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Parma


Per tutto il medioevo e fino al termine del XV sec. è quasi inesistente la testimonianza di fonti storiche sulle istituzioni musicali cittadine. Si sa che il 13 mar. 962 l'Ateneo parmense aveva avuto origine da un diploma dell'imperatore Ottone I a favore di Uberto, vescovo di Parma, e che lo studio della musica veniva compreso tra quello delle arti liberali e inserito negli Studi Generali: "Le quattro scienze matematiche sono: l'aritmetica, la musica, la geometria e l'astronomia. [...] La seconda è la musica, che ci insegna a fare voci e canti, e suoni con citoles e organi, e con altri strumenti accordabili gli uni con gli altri per la delizia della gente o, in chiesa, per il servizio di Nostro Signore". Così scrisse nel Tesoro (libro I, parte I, III, Come la natura di tutte le cose è divisa in quattro maniere secondo teoria) Brunetto Latini, il contemporaneo che Dante relegò all'Inferno. Mentre nelle sculture antelamiche del battistero sono rappresentati diversi strumenti musicali, il francescano fra Salimbene de Adam (Pr, 9 ott. 1221 - dopo il 1288) nella Cronica, dove narrò in latino gli avvenimenti tra il 1167 e il 1287, a riprova dello scarso rilievo che aveva nella vita sociale, parla raramente della musica: risulta comunque la netta distinzione tra quella del popolo e delle classi abbienti, per le quali non rappresentava nulla più che una specie d'ornamento. Il canto faceva parte delle manifestazioni popolari di giubilo e il cronista racconta che nel 1233 si celebrò in piazza il raggiungimento della pace con canti, gran coro di voci, suono di strumenti. Tra queste musiche furono eseguite laudi in volgare, intonate in forma responsoriale e una preghiera mariana elaborata in forma di tropo da certo fra Benedetto, chiamato 'Cornetta' dallo strumento con cui si accompagnava (sequenze 337-340). I musici e i ballerini erano bene accolti in città e una conferma si trova nelle sequenze 2856-57, in cui fra Salimbene lamenta "l'insensibilità che essi [i parmigiani] mostrano di avere e che hanno verso i servi di Dio. Non si curano infatti di beneficarli [mentre] largheggiano generosamente coi mimi, con i giullari, gli istrioni". Accenna anche al fatto che una sorella del padre "ebbe due figlie, Grisolpola e Vilana, espertissime nel canto", che al loro padre "piaceva il vino ed era espertissimo a cantare accompagnandosi con gli strumenti musicali, senza scendere al livello del giullare" (sequenza 278). In quei tempi si imposero le brillanti individualità di Giorgio Anselmi e Nicola Burzio. Solo con la nascita del Ducato farnesiano si può cominciare a parlare di istituzioni musicali cittadine.
©2011 Gaspare Nello Vetro autore del Dizionario della musica e dei musicisti del Ducato di Parma e Piacenza