assai dappresso quanto (un secolo prima) aveva narrato Liszt per una serata alla Scala:
"Una serata d'opera musicale a Parma è uno spettacolo che non si circoscrive al solo palcoscenico. Già comincia molto prima che s'alzi il sipario sul dramma della rappresentazione. Una folla numerosa e varia si accalca davanti agli ingressi del loggione e della platea. Nella ressa ci sono anche donne e fanciulli: donne, per lo più, di una certa età, del popolo o dell'artigianato, caratteristiche nella loro ineleganza casalinga: in abbigliamento magari dimesso, a capo scoperto, i capelli tesi e raccolti nel vecchio mazzocchio, ché la civetteria delle acconciature moderne, alla garconne, non ha fatto, qui, la strage fatale di belle o brutte chiome compiuta altrove. Tra richiami e grida gioiose si intrecciano conversazioni, si discute animatamente. Motivi dominanti: teatri, opere, artisti: celebrate quelle, famosi questi, o gli uni o le altre memorabili soltanto per fasti ingloriosi. Si ricordano i portenti delle ugole liriche più favoleggiate: si citano frasi musicali dal potere elettrizzante, si trinciano giudizi qualche volta spropositati, qualche volta sorprendenti di giusta intuizione, magari comparando questa e quella partitura: si parla del libretto dell'opera che è per essere rappresentata e dell'azione che in essa si svolge, come di casi umani avvenuti, veri, reali, appassionatamente, quasi che l'imminente alzata del sipario abbia da aprirsi sulla sala di una corte d'Assise, per un processo che tenga gli animi sospesi in un abisso passionale. Il vecchio spirito melodrammatico eccita veramente le fantasie. Spira un'aria, si direbbe, incantata: l'aria di un tempo lontano, un soffio di vita del nostro Ottocento teatrale".
Quest'atmosfera favoleggiata sul Corriere emiliano del 14 febbraio 1932 era alla fine: il cinema, spalleggiato dalla radio, (e presto arrivò la passione per le partite di calcio) avevano inferto un colpo durissimo a ogni altro genere di spettacolo, al punto che nell'ultimo decennio di esistenza, ben rari furono gli spettacoli d'opera: quelli che, una volta, avevano acceso la passione del popolo di Parma.