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Parma. L''opera lirica in età borbonica


Pur in quegli anni travagliati che precedettero l’inizio del regno borbonico, il teatro lirico non ebbe soste, in quanto il piacere per il melodramma, anche per la bontà dei virtuosi che calcavano le scene del Teatro Ducale, era ormai consolidato,
Il 15 apr. 1749 Giuseppe Alay fu nominato «Custode delli tre Teatri Ducali di Parma» (il Farnese, il Ducale e il S. Caterina nel Collegio dei Nobili), sostituito il 29 ago. 1752 dal conte Ferdinando Scotti. Nel 1753 il Dutillot divenne direttore generale dei Reali Teatri di Parma e Piacenza, dando inizio alla sua ‘riforma’, instaurare cioè nel teatro «quell’ordine, regola e quiete» che si addicevano al decoro e al rispetto dovuti a un teatro di corte inteso come parte indivisibile dei reali palazzi. Questa riorganizzazione del sistema teatrale ineriva a livello amministrativo per ottenere sia il risanamento economico della gestione, sia il prestigio culturale cui mirava la politica del Dutillot. Assieme al letterato Carlo Innocenzo Frugoni, nominato nel 1754 revisore degli spettacoli teatrali, il ministro mise a punto quanto Francesco Algarotti aveva teorizzato nel saggio Sopra l’opera in musica: un direttore che si sostituisse all’impresario, avocando a sé l’impresa dei teatri, con l’occuparsi della scelta delle compagnie, dei contratti, delle paghe, delle scene, dei costumi, ecc. Vennero così nominati i cavalieri direttori dei Teatri - costituendo nel 1761 la Società dei Cavalieri - con compiti di sorveglianza per tutelare gli interessi dello stato, mentre l’Intendenza Generale diventò il gestore della produzione degli spettacoli. Tra i cavalieri direttori troviamo i nomi dei nobili più influenti nel Ducato: i Sanvitale, gli Scotti, i Cusani, i Paveri-Fontana, con mansioni particolari per ognuno: musica, scene, costumi, cantanti, ballerini, economato, controllo di sala e degli ingressi, bilancio, e via dicendo.
La permanenza a Parma di alcuni compositori caratterizzò gli spettacoli. Egidio Romualdo Duni vi risiedette dal 1748 al 1756 come docente di musica di una delle principesse e collaborò con il tentativo di riforma del Dutillot che, dopo aver favorito i libretti del Metastasio, caldeggiava un avvicinamento ai temi dell’opéra-comique francese, per tentare una nuova opera italiana. Nel 1755 Duni compose l’Olimpiade, mentre l’anno dopo fu invitato a Parma il Goldoni, che vi scrisse i libretti per La buona figliola (musicata dal Duni prima, da altri poi), Il festino (da Antonio Ferradini), e I viaggiatori ridicoli (dal Mazzoni). La compagnia Delisle, giunta nel 1755 dette tra gli altri spettacoli prove di opéra-ballets in lingua francese. Nel 1759, nel fervore delle ambiziose iniziative, oltre alla riforma amministrativa, maturò la velleità di una riforma del teatro in musica su impulso del Frugoni e del Traetta. Fu tentato l’innesto dell’opéra-ballet francese sullo spettacolo napoletano, progetto già ventilato nello stesso ambiente di corte da Giuseppe Aprile e Romualdo Duni. Come scriveva il 23 gen. 1759, Frugoni mirava a «un’altra impresa, che forse metterà la rivoluzione nel musicale spettacolo in Italia». Il tentativo fu effettuato il 6 mag. 1759 su di un libretto scelto dallo stesso Dutillot: Hippolyte et Aricie dell’abate Simon-Jacques Pellegrin, adattato dal Frugoni e musicato dal Traetta, maestro di cappella a corte dal 1758 al 1765. «La musica è divina, e divinamente canta e rappresenta la Caterina Gabrielli». L’Algarotti, che abitava a Bologna, venne appositamente per assistere alla rappresentazione e il 14 nov. ne scriveva al Voltaire: «Il miglior spettacolo che abbiamo avuto da tempo in Italia ce lo ha dato un principe francese la scorsa primavera a Parma. Mi piacque senza fine il vedere che le mie idee sopra l’opera in musica non furono aeree, e che la mia voce non fu vox clamantis in deserto». Il successo fu ripetuto l’anno dopo con I Tindaridi (Frugoni, Traetta, la Gabrielli). Il duo Frugoni-Traetta allestì anche nel 1760 per le nozze dell’infanta Isabella Le feste di Imeneo. Per l’occasione arrivò da Lione il macchinista Jean-Antoine Morand, che lavorò al Teatro Ducale con lo scenografo Francesco Grassi. Dopo questi grandiosi spettacoli di circostanza, si ritornò alle opere basate sui drammi del Metastasio e sulle commedie del Goldoni che si dividevano rispettivamente il carnevale e la stagione di primavera, mentre in estate e in autunno il teatro era attivo presso la reggia di Colorno. L’ultimo sussulto di questo tentativo di riforma si ebbe nel 1765 quando Traetta presentò nuovamente a Parma Ippolito e Aricia per il matrimonio della figlia di Don Ferdinando, l’infanta Luisa Maria, con il principe d’Austria. Fu tale il successo che il re di Spagna volle esprimere la propria soddisfazione con il Traetta, assegnandogli una pensione vitalizia. Preso atto del fallimento di questo tentativo di imporre una nuova via anche alla musica, profittando della morte di Don Filippo, il Dutillot nel 1766 volle procedere a un globale rinnovamento dell’organico dei musicisti di corte, e con un decreto del 30 mar. con decorrenza I apr, licenziò gran parte di costoro, anche se erano da gran tempo al servizio della corte. Con un successivo decreto del 6 apr, che aveva decorrenza retroattiva dal I apr, anche il Traetta si trovò sollevato dall’incarico (A.S.Pr, Computisteria borbonica, b. 1337).
Sempre per le esigenze di rinnovare gli spettacoli, dopo l’istituzione di una scuola di scenografia presso l’Accademia di Belle Arti, nel 1757 era stata la volta di una Regia Scuola di Ballo sotto la direzione di Jean-Philippe Delisle, mentre nel 1768 era stata fondata anche una Regia Scuola per Cantanti affidata a Francesco Poncini.
Nel 1774 Luigi Bernardo Salvoni fu incaricato da Don Ferdinando di formare una compagnia italiana per riprendere gli spettacoli come il Delisle. La compagnia era stipendiata dalla corte e avrebbe dovuto funzionare dalla pasqua 1774 a quella 1777. «L’Accademica Unione Teatrale al servizio di SAR» non piacque fu liquidata. Il Salvoni comunque ricevette l’incarico di direttore delle Regie Lettere.
Per l’opera in questo periodo, per concludere, si può affermare che l’alta qualità dei musicisti e degli interpreti presenti a Parma è confermato da quanto scrisse Burney nel suo viaggio in Italia: cantante di corte era Lucrezia Agujari, la mitica Bastardella; era stato assunto Alessandro Rolla (nel 1782 come I viola, poi dal 1797 I violino e dal 1801 direttore del Reale Concerto); nel 1792 Paër era stato chiamato come maestro di cappella a corte e nel 1797 direttore dei servizi musicali, per non dimenticare Giuseppe Colla, Francesco Fortunati e Gaspare Ghiretti, il maestro di composizione di Nicolò Paganini.
ultimo aggiornamento: 07/07/2014
©2011 Gaspare Nello Vetro autore del Dizionario della musica e dei musicisti del Ducato di Parma e Piacenza