"Gazzetta di Parma" del 10 dicembre 1894

Lo spettacolo del Regio per il prossimo carnevale sembra adunque siasi assicurato. Il contratto regolare però non venne ancora firmato. Si attende in giornata una risposta in proposito. L'impresa verrebbe assunta dai signori Sonnino e C. di Milano, impresari che già ebbero e tennero con onore gli altri teatri principali di Genova, Mantova, Rovigo ecc. Si rappresenterebbero al nostro Regio le opere: l'Otello di Verdi, Manon di Puccini ed altre due di repertorio da destinarsi in seguito. Sappiamo pure che della compagnia di canto farebbero certamente parte il tenore Galli che ora furoreggia a Genova appunto nell'Otello, la Del Frate per l'opera Manon che ella canta attualmente con molto successo pure a Genova, la Giudici un mezzo soprano di valore universalmente conosciuto, oltre ad altri cantanti ben noti in arte. Direttore d'orchestra sarà probabilmente o il Conti o il Pomè, o il Cimini. Queste le notizie che possiamo dare oggi. Ci auguriamo e speriamo di poter stampare domani che tutto venne definitivamente combinato e concluso.


"Gazzetta di Parma" del 11 dicembre 1894

Con un telegramma da Milano l'impresario Sonnino annunciava ieri alla commissione teatrale per lo spettacolo del Regio di accettare il contratto e di assumere l'impresa del nostro massimo alle condizioni verbalmente stabilite. Il Regio dunque si aprirà la sera di Natale coll'opera Otello.


"Gazzetta di Parma" del 15 dicembre 1894

PER IL TEATRO REGIO
Come avevamo annunciato giorni sono, lo spettacolo del Regio per il prossimo carnevale è dunque stabilito. L'impresario Sonnino è sulla piazza. Le prove corali sono già incominciate. Oggi giungeranno tutti gli artisti e... la barca di Otello entrerà in porto - speriamo felicemente - la sera di santo Stefano. Le opere che si daranno nel corso della stagione sono l'Otello di Verdi, la Manon Lescaut di Puccini ed altre due di repertorio che saranno forse Il Trovatore e La Favorita. Avremo due compagnie di canto, di cui daremo l'elenco completo quando pubblicheremo l'intero cartellone. Possiamo intanto dire che l'Otello sarà eseguito dai seguenti artisti; Eugenio Galli (Otello), Guglielmo Caruson (Jago) Avelina Cruz (Desdemona), Broglio Luigi (Lodovico), Benvenuta Polacco-Drog (Emilia), Francalancia E. (Montano), Grossi Eugenio (Cassio). Direttore d'orchestra sarà il nostro concittadino m. Arnaldo Conti. Maestro dei cori: Eraclio Gerbella. Il complesso degli artisti - ci si assicura - sia veramente ottimo. La ripresa dell'Otello - da tutti attesa e desiderata - avrà quindi un'esecuzione degna del lavoro.


"Gazzetta di Parma" del 22 dicembre 1894

Le prove dell'Otello - continuate in questi giorni con cura e con alacrità - sono ormai a buon punto. Si spera quindi di potere andare in scena la sera di Natale. Un giornale teatrale cittadino parlando intanto della prossima apertura del Regio scrive: "Ricordiamo con piacere quando l'opera di Verdi venne rappresentata, per la prima volta, nel 1887, e speriamo che il confronto, inevitabile, in questa riproduzione dell'Otello, offertaci dal signor Sonnino, regga in tutta l'estensione della parola."
Ci perdoni l'egregio confratello, ma non ci sembra ben fatto di voler parlare sin d'ora di confronti quando non vi sono assolutamente i termini per farlo. Quando si rappresentò l'Otello al Regio nell'87 eravamo prima di tutto in autunno - una stagione cioè in cui gli artisti costano molto meno, - il Municipio aveva stanziata una dote di 50 mila lire, per dieci o dodici rappresentazioni dell'opera verdiana, i palchettisti pagavano canone doppio, e il prezzo serale d'ingresso in teatro era di cinque lire. Oggi vi è una dote, paragonata a quella, ben meschina, i palchettisti non pagano che il quarto del canone doppio, e l'ingresso in teatro non costa che due lire. Come si può dunque con questi dati - istituire dei confronti? Noi perciò amiamo credere che il pubblico nostro si recherà martedì sera al Regio, colla convinzione di sentire uno spettacolo buono, ma non colla preoccupazione di dover fare confronti ed in base a questi solamente dare il proprio giudizio e lasciarsi trascinare all'applauso. Se quest'anno è stata possibile l'apertura del Regio si deve solo - si può dire - all'iniziativa cittadina, ed al buon volere ed alla costanza della nuova commissione teatrale. Non lo dimentichino i parmigiani e non portino perciò questa volta in teatro esigenze e pretese fuori di tempo e di misura.


"Gazzetta di Parma" del 23 dicembre 1894

Dal signor Enrico Grazioli, direttore del giornale teatrale Otello riceviamo la lettera seguente che per dovere di imparzialità noi pubblichiamo. Non facciamo commenti però non sembrandocene del caso.
Egregio Collega
Duolmi chiedervi l'ospitalità per queste due righe, ma vi sono costretto dal fatto che il mio giornale non esce che dopo la prima rappresentazione dell'Otello. Il confronto, lo ripeto, è inevitabile ed il nostro pubblico, ne sono certo, senza preoccuparsi di tutto quanto mi avete fatto sapere nel vostro articolo, lo farà, come sono convinto che se il signor Sonnino ci ripresenta l'opera di Verdi, lo fa appunto colla certezza che il confronto, da voi tanto temuto, gli sarà relativamente favorevole. Ch'io poi sia ostile allo spettacolo del Regio, come mi disse un egregio signor cavaliere, facente parte della commissione teatrale, e come voi lo avete fatto sapere, è assolutamente falso. Chi ama l'arte, ne esige il prestigio e se questo ci è negato, dove la fama e la gloria ci rese tradizionali possiamo pretenderla ora dalle marionette! Meglio di chi sdolcina troppi elogi, saprò debolmente ma imparzialmente, rendere edotti i miei lettori dell'esito dello spettacolo. Per non approvare quanto fece la commissione teatrale, bisognerebbe essere cretini, ma si può però sempre dire che, colla somma raccolta e colle condizioni imposte dalla nostra Giunta municipale, lo spettacolo non potrà, se non in via eccezionale, annoverarsi fra i migliori del Regio. Vi ringrazio dell'ospitalità e vi saluto.
Parma, 22,12,94
ENRICO GRAZIOLI
Direttore dell'Otello.


"Gazzetta di Parma" del 26 dicembre 1894

L' "OTELLO" AL REGIO
Il teatro era pienissimo, specialmente nella platea. Vari palchi vuoti causa recentissimi lutti. Le prevenzioni del pubblico in maggioranza diffidenti ed ostili. Con tutto questo lo spettacolo ebbe fortuna e l'accoglienza dell'opera ed agli artisti fu delle più liete e calorose. Non vi fu entusiasmo, ma l'Otello di Verdi non è certamente l'opera che possa suscitarlo sulla massa generale del pubblico. Ad ogni fin d'atto tutti gli artisti furono chiamati al proscenio e dopo il finale terzo, anche il valente maestro direttore d'orchestra Arnaldo Conti dovette presentarsi alla ribalta a salutare e ringraziare. È stato dunque un successo vero, legittimo e soprattutto meritato. Anche gl'incontentabili ed ostili - e ve n'eran parecchi ieri sera in teatro - dovranno convenire con noi che dati i mezzi meschini di cui si dispone, l'impresa Sonnino non poteva allestire spettacolo migliore, nè più decoroso pel nostro Regio. Lo ha compreso il pubblico che ha applaudito - come dicemmo - con convinzione ad ogni fin d'atto e dopo i pezzi principali tutti gli artisti la cui non comune valentia dà resistenza e vigore a questa riproduzione di Otello. Il Galli è un tenore che ha voce di eccezionale potenza. Forse talora è un po' aspra, ma è sempre facile e sicura. L'interpretazione del personaggio fu pure assai accurata e lodevole e l'irruenza brutale e selvaggia del moro di Venezia fu da lui ritratta con artistica verità. Il Caruson nella parte di Jago si è rivelato artista intelligente, colto, fine. Perfetto e corretto nella scena cantò con arte e con maestria somma, doti che ieri sera rifulsero ed ebbero pieno successo specie nel sogno di Cassio. La signora Cruz fu una Desdemona dalla voce delicata, soave, gradevole. Impeccabile nell'intonazione si appalesò artista sicura ed efficace. Il Broglio nella breve sua parte mostrò imponenza e buona voce. Anche il Grossi, il Francalancia, il Barbieri contribuirono all'esito felice dello spettacolo. La signora Polacco-Drog (Emilia) ieri sera dominata dal panico - non diede alla sua ingrata parte tutto il rilievo desiderabile. Siamo certi però che saprà farlo nelle rappresentazioni venture. L'orchestra suonò con anima, con forza, con colorito. Peccato non sia un po' più numerosa specialmente negli archi. Il maestro Conti direttore infaticabile e valorosissimo ha fatto un vero Tours de force ha concertato in pochissimo tempo uno spettacolo pieno di responsabilità. - Anche i cori furono abbastanza sicuri, se non abbastanza numerosi. Il maestro Gerbella ha ottenuto dai suoi allievi quant'era possibile ricavare. Discreta la messa in scena, decorosi i costumi. In conclusione adunque l'apertura del nostro massimo è riuscita ieri sera mondanamente ed artisticamente felicissima. Ringraziamone gli dei, la commissione teatrale e l'impresa Sonnino, ed auguriamo a quest'ultima che il favore del pubblico non le venga mai meno e che questa stagione, iniziata tanto brillantemente, continui così sino alla fine. Stasera seconda dell'Otello. In settimana avranno principio le prove della Manon di Puccini opera e maestro nuovi per Parma.


"Gazzetta di Parma" del 27 dicembre 1894

LA SECONDA DELL'"OTELLO"
Teatro affollatissimo anche ieri sera. Molti palchi occupati e tutti più popolati che martedì. Alla seconda rappresentazione l'Otello ebbe una esecuzione di gran lunga più precisa, più soddisfacente che non l'abbia avuta la sera antecedente, ed il successo fu pieno completo, clamoroso. Tutta l'opera fu gustata ammirata con un crescendo di interesse e di commozione che ebbe il suo sfogo alla fine di ogni atto coronato da intense e generali approvazioni. L'atto quarto che è musicalmente un poema - segnò il punto culminante del successo, anche per l'interpretazione splendida della Cruz e del Galli. La Cruz dopo la canzone del salice, e specialmente allo scoppio dell'addio Emilia! e dopo l'ave Maria - che ella cantò con tanto doloroso sentimento e tanta delicatezza da doverla ripetere - si ebbe applausi ed acclamazioni meritatissime.Il Galli cantò ed agì da artista. Nella sua potente voce - seppe trasfondere nell'ultima scena tanta passione, tanto dolore, tanta commozione da meritare davvero quella salve d'applausi che lo chiamò alla ribalta alla fine dell'opera in unione alla dolce Desdemona. Dopo il grandioso finale terzo dovettero presentarsi al proscenio oltre a tutti gli artisti anche il bravo maestro dei cori Eraclio Gerbella ed il valente direttore d'orchestra Arnaldo Conti che diede prova ieri sera di ferrea memoria dirigendo l'opera senza spartito. E non dimentichiamo neppur oggi di ricordare che il Caruson - nei panni dell'onesto Jago - fu cantante delizioso e artista perfetto. Tutti adunque gareggiarono di zelo - orchestra, cori, cantanti - così che, l'Otello - come l'udimmo ieri sera - è uno spettacolo che onora i suoi interpreti ed il teatro. Sabato terza rappresentazione.


"L'Otello" del 31 dicembre 1894

Eccomi, fedele al mio compito, a dare l'esito della prémiere dell'Otello al nostro Regio. Teatro pieno, eleganti signore della migliore società, alcune notate per la loro bellezza, e molti giovanotti, formavano l'elemento principale. Alle 20 e 10 minuti il maestro Conti segnala, al pubblico, già impaziente, il principio dell'opera. Il primo applauso è per Otello all'Esultate. Altro applauso a Jago nel primo duetto con tenore. Applaudita con insistenza Desdemona nell'Ave Maria della quale si chiese il bis. Alla fine d'ogni atto pure una chiamata alla ribalta di tutti gli artisti. Passò sotto silenzio, Ora e per sempre addio sante memorie; la stupenda frase: sangue, sangue, sangue; il credo; il concertato(*) del 3° atto e la mandolinata, eseguita malamente da 4 mandolini e due chitarre! e così pure l'a solo per contrabassi (solo cinque, due dei quali a 4 corde) eseguito, per rafforzarlo anche dai violoncelli. Ed ora agli artisti. Se metto in prima linea la signorina Cruz Augusta non è già solamente perché essa appartenga al sesso gentile, ma anche perché la credo artista di merito non comune, che possiede è vero, poco volume di voce, ma canta con accento e grazia tanta che la rendano una Desdemona tutt'amore, commovente nella carezza della voce insinuante e straziante nei momenti di dolore. Il baritono Caruson, Jago, è pure artista intelligentissimo, accenta in modo veramente eccezionale, ma dispone di limitati mezzi vocali. Nelle sere successive sarà maggiormente applaudito, perché possiede il segreto del vero canto purtroppo ai dì nostri abbandonato. Il tenore, ex baritono, Galli credo che farà miglior carriera cantando da baritono, perché la sua voce poco s'appresta alle dolcezze tenorili. Possiede però molta voce e col tempo, riescirà un artista corretto e sicuro, come spero che il pubblico distinguerà maggiormente in lui quei pregi che possiede, i quali, talvolta, sfuggono ad una prima rappresentazione. Passo frettolosamente Cassio, Lodovico, Montano, Emilia, i quali fecero del loro meglio, ed arrivo all'orchestra, per dire francamente che in taluni punti ha suonato proprio maluccio! Non so se per deficenza d'archi, per mancanza di prove, di affiatamento col palcoscenico; in una parola, molti intelligenti hanno dichiarato, a malincuore, che non sembrava la nostra orchestra del Regio. La precipitata andata in iscena ne è forse la causa; aspetto quindi una completa rivincita. Messa in iscena non troppo sfarzosa. Tutto sommato però e sebbene siamo, dove siamo, consideriamo il mite prezzo d'ingresso di due sole lirette ed esclamiamo: cosa pretendere di più? Ci duole toccare un tasto che stona ma ci siamo costretti dal fatto che il signor Sonnino dichiarò, e testimoni ne fanno fede, ad alcuni corrispondenti dei principali giornali teatrali d'Italia (diciamo i principali) che era dolente ma non dava l'ingresso che a quelli locali. Siccome noi, e ce ne siamo grati, non abbiamo avuto nemmeno l'invito di assistere ad una prova, teniamo a dichiarare che ugualmente facciamo il nostro dovere, ed infatti, come è dovere d'ogni impresa mandare l'invito ai giornali locali, lo è pei cronisti di annunciare e parlare dello spettacolo. Noi quindi lo abbiamo fatto più che volentieri, specialmente in riguardo agli artisti, i quali vollero il nostro battesimo, serbandone cara memoria, ed è quindi giusto ch'essi non debbano risentirne se capitati con un impresario che non ricorda le regole cavalleresche perché, forse, non le ha mai conosciute.
G.

(*) Difficile pezzo a 12 parti separate.


"Gazzetta di Parma" del 11 gennaio 1895

LA MANON LESCAUT AL REGIO
La grande aspettativa per l'opera del Puccini, chiamò ieri sera al Regio un pubblico scelto e numerosissimo. Tutti occupati i posti distinti; nei palchi brillavano in elegantissime toilettes la maggior parte delle signore della high-life. Notai di sfuggita, fra le tante, in prima fila: la contessa Ferretti Crescini colle contessine Sacchi di Nemours, la contessa Cantelli colla signorina Odero, la signora Paralupi, la sig. Martinez Magni in splendido décolleté, la contessa Giacobazzi Fulcini in rosa, la sig. Zileri Laro colla sorella, la signora Pecoraro in bianco colla signora Rasori Testi; le sig. Silvestri. In seconda fila la marchesa e marchesina di Soragna in ricco abbigliamento nero la prima, in bianco la seconda, la sig. Ferrari, la sig. Razzetti, la sig. Ceccherelli in rosa; le signore Baistrocchi colla signorina Ginevra Della Croce in un vaporoso abito bianco; pure in bianco elegantissima, la baronessa Puccio Ferrari; la giovine e raggiante marchesa Pallavicino Terlago in nero; la sig. Mariotti; le elegantissime signore Bassani e Guastalla, la sig. Melli colla graziosa figlia in celeste; la contessa Gaetana Crescini colla sig. Lombardini; la marchesa Ricci Gandolfi; le signorine De Gregori; la sig. Bruni; la sig. Thovazzi colle figlie. In terza fila le signorine Andina in rosa, la signora Gambaracolla figlia e tante altre che debbo omettere perché la memoria mi tradisce e per lasciare libero lo spazio al critico teatrale. Sono stato vittima di un tiro birbone. Per la prima volta che, quest'anno sono andato al Regio e, mentre speravo di passare la mia serata, come un bravo borghese qualunque che vuol godersi le due lirette che ha speso, con l'animo sgombro da preoccupazioni, il mio collaboratore per la parte artistica, mi piglia all'improvviso e mi dice: oh, bravo; poiché è venuta a teatro, la relazione le farà lei! Io!... Ma non ci fu cristi. O la relazione l'avrei fatta io, o i lettori della Gazzetta non avrebbero conosciuto l'esito della Manon Lescaut. Protestai; ma fu giuocoforza sottomettermi. Se in cuor mio mandai a tutti i diavoli il mio signor collega, non potevo, in coscienza fare altrettanto coi lettori. Il vecchio Z ha troppi motivi di riconoscenza verso di essi, per sottrarsi al disusato pondo che mi s'imponeva. Soltanto, giuro che non mi si coglierà più. E ho ragione di lagnarmi, perché scrivere di un'opera, della quale non si conosce una nota, senza avere assistito ad una prova, senza nemmeno aver letto con attenzione il libretto sembrerà a tutti e sembra, in particolar modo a me una impresa temeraria. Tanto più che il mio giudizio non è soccorso da quello del pubblico, il quale nell'espressione del suo parere, fu tutt'altro ché concorde. L'opera del m. Puccini ha sostenuto oramai tante prove, che il giudizio di Parma - non se l'abbiano a male i miei concittadini - oramai nulla le dà e nulla le toglie. La Manon Lescaut deve possedere dei meriti reali ed incontrastabili, se è piaciuta in tanti altri teatri, e a me sembra che abbiano avuto torto coloro, i quali si sono affrettati a dare di essa un giudizio troppo assoluto, troppo severo.
Dappoiché la moda vuole che non sia musica buona se non quella che si gusta dopo molte audizioni, e magariddio quella che non s'arriva mai a gustare per quanto la si oda, gl'impazienti dovevano rassegnarsi ad ascoltarla ancora qualche sera, e sono persuaso che avrebbero finito per scoprire delle bellezze, dove forse meno lo sospettavano. Ed ho, anzi, il dubbio che i gerofanti della musica, così detta, dell'avvenire stenteranno a mettere il Puccini tra i santi del loro calendario, perché, effettivamente nella Manon non mancano i pezzi che si afferrano e si gustano sentendoli la prima volta. Il secondo ed il terz'atto, per verità, mi sembrano pieni di bellezze. Il prim'atto - che serve alla presentazione dei personaggi del dramma - invece è rumorosamente vuoto. L'istrumentale si affanna, con un affastellamento pesante di suoni - reso più intenso dall'orchestra che fa pompa di forza eccessiva e fuori di proposito - a trovare l'idea, se non il motivo; ma le idee sono fugaci e non nuove e di essi si perde tosto la traccia, i motivi mancano, e in quanto ad effetti non si cava in sostanza un ragno da un buco tranne forse che in ultimo quando sotto il parlante di Lescaut e di Geronte si sente la cantilena degli studenti. E l'atto, effettivamente, è finito con un zittio molto pronunciato e significativo. Il second'atto, dove c'è movimento d'azione, vita e passione, la musica si rialza e si raffina. Il duetto tra Manon e Lescaut contiene delle frasi calorose e gentili. "O mia dimora umile" per esempio, è un pensiero delicatissimo e che fu gustato assai dal pubblico. Ma la seconda parte, cominciando dal madrigale cantato a mezza voce per andare alla scena del minuetto - pezzo che fino a quando sarà eseguito da una artista del valore della sig. De Frate è di effetto irresistibile - e finire colla stretta finale, è tutta opera di getto e di polso e rivela che il compositore è un'artista che esce assolutamente dalla sfera comune. Ma tutte queste vere bellezze, una parte del pubblico non ha inteso - e dico così perché mi ripugna il pensare che non abbia volute intenderle - sicché agli applausi degli uni, si contrapposero le disapprovazioni clamorose degli altri. Il terz'atto pure racchiude bellezze di primo ordine. Se la musica appare troppo all'altezza della situazione, eminentemente drammatica, nel duetto tra tenore e soprano quando Des Grieux rivede Manon attraverso l'inferiata della prigione, in attesa di partire per l'America, essa si rialza a vera potenza drammatica nel gran finale. La sfilata delle cortigiane dannate al bando accolte dagli scherni della folla, mentre Des Grieux e Manon si scambiano addii strazianti e parte dei borghesi incitati da Lescaut compassiona la poveretta, formano un contrasto di effetto potente, immancabile. Questo pezzo fu alquanto deficente per ciò che riguarda l'esecuzione, perché il tenore, che se l'era cavata bene al primo atto, facendosi applaudire, ed anche al secondo, ha finito per lasciarsi vincere dal panico. Anche qui, il pubblico - la gran maggioranza, per vero dire - vinta dalla potenza del dramma e della musica scoppiò in un fortissimo applauso e volle rivedere più e più volte gli artisti ed il direttore al proscenio; ma ciò non fu senza destare una reazione, sicché la gara tra chi applaudiva e chi fischiava durò un bel po' di tempo, ma con notevole prevalenza degli applausi. L'azione del dramma, nel quart'atto si raffredda. Come è noto, Manon e Des Grieux fuggendo il deposito, si sono smarriti nelle vaste solitudini che circondavano Nuova Orleans, allora poco più di un meschino villaggio infestato dalle febbri. Manon, estenuata dalla fatica, arsa dalla sete,disfatta dalla febbre, sta per morire. Invano il fedele amico suo la conforta e l'assiste. La bella peccatrice non resiste al male e spira. L'atto, dunque, si compendia in un solo duetto. E il duetto è una continua declamazione. L'orchestra ha fremiti d'amore e di passione, grida strazianti di disperazione. Tutto questo è indiscutibilmente bello; ma... Questo ma mi sfugge involontariamente. Anche in musica sono una coda impenitente e male so acconciarmi a tutta questa modernità, massime se è spinta come a me sembra il caso - fino all'abuso. E la battaglia tra contenti e scontenti si riaccese, calato il sipario, più veemente che mai e durò lunga pezza, tanto che non ne vidi la fine. Tenore, prima donna, direttore d'orchestra furono chiamati al proscenio una infinità di volte, tra l'ostilità, non meno insistente, di parte del pubblico. Finalmente sì trovò un compromesso per metter pace tra i belligeranti. La signora De Frate venne spinta fuori dalle quinte da sola e, allora, ogni dissidio fu impossibile: tutti andarono a gara per applaudire la bravissima artista. In quanto all'esecuzione ed agli artisti - se si pensa che questa è una compagnia nuova di zecca, tutta differente da quella che rappresentò l'Otello - mi pare che il pubblico non avrebbe motivo di lagnarsi. Ho già accennato al successo riportato dalla signora Ines De Frate. Quasi direi che quel successo, quantunque pieno, incontrastato calorosissimo, è stato ancora inferiore al merito della artista. La signora Ines De Frate possiede una bellissima voce, d'un'estensione straordinaria, intonata, agilissima; ed un vero talento d'artista. Ritengo che poche assai saranno le prime donne in Italia, capaci di eseguire la Manon tanto bene. E questo dico perché è notorio che quelle benedette prime donne, con la scusa che cantano il genere drammatico si credono lecito d'impuntarsi - come farebbe una rozza davanti a un fosso - di fronte alla menoma difficoltà che richiegga agilità di voce. Invece la signora De Frate, che nel second'atto della Manon è tutta brio e trilla e gorgheggia che è un piacere, nel terzo e nel quart'atto, segnatamente, si appalesa artista drammatica di prima forza e rende gli strazi, gli spasimi e gli affetti della protagonista con una verità che soggioga e impressiona. Ripeto: malgrado le incertezze della serata la signora De Frate riportò un vero successo, che si appalesò con gli applausi che essa, riscosse lungo l'opera e, in particolar modo dopo il minuetto, del quale fu chisto il bis. Invece il successo del sig. Colli fu assai contrastato e si aspetta da lui la rivincita. E mi pare che possa darla. Egli non ha gran voce e questa è segnatamente debole nel registro basso; ma, in compenso, sale con facilità agli acuti. Iersera egli era in preda ad una paura verde; ma è sperabile che per la prossima rappresentazione si rinfranchi e faccia valere i suoi mezzi che se non sono molti, sono però simpatici. Un eccellente Geronte è stato il basso-comico sig. Luigi Broglio, il quale ha una bellissima voce e, sta molto bene in scena. Al baritono è toccata una parte che mi è sembrata alquanto insignificante. Il sig. Arturo Cerratelli se l'è cavata abbastanza bene. Come pure se la sono cavata assai bene il tenorino sig. Eugenio Grossi, nella sua triplice parte di studente, di maestro di ballo e di lampionaio; ed il contralto, signora Polacco-Drog, nella parte di musico. Discretamente anche il Francalancia ed il Barbieri. Nei cori c'è stata qualche incertezza passata inavvertita. All'orchestra mi sono permesso già di fare l'appunto che suona forte oltre la necessità. Essa però m'è sembrata attenta e precisa e al preludio del quart'atto riscosse un applauso caloroso. I vestiari e le scene - queste, specialmente, per noi parmigiani, troppo male avvezzati da Magnani e da Giacopelli - sono dissotto della critica. E qui termino la cronaca. Non prima, però, d'aver detto che il teatro pienissimo ed elegantissimo era, di per sé, un gradito spettacolo.
Z.


"L'Otello" del 11 gennaio 1895

Sono tanto ostile allo spettacolo che ho ritardato di un giorno la pubblicazione del giornale per dare il resoconto della Manon, ed ho detto tanto male dell'Otello, come, alcuni sapientoni (?) vogliono far credere, che su parecchi giornali teatrali ho riletto brani del mio articolo relativo agli artisti! Ieri sera prima della Manon. Dramma lirico in 4 atti del Maestro Giacomo Puccini.

ESECUTORI:

Manon Lescaut, Ines De Frate
Lescaut, Arturo Ceratelli
Des Grieux, Ernesto Colli
Geronte di Ravai, Luigi Broglio
Edmondo, Eugenio Grossi
Un sergente, Pietro Francalancia
Un musico, Benvenuta Polacco Drog
Un comandante, Tomaso Barbieri
Alle ore venti e 15 minuti colla solita precisione il maestro Conti da il segnale all'orchestra. Poche battute precedono l'alzata della tela. Una festa popolare, un coro non troppo chiaro ma eseguito discretamente; la ballata di Des Grieux pezzo abbastanza sentimentale e cantato con grazia dal tenore Colli. Giunge la diligenza con Manon, Lescaut e Geronte. Il primo duettino fra tenore e soprano è grazioso, e graziosa assai è l'istrumentale; la frase: Deh, se buona voi siete, siccome siete bella e l'altra ...è in voi l'aprile predominato in tutta l'opera.
Originale un dialogato fra flauto e clarino ma mi pare esiga un'esecuzione fine delicata che appena si rilevi. Il finale del primo atto è carino e fu eseguito benissimo, lode al maestro Gerbella per la perfetta intuizione artistica che profuse nei cori. Al secondo atto, il migliore, noto la cantilena di Manon "O mia dimora umile" detta con espressione e sentimento dalla sig. De-Frate. Riuscitissimo e ben trovato il Madrigale, peccato che fu eseguito con un'incertezza fenomenale. Originale è il continuo effetto di sordine in ispecie nella scena del maestro di ballo. Una perla, un rubino il minuetto; che il sommo maestro lucchese indovinò o, meglio, creò. Dalla sig. De Frate fu eseguito divinamente e cantò come ella sola sa. Emette un re naturale scoperto con una sicurezza e facilità che il pubblico entusiasta ne chiese ed ottenne il bis. Il gran duetto fra Manon e Des Grieux che ricomincia con la fuga del primo atto, presto raggiunge la massima intensità di effetto e finisce artisticamente; peccato che l'esecuzione mancò assai, causa una nota mancata al tenore che mi assicurano indisposto. Musicalmente assurdo il finimondo che chiude l'atto. L'intermezzo orchestrale che apre il terzo atto fu poco applaudito e poco gustato, mentre fu, ad onor del vero, eseguito benissimo. Esordisce colla frase: è in voi l'aprile e seguita col motivo del secondo duetto d'amore, insomma è un tessuto dei migliori motivi dell'opera. La scena dell'appello delle cortigiane è arrischiata per l'azione, ma è un pezzo magistrale con pizzicati che, giustamente, imprimono il carattere tragico. L'ultimo atto, un duetto con ripetizione dei temi precedenti. Il monologo di Manon ha momenti felici e si ripete un dialogato fra flauto e oboe che veramente s'addentra nel meraviglioso sebbene la situazione sia forse un po' troppo prolungata. Tanto dopo il 3° atto che a fine dell'opera si ebbero chiamate alla ribalta e sonori fischi. L'opera ebbe il successo sperato? ...Non è un'operona, ma è ricca di melodia, di effetti variati, bizettiani anche, ma esige un'esecuzione eccezionale; un'orchestra numerosa che l'effetto si rilevi dal numero non dal suono forte esagerato. Due parole per gli artisti. Il primo posto spetta alla signora Ines De Frate che della Manon fa una vera creazione. La sua parte è faticosissima e contrastata, ma essa la interpreta con una bravura drammatica e vocale, quale s'addice ad un'artista di merito non comune. La sua voce è limpida, intonata, sicura, agile, emette acuti, tra i quali ho notato il re, in modo che poche l'eguagliano. In una parola fu l'eroina. Se un appunto però posso fare alla signora De Frate si è questo che, a mio modesto avviso, l'interpretazione data alla scena dell'ultimo atto, è forse non del tutto indovinata. Troppe volte cade, troppe volte riprende interamente le forze, che d'altronde sono indispensabili per cantare tutte quelle frasi, tutt'altro che da moribonda, che sono nello spartito.
Si potrebbe forse rimediare, facendo sì che la protagonista, anziché cadere a terra, potesse trovare un macigno qualunque su cui, in posizione più comoda, potesse riposarsi e cantare. Il tenore sig. Ernesto Colli, non solamente era indisposto, ma andò in iscena dopo pochissime prove, senza conoscere bene l'opera, e gli sono scusate quindi le poche incertezze di una prima sera, causate anche dal panico che in lui padroneggiava. Lescaut (Ceratelli) fece del suo meglio e fu applaudito; Geronte non intese perfettamente la parte che deve rappresentare. Bene il Grossi nella parte però del lampionario. Benissimo i cori e l'orchestra diretta dall'infaticabile maestro Conti al quale spetta un'elogio speciale per la ferrea memoria dirigendo le opere senza spartito. Messa in iscena meschina.
G.


"L'Otello" del 17 gennaio 1895

Assicurato dalla Gazzetta della buona riuscita dello spettacolo, mi recavo ieri sera al Regio per udire la quarta edizione della Manon, riveduta e corretta,... ma sulla porta del nostro massimo, un minuscolo cartellino manoscritto (messovi all'ultim'ora) diceva: Essendosi rifiutato il signor Ernesto Colli di cantare questa sera, senza alcun diritto, né ragione, l'impresa si trova obbligata a far riposo.
Povera impresa! a Dio spiacente ed a nemici sui! Un tenore fa sequestrare gli incassi serali (sempre senza alcuna ragione, ben s'intende), l'altro si rifiuta di cantare! Chi è fatalista s'accontenterà di dire che la Manon era destinata qui a cadere; chi non crede al destino potrà darsi ragione dell'accaduto - un po' più filosoficamente - pensando che la natura intima delle cose resta tale com'è perché così dev'essere, e che non i voti (concretati in applausi stitici) degli azionisti, non gli incensi di giornali compiacenti la possono mutare. Noi non ci erigiamo a giudici: non lo vogliamo, né lo potremmo fare. Vero è però che i fatti accaduti non sono certamente di quelli che onorano imprese e commissioni teatrali.


"Gazzetta di Parma" del 18 gennaio 1895

La ripresa dell'Otello fu accolta dal pubblico con schietto e sincero entusiasmo. La rappresentazione di ieri sera è stata tutta un trionfo per i bravi interpreti dello splendido spartito verdiano. Il Galli, il Caruson e la Cruz furono accolti al loro apparir sulla scena da generali applausi. Il Galli dovette ripetere l'Esultate che egli canta con tanta forza e tanta potenza di voce, e la Cruz - come al solito - concesse il bis dell'Ave Maria. Il Caruson - che è ritornato a noi carico degli allori raccolti a Montecarlo - riscosse approvazioni clamorose e generali specialmente dopo il credo, e più ancora dopo il Sogni di Cassio che egli canta in modo veramente insuperabile. Ad ogni fin d'atto tutti gli artisti furono chiamati due o tre volte al proscenio fra le ovazioni del pubblico. Dopo il finale terzo dovette anche presentarsi il maestro direttore d'orchestra A. Conti. In conclusione adunque quella di ieri è stata una splendida serata. Tutti gli interpreti dell'Otello fecero del loro meglio e fecero benissimo e l'opera ottenne un trionfo. Non dimentichiamo di ricordare che pure il Grossi fu un Cassio lodevolissimo e che se la cavarono molto bene anche la Drog, il Barbieri, il Francalancia. Ma il momento più bello e più gradito dello spettacolo fu quando nell'intervallo fra il terzo e il quarto atto il baritono Caruson si presentò alla ribalta a leggere commosso un telegramma di Baratieri che annunciava una nuova e più splendida vittoria dell'esercito italiano in Africa. Quel messaggero, vestito da teatro, che pareva uscito ad annunziare uno dei soliti inconvenienti di palcoscenico e che colla notizia di un fasto patriotico levava in alto i cuori di tutti, fece prorompere il pubblico in un enorme grido di giubilo. Tutti si levarono in piedi sventolando i fazzoletti ed i capelli e chiedendo la marcia reale che fu subito eseguita dall'orchestra e poi bissata e ancora trissata fra il generale entusiasmo.


"Gazzetta di Parma" del 21 gennaio 1895

Nella Manon Lescaut del maestro Puccini ha debuttato ieri sera al Regio il nuovo tenore Luigi Rosati il quale ha avuto dal pubblico numeroso che era in teatro lieta accoglienza. Il nuovo artista era in preda a grandissimo panico; non ha quindi potuto dare la giusta prova del suo valore. E noi perciò attendiamo a giudicarlo dopo la prossima rappresentazione della Manon. La De Frate - la valentissima protagonista - ha dovuto trissare il minuetto fra le ovazioni del pubblico. Pure tutti gli altri interpreti dello spartito pucciniano furono assai applauditi.


"Gazzetta di Parma" del 22 gennaio 1895

In questa settimana - come già era stato annunziato - doveva andare in scena al Regio la Favorita per debutto della signora Maria Giudice. Ora, per circostanze impossibili a prevedersi, la messa in scena dell'opera del Donizetti è stata rimandata. La Commissione teatrale ha perciò rivolto alla valente artista signora Maria Giudice la lettera seguente per pregarla di acconsentire a presentarsi prima nella parte di Azucena che in quella d'Eleonora.
Parma 21 Gennaio 1895

Egregia Signora
Questa Commissione teatrale non può rifiutare il suo appoggio a una impresa che soddisfa puntualmente ad ogni suo obbligo; ed è per questo che, tenuto conto delle difficoltà alla medesima create da circostanze tutt'affatto imprevvedute, essa Commissione si rivolge a Lei, o Signora, vale a dire all'artista che al valore accoppia il sentimento del bene, per pregarla a voler presentarsi sulle scene di questo R. Teatro, prima sotto le spoglie di Azucena nel Trovatore, e poscia sotto quelle di Eleonora nella Favorita, richiedendo quest'ultima opera un tempo maggiore pel suo allestimento. Ciò nulla toglierà al successo che Ella saprà meritarsi; mentre acconsentendo, avrà reso un segnalato servizio all'impresa predetta, e un singolare favore a questa Commissione, la quale Le anticipa, per mio mezzo, vive azioni di grazie, sin d'ora persuasa della di Lei cortese adesione. E intanto, o Signora, accolga l'attestazione della mia più distinta stima.
Il Presidente
P. BOCCHI

L'egregia signora ed artista avrebbe naturalmente bramato assai di debuttare nell'opera del Donizetti, pure per non danneggiare l'impresa e per favorire i componenti la Commissione, ha gentilmente aderito alla richiesta di questi e sabato sera essa si presenterà sotto le vesti di Azucena a ricevere il plauso del nostro pubblico.


"Gazzetta di Parma" del 27 gennaio 1895

"IL TROVATORE" AL REGIO
Il Trovatore - com'era da prevedersi - ha avuto ieri sera un nuovo e splendido successo. Assisteva alla rappresentazione un pubblico straordinariamente numeroso: i posti erano quasi tutti occupati, gremiti i palchi e la platea. L'opera del Verdi piena di melodie bellissime, inspirate, appassionate - è di quelle che non stancano mai e che tutti più facilmente comprendono. Quella musica parla al cuore: ha in sè il talismano che rende durevole le opere d'arte, che dà loro un fascino eterno: la potenza della commozione, la foga appassionata, la spontaneità del sentimento. L'esecuzione del Trovatore al Regio è stata ieri sera in generale assai buona; eccezionale per parte della signora Maria Giudice Caruson un'Azucena insuperabile. Gli spettatori dettero quasi ad ogni scena la prova del loro aggradimento ed anche talora del loro entusiasmo. Ad ogni fin d'atto evocarono al proscenio tutti gli artisti parecchie volte. È stato dunque un successo splendido e sopra tutto meritato. La signora Cruz - in una parte non addetta ai suoi mezzi - ha saputo farsi valere egualmente. La preziosità e la purezza del suo canto, la pastosità della sua voce fecero sì che il pubblico l'applaudisse calorosamente dopo tutti i pezzi principali. Il Galli è più che mai in quest'opera il tenore dalla voce prepotente, splendida. Dovette naturalmente ripetere: Di quella pira, dopo di che fu chiamato al proscenio numerose volte. Al simpatico e modesto artista rivolgiamo il consiglio di dimenticarsi - specialmente nel quarto atto - di essere stato sino a poche sere fa, un superbo e bravissimo Otello. Certe irruenze di voce e di movimenti non ci sembrano in quest'opera al loro posto. Il baritono Guglielmo Caruson è stato un Conte di Luna ammirevole per scena e per interpretazione.. Dopo la romanza Il balen del suo sorriso, che egli cantò con artistica finezza, il pubblico che pure lo applaudì in tutta l'opera - lo salutò con una generale e meritata ovazione. Molto bene anche il basso Broglio nella sua breve ed insignificante parte. Ed ora poche parole per constatare il successo entusiastico ottenuto dalla signora Giudice, da chi cioè per merito e per valore avrei dovuto nominare prima di tutti. Quest'artista - la trionfatrice della serata - già ben nota in arte, giacché ha cantato nei primari teatri in Italia e fuori, è stata pel pubblico nostro una rivelazione. La parte di Azucena - che musicalmente è un capolavoro - ha avuto in lei un'interprete splendida eccezionale, grande. La sua voce è limpida, estesa, ben timbrata, il suo fraseggiare chiaro, corretto, sa cantare con anima e senza esagerazioni, sa trasfondere nelle note il sentimento, sa, a tempo, spiegare un'efficacia ed un accento drammatico eccezionali, sta in scena infine da vera e perfetta artista. La canzone di vendetta: stride la rampa fu interpretata con profonda passione, con energia selvaggia. I suoi occhi scintillavano di collera l'accento della sua voce rivelava il concitato, racchiuso dolore. Il brano di musica dovette essere bissato fra le ovazioni del pubblico, ovazioni ed applausi che si ebbero quasi ad ogni frase da lei cantata. E così nel terzo e nel quarto atto ebbe entusiastiche approvazioni da tutto il pubblico che acclamava in lei l'artista insuperabile, l'inarrivabile Azucena. Discretamente se la cavarono pure il Grossi, il Barbieri, la Sciaccaluga. Ottimi i cori istruiti dal Gerbella. L'orchestra - abilmente diretta dal Conti - andò abbastanza bene. Certi tempi però non mi sembrarono di una storica fedeltà. Scene e vestiari discreti. In conclusione adunque un successo splendido, magnifico; uno spettacolo - che pur non essendo scevro di difetti e di mende - deve annoverarsi fra i buoni, fra i meritevoli di essere ricordati, sentiti ed applauditi. Finisco invitando il pubblico ad accorrere in folla al Regio anche stasera alla seconda rappresentazione di questo fortunato Trovatore. Il bollettino degli spettacoli della settimana entrante è il seguente:
Mercoledì: Il Trovatore.
Giovedì, serata dei poveri: Manon Lescaut.
Sabato: prima della Favorita.
S.


"Gazzetta di Parma" del 3 febbraio 1895

Teatro affollatissimo per la prima della Favorita. Lo spettacolo - diciamolo subito - non piacque. L'esito fu in complesso freddissimo ed assai contrastato e alla fine dell'opera il pubblico diede indiscutibili segni del suo malcontento. Molte cause hanno contribuito al semi insuccesso. Prima fra tutte l'assoluta deficenza, di prove e di concertazione dell'opera. Troppe incertezze, troppe debolezze, troppe slegature in orchestra, e tra questa e il palcoscenico mancanza di affiatamento, di coesione. Parecchi pezzi però dello spartito vennero presentati con quel colorito che è tanto necessario a dar vita alla musica. L'insieme ripetiamolo, è andato malamente e non sappiamo dar torto a quella parte di pubblico che ha protestato. In quanto agli artisti principali, si può dire che - esclusa la coppia Giudice-Caruson - gli altri non furono tali da soddisfare le esigenze del pubblico. La signora Giudice è stata un'Eleonora applauditissima, tanto per la voce robusta, timbrata, quanto per efficacia scenica. Specialmente l'adagio della romanza: O mio Fernando venne cantato da lei assai bene. Il Caruson fu un Alfonso XI dal canto corretto e reso con ogni migliore espressione artistica specie nelle difficoltà del terzo atto. Il pubblico applaudì calorosamente il valentissimo artista dopo tutti i pezzi principali e sorpattutto dopo l'A tanto amor. Il tenore Rosati ha avuto dei buoni momenti e delle buone intenzioni... Stasera indubbiamente, più sicuro di sé, egli saprà far meglio. Registriamo intanto per la cronaca gli applausi che egli ha ottenuti dopo la romanza del primo atto. Il Broglio in una parte che non è per lui - ha fatto quanto poteva - Discreti il Grossi e la Sciaccaluga. Cori eseguiti bene e con colorito alcuni, altri lasciarono a desiderare. Messa in scena non sempre decorosa. Stasera seconda rappresentazione della Favorita.


"Gazzetta di Parma" del 20 febbraio 1895

La serata popolare del Trovatore datasi ieri sera al Regio è riuscita quale prevedevasi. Teatro enormemente affollato. Non un posto vuoto nel parterre, gremito il loggione, assai popolati i palchi. Molta gente venne rimandata non potendo il Regio contenerne assolutamente di più. Tutti gli interpreti del popolare spartito verdiano ebbero la loro parte d'applausi, ma soprattutti la Giudice ed il Galli. Quest'ultimo dovette trissare il famoso Di quella pira dopo del qual pezzo egli venne evocato al proscenio più e più volte fra le ovazioni e le grida del pubblico entusiasmato.


"Gazzetta di Parma" del 24 febbraio 1895

Magnificamente bene è riescito ieri sera al Regio lo spettacolo ad onore dei coniugi Giudice-Caruson. Accolti ambedue da applausi al loro presentarsi sulla scena, furono fatti segno durante tutta la rappresentazione alle testimonianze più schiette e sincere di simpatia e di ammirazione da parte del pubblico abbastanza numeroso accorso in teatro. La Favorita procurò a questi due valentissimi artisti i soliti cordiali applausi. La signora Giudice dovette concedere il bis dell'allegro della romanza O mio Fernando, dopo del qual pezzo le furono presentati fra le ovazioni del pubblico numerosi ed elegantissimi trionfi di fiori e parecchi oggetti di valore. Il Caruson che fu pure applauditissimo dopo i pezzi principali della sua parte nella Favorita, bissò la splendida serena del Don Giovanni che egli disse in modo splendido con raro e grande intuito artistico. A lui venne meritamente offerta una grandiosa corona d'alloro. Naturalmente il punto culminante dello spettacolo, il maggior successo della serata, fu, come doveva essere, il rondò finale della Cenerentola. Dopo questo pezzo che la signora Giudice cantò con bella agilità di voce superando facilmente ardue difficoltà, il pubblico batté le mani con entusiasmo, fece bissare il pezzo e rievocò parecchie volte alla ribalta l'esimia artista, ammirabile ancor di più quando si pensi che da Azucena a Cenerentola è grande il passo. La serata adunque fu splendida e ben meritate furono le feste che il pubblico fece alla coppia valente.


"L'Otello" del 8 novembre 1894

PARMA PEL TEATRO REGIO
Riceviamo, e, con quella imparzialità che ci distingue, pubblichiamo quanto un'azionista ci scrive, riserbandoci di fare, a tempo opportuno, diversi appunti.
Egregio Signor Direttore,
In questi giorni si fa un gran parlare per lo spettacolo al nostro Teatro Regio. Da una parte si sentono degli azionisti, i quali intendono che lo spettacolo lo si faccia andare in casa (come si suol dire); altri dicono che fastidi non nè vogliono e cercheranno un'impresario che ne assuma l'impresa, altri ancora vorrebbero dare il ricavato delle Azioni al Municipio, perché poi questo lo dia a titolo di dote e bandisca il concorso. Secondo il mio debole parere, il più logico sarebbe che le spese tutte dello spettacolo fossero sostenute dagli azionisti che, avendo così un interesse diretto e immediato nella cosa, metterebbero alla testa, persone capaci in materia. Dico il più logico, inquantochè essendo l'azione eventualmente rimborsabile, l'azionista stesso ha un certo diritto, a fine stagione, di sapere come sono andate le cose. Viceversa invece, se lo spettacolo si dà ad un impresario, questo, non solo non vorrà far vedere né spese né introiti; ma non vorrà nemmeno sapere da qual parte venga quel danaro né da chi sia dato: all'impresario basterà solo una persona che garantisca quella dote: e siccome il totale delle azioni con quello che darà (se lo darà) il Municipio, riunito, non arriverà a molto, l'impresa non vorrà nemmeno mettersi soggetta ad una Commissione che la sorvegli, sia per l'approvazione degli artisti e per tutto il resto, e non vorrà nemmanco mettere una adeguata cauzione o garanzia. Cosicché potrà darsi di avere un discreto spettacolo se si ha la fortuna di capitare con un onesto impresario; ma siccome questo è molto difficile, così ho anch'io la tema di grandi malumori. Dunque mi metto assolutamente con quei signori azionisti; i quali vogliono sapere dove, e come vanno i proprii danari. S'intende che devono studiar bene per trovare la persona che sia addentro alle cose del Teatro e sia pienamente in conoscenza con artisti, masse corali ed orchestrali e veda che il preventivo, salvo disgrazie, sia ragionato. Con questo però non voglio dire che lo spettacolo, col danaro fin'ora raccolto, sia facile a darsi; tutt'altro, anzi è difficilissimo, inquantoché la cifra raccolta, unitamente a quello che potrà dare il Municipio e gli introiti serali, sono molto al disotto delle spese, anche al massimo ridotte. Contrariamente poi alle mie asserzioni, trovo nella Gazzetta che la sottoscrizione ha già raggiunto il totale necessario per dare un conveniente spettacolo e che in vista di ciò, la Società dei Commercianti ha deciso l'apertura del Regio - però, soggiunge che la sottoscrizione resta ancora aperta, e che il ricavato servirà per migliorare lo spettacolo, oppure andrà a favore dei signori azionisti. Credo però che gli azionisti, o massima parte di questi, ignorino ancora quale spettacolo avranno, e che lo ignori anche la stessa Società dei Commercianti; se questo è, come fa detta Società a dichiarare che la cifra raccolta è sufficiente, per dare un conveniente spettacolo?! Questa dichiarzione la si può fare quando si può disporre di una dote, o regalo, di un 40,000 lire, ma non quando appena si arriva a 20,000 lire. Ripeto di nuovo; a meno che lo spettacolo non venga assunto o da un barone, o da una Società cittadina, od anche da un concittadino, il quale, naturalmente, per le amicizie, potrebbe avere delle facilitazioni, un impresario di speculazione, coscienziosamente, non lo può assumere con ciò che gli si può ora offrire. Si troverà l'impresario che assumerà lo spettacolo, ma, facilmente, a metà stagione pianterà in asso tutto e tutti e chi ha avuto ha avuto; cosa del resto non nuova al nostro pubblico il quale deve essere a conoscenza, e lo sa positivamente la Direzione, che, alla metà delle stagioni, succede sempre, o quasi, la crisi per mancanza d'olio, e si è costretti far dei sacrifici per salvare la baracca, mettendo o sotto amministrazione l'impresa, od anticipandogli con non poco rischio, danaro che, il più delle volte, non va dato che al termine della stagione; posso anche assicurare che le perdite, a fine Carnevale, furono non indifferenti a questo da 10 anni consecutivi. Ritornerò sull'argomento se ne sarà del caso - per ora ripeto ai signori azionisti di andar cauti e non abbracciare il primo capitato, pur di avere lo spettacolo al Regio. Un'ultima indiscrezione: - L'Azione è o non è eventualmente rimborsabile? e se è rimborsabile come si pensa di dar lo spettacolo ad un impresario? Ma ognuno sa che un impresario se anche, finanziariamente, la stagione gli è propizia, non rende nemmeno più un soldo; e questo è troppo logico!
Parma 7 novembre 1894.
Un azionista.


"Gazzetta di Parma" del 17 gennaio 1895

UNA DIMOSTRAZIONE
Ieri sera il pubblico che accorreva numeroso al Regio per la quinta della Manon, trovò con sua sorpresa i battenti chiusi. Un avviso scritto ed affisso alle colonne ed alle cantonate del teatro faceva noto che, il tenore Ernesto Colli rifiutandosi di cantare senza motivi giustificati l'impresa era costretta suo malgrado a non dare la rappresentazione annunciata. Poco dopo molte delle persone che accorrevano al Regio si fermarono sotto l'abitazione del tenore alla Croce Bianca ed improvvisarono un clamoroso chiarivari per lui poco lusinghiero. Assunte informazioni circa questo improvviso ed inatteso incidente teatrale abbiamo saputo che il sig. Colli si rifiutò di cantare nella sera di S. Ilario adducendo di non volerlo fare tre sere di seguito, sebbene nel suo contratto di scrittura non esistesse nessuna clausola in proposito. Dopo vive preghiere, acconsentiva qualora però l'impresa gli pagasse un forte compenso. L'impresario gli offrì cento lire ma l'artista tenne duro nel suo rifiuto. In seguito a notte inoltrata mandò a chiamare l'impresario e gli comunicò che egli rinunziava alle 100 lire e che avrebbe cantato a patto che la commissione teatrale gli presentasse durante lo spettacolo una corona di alloro, da lui stesso fornita. La commissione - molto giustamente - credette bene di non aderire a tale pretesa trovando la cosa niente affatto decorosa e forse anche provocante per il pubblico. Durante lo spettacolo il tenore non vedendo apparire la corona, che già aveva fatto recare in teatro, diè in tali bizze da rompere lo specchio del suo camerino. Ieri chiese all'impresario che gli fosse pagato il compenso delle cento lire alle quali aveva dichiarato di rinunciare. Dietro rifiuto dell'impresario, accusò un'indisposizione che i medici del teatro dottori cav. Romani e Pizzetti trovarono insufficiente a far sospendere la rappresentazione, potendosi, tutt'al più farne avvisato il pubblico al principio dello spettacolo. E infatti anche dopo le ore 17 il sig. Colli faceva noto all'ispettore di P.S. cav. Cavatore, essere egli pronto a cantare - quantunque indisposto - purché gli venisse pagato l'indennizzo già chiesto per la recita di lunedì. Queste le notizie raccolte in proposito, alle quali non crediamo opportuno fare alcun commento lasciandone giudice il pubblico. È facile che l'autorità, per ragioni d'ordine pubblico, non abbia a permettere ulteriori rappresentazioni della Manon col tenore signor Colli, poiché se il nostro pubblico è disposto qualche volta a tollerare la poca voce d'una artista, non perdona però che gli si manchi di riguardo.


"L'Otello" del 24 febbraio 1895

AD AUGUSTA CRUZ
nell' "OTELLO" di Verdi, al Teatro Regio di Parma per la sua SERATA D'ONORE (16 Febbraio 1895)

Come lieve carezza d'un'amante,
così lieve è il tuo canto. - La dolcezza
sta ne lo sguardo tuo, quando, implorante
pallida, triste ne la tua bellezza -

chiedi al Moro la vita. - Affascinante,
quando pregusti de l'amor l'ebbrezza,
e tutta, a chi t'uccise, palpitante
abbandoni la lieta giovinezza.

Salgon le note limpide, argentine,
salgon le alate melodie, divine,
come in un bosco, trilli d'usignolo.

E quel tuo canto, quella voce arcana,
dolcissima, nel cor sveglia una strana
voglia di pianto. Il pianto del tuo duolo!

Con piacere pubblichiamo il sonetto che abbiamo presentato all'esimia artista nella sua serata d'onore. Ormai tutti sanno che l'Otello fu l'opera meglio concertata e meglio eseguita, per cui essendo stata data moltissime sere come sostegno della stagione, noi, pur conoscendo i meriti della sig. Cruz, non ci aspettavamo un teatrone. Invece entrando in teatro fummo contentissimi di vedere, non solo un pubblico numerosissimo, ma un teatro come solamente si trova nelle grandi occasioni. Palchi, poltrone, riservati tutto occupato! Al suo apparire, la geniale artista, fu accolta da un applauso entusiastico interminabile. Alla fine del primo atto Le vennero presentati doni, fiori e sonetti ed all'ultimo, all'Ave Maria, pezzo che dovette replicare fra ovazioni entusiastiche, innumerevoli furono i doni offerti. Poche volte invero artiste ed artisti ebbero tanto onore, specialmente al nostro Regio, e sebbene nella corrente stagione l'intelligente pubblico parmigiano sia stato abbastanza indulgente verso taluni artisti, la signorina Cruz non va annoverata certamente fra questi; poiché la sua correttezza e sicurezza, la voce dolce, melodiosa ed intonatissima sono suoi meriti indiscutibili. Ci uniamo ai nostri colleghi che giustamente segnalarono i veri trionfi avuti in altre città, e desiderosi di riudire l'esimia artista, le diamo ora un sentito e sincero arrivederci.


"Gazzetta di Parma" del 8 gennaio 1895

LA "MANON LESCAUT" DI G. PUCCINI AL REGIO
Dopo un giro attraverso quasi tutti i principali teatri d'Italia e moltissimi dell'estero, la Manon Lescaut di Giacomo Puccini si presenterà fra poche sere al nostro Regio, il cui verdetto ha sempre un significato non piccolo e non indifferente per tutte le produzioni artistiche. Nessun lavoro del Puccini si è ancora rappresentato a Parma; si comprende quindi come l'aspettativa del pubblico nostro, per l'ultimo melodramma del giovane maestro lucchese, sia vivissima. Da un articolo di Jarro - l'arguto e brillante critico della Nazione di Firenze - togliamo in gran parte i dati che seguono e che interessano la vita dell'autore della Manon. Il maestro Giacomo Puccini esce da una quarta generazione di musicisti. Il suo avo Giacomo Puccini nato nel 1712, fu il maestro di cappella della Repubblica lucchese; scrisse musica sacra, cantate: anche il figlio Antonio fu maestro di cappella, scrisse musica in stile severo: l'uno e l'altro furono filarmonici di Bologna, onore ambito a quei tempi. Lo stesso Domenico Puccini e Michele, padre dell'appassionato cantore della Manon furono compositori di musica sacra: solenni contrappuntisti. Il padre dell'autore delle Villi, dell'Edgar, della Manon moriva nel 1864. Giacomo Puccini ebbe il primo insegnamento della musica dal maestro Magi suo zio materno, direttore del Liceo musicale di Venezia, morto nel 1881. Studiò armonia col maestro Angeloni, allievo di suo padre: studiò a Milano due anni col sommo Bazzini, poi con quel poderoso, popolare compositore che fu Amilcare Ponchielli. Uscì giovanissimo dal Conservatorio nel 1883. Scrisse per prima opera le Villi che fece rappresentare nel giugno dell'84 al Teatro Dal Verme di Milano, un'opera che i sapientissimi della commissione di un concorso avevano rifiutata e che in pochi anni dette quasi la celebrità all'autore. Sin d'allora si disse dai più malevoli che Giacomo Puccini era capace anche di scrivere buona musica. La sua seconda opera L'Edgar rappresentata nel 1889 alla Scala di Milano, scritta su un infelice ed insulso libretto, ebbe buon successo, ma non riuscì un capolavoro. Il Donizzetti, il Rossini, Il Verdi hanno scritto capolavori su libretti pessimi: ma il Puccini non si propose con l'Edgar di oscurare la gloria di tali genii. Ciò prova come già il fecondo giovane maestro riesca a far tutto quello che vuole. Manon Lescaut è la terza opera del m° Puccini: fu scritta nel 1892, ed andò in scena a Torino nel febbraio del 93 dove ottenne un successo addirittura trionfale. Nel libretto furono cooperatori l'avv. Domenico Oliva e Luigi Illica scrittori di vivissimo ingegno, ma il maestro rifece molto da sé: ecco perché i libretto non reca nomi d'autori. Ma è un libretto facile, di una sceneggiatura abilissima, di molta efficacia e non poca perspicuità. Il maestro lavora attualmente attorno alla sua quarta opera; Bohême sul libretto di Giacosa ed Illica - i quali tolsero il soggetto dalla Vie de Bohême del Murger. - Della sua quinta opera La lupa è già messa in musica buona parte del primo atto. Il Verga ha scritto con questo titolo un dramma che sarà presto recitato da Eleonora Duse... Da quel dramma il Verga e il De Roberto han tolto il libretto per il Puccini. L'autore della Manon ha una trentina d'anni o poco più. Ha fisionomia aperta e gioviale, non scevra però di energia. È di media statura di corporatura robusta, bruno, gagliardo, simpatico. È velocipedista, ma si vanta soprattutto di essere un perfetto cacciatore. Non è improbabile che il Puccini venga ad assistere ad una rappresentazione della Manon al nostro Regio. In una lettera indirizzata ad un suo amico di qui, scrive: "Sono ormai stanco di correr dietro ai miei lavori... ma Parma potrebbe decidermi a muovermi." Speriamolo.

 

 

"Gazzetta di Parma" del 26 dicembre 1895

GLI UGONOTTI AL REGIO
Al Regio, ieri sera, per la prima degli Ugonotti il pubblico era assai numeroso. Non era per vero dire molto ben disposto specialmente in principio, ma col procedere dello spettacolo, andò sempre accalorandosi ed ebbe applausi nutriti, generali, schietti al primo atto per il Masin (Raul) che cantò la sua romanza con bella voce, per il paggio signorina Bastia che sfoggiò agilità di gola e prestanza di persona, e per il basso Wanrell Marcello. Nel secondo il successo si andò accentuando. Fu molto applaudita la Martelli - la regina - ed il finale dell'atto - per merito soprattutto della signora Gilboni che emise alcune note di una invidiabile bellezza e potenza - venne ripetuto. Nel terzo il duetto fra il basso Wanrell e la Gilboni ambedue artisti eccellenti - venne anch'esso bissato. Nuovi entusiastici applausi al Masin nel settimino. Bissata pure - non però a richiesta di tutti - la danza delle zingare. Al quarto atto il pubblico si arrese, conquiso completamente. Se la musica dei primi tre atti gli aveva permesso talora di far le pulci all'esecuzione, nel quarto - e più particolarmente nel duetto - e musica ed esecuzione dissiparono ogni incertezza e determinarono il successo sicuro, completo, entusiastico riassunto da quattro o cinque chiamate - a tela calata, cui dovette prender parte anche il maestro Bracale. Il pubblico il quale, pur non rendendosene ragione, ha subito in faccia agli Ugonotti, presi come opera d'arte complessivamente, quel tantino di senso di stanchezza, che emana dalle cose uscite oramai dalla lor cerchia di azione, ritornerà - io ne sono più che convinto - a riudire soprattutto il terzo e quarto atto, e ci si divertirà immensamente riportandone una delle più belle e durature impressioni.
Gli esecutori principali: sono tutti, chi più, chi meno, artisti e cantanti valenti. Fra questi chi aveva il più difficile compito era Raul di Nugis, il tenore Masin, che pochi anni sono cantò già al nostro Regio nel Rigoletto non ottenendo certo in quest'opera quel successo clamoroso che ha meritato ieri sera negli Ugonotti. L'egregio artista ci è ritornato per verità molto migliorato. L'ammirevole freschezza e bellezza della voce che sale con facilità e sicurezza agli acuti che sono limpidi e sonori, il fraseggiare appassionato e caldo fanno di lui in quest'opera un cantante prezioso. Il Masin ha certo davanti a sé il più lieto avvenire e il pubblico ha voluto dimostrarglielo con gli applausi e le chiamate unanimi entusiastiche, soprattutto dopo il quarto atto. Valentina fu la signora Gilboni, un'artista nuova al nostro pubblico ma non nuova ai trionfi. La sua bella, estesa ed intonata voce, la sua efficacia drammatica giustificarono il grande successo che ella ha ottenuto anche fra noi. Fu per merito suo in particolar modo che venne ripetuto il finale del second'atto. Nel duetto con Marcello e nel grande e celebre duetto del quarto atto fu efficacissima sempre, in certi punti veramente ammirabile e strappò a più riprese l'applauso entusiastico pure a scena aperta. Alla Gilboni ed al Masin toccarono gli onori massimi della serata, onori per verità, ben meritati. La signorina Martelli - Margherita di Valois - rese quel difficile secondo atto fatto tutto ad arzigogoli, scoglio di tante gole con grazia, con simpatica voce e con notevole agilità. Fu molto applaudita. La parte del Conte di Nevers - che pare cosa da nulla - è pei baritoni cosa disagevole. C'è poco da sfoggiare ed occorre molta finezza. Al Bellagamba al quale non manca certo la splendida voce e che per la prima volta cantava questa parte il pubblico ha avuto ragione di dedicargli speciali applausi alla scena della spada, oltre a quelli collettivi e accordargli così il suo completo favore. Un buonissimo, un eccellente Marcello il basso Wanrell, un artista che sa cantare che ha voce bella, di notevole e magnifica estensione. Riscosse approvazioni calorose dopo tutti i pezzi principali. Anche il Giovin Paggio - l'avvenente signorina Bastia meritò la festosa accoglienza ricevuta per il canto aggraziato e la voce simpatica. Un Saint-Bris abbastanza lodevole il Rossini. Dei comprimarii buoni specialmente la Giussani, il Cervi ed il nostro Barbieri.
La messa in scena: discreta - Bello solo il (sic) scenario del quarto atto. Costumi... né belli né brutti, né tutti dell'epoca. Ma perché quella corsettina al proscenio nella congiura?
Concertazione: affrettata. Qualche tempo forse troppo stretto, altro troppo lento. Cosa questa da discutersi ma che non toglie nulla al merito del Bracale, oculato e pronto direttore, il quale ha compiuto davvero un prodigio andando in scena con un'opera come Gli Ugonotti dopo pochissime prove. Deficienti i cori, soprattutto per quantità e qualità di voci. Non è colpa del loro ottimo istruttore maestro Gerbella se per Gli Ugonotti è necessaria una massa corale imponente, per numero e per bontà, quale purtroppo a Parma oggi non abbiamo. Del resto son persuaso che pure da questo lato l'esecuzione complessiva migliorerà assai. Anche pei coristi le prove son state davvero pochine. Abbastanza attento il corpo di ballo.
La musica: La freddezza del pubblico in alcuni punti deve attribuirsi anche al tempo che su di essa è passato. Tutto l'orpello dei primi due atti interessa assai poco e non abbaglia più, poiché ad altre luci il pubblico è stato abituato. Il dramma incomincia al terzo atto; e lì l'interesse s'accentua. Al quarto atto trionfa; e la pagina sublime della scena fra Raul e Valentina toglie l'uditore da ogni preoccupazione, estingue ogni senso critico.
Per concludere: un successo completo, pieno, caloroso, entusiastico perfino in alcuni punti. Uno spettacolo che darà certamente degli utili, e che richiamerà al Regio per parecchie sere un pubblico numerosissimo. Alla volenterosa impresa auguro di continuare la stagione così felicemente e brillantemente come l'ha iniziata. Alla commissione teatrale che tanto si è affaticata quest'anno per concludere lo spettacolo, e a pochi giorni dall'apertura del Regio, ha saputo concludere così bene, inviamo vivissimi rallegramenti sicuri di renderci interpreti dei sentimenti di quanti amano aperte le nostre maggiori scene. Ed ora una preghiera alla gentilezza del pubblico: non si chiegga anche per un sentimento di riguardo doveroso verso gli artisti, il bis di tutti quei pezzi - e sono molti che rapiscono e trasportano l'uditorio. Si rifletta alla grandiosità e lunghezza dello spartito capace d'esaurire ugole adamantine. Ieri sera si ebbe nientemeno che il coraggio di chiedere ad alte grida il bis del duetto del quarto atto.


"Gazzetta di Parma" del 12 gennaio 1896

L'AIDA AL REGIO
È già suonata la mezzanotte e non ho voglia di scrivere un lungo articolo. D'altronde, a quale scopo? Si deve parlare ancora dell'Aida? Oppure rifare la cronaca delle Aide di Parma che ebbero quasi tutte il sussidio di una concertazione vigorosa, completa, mancata in parte a quest'ultima edizione? L'impresa ha dato anche al capolavoro verdiano il concorso di qualche bella e superba voce e quello non indifferente di un apparecchio scenico decorosissimo in parecchi punti veramente fastoso, ma non ha potuto dargli qualche prova di più e... qualche artista migliore. Di qui non pochi nei che stenteranno forse a sparire alle successive rappresentazioni, di qui un insieme tale che se non ha impedito gli applausi continuati durante la rappresentazione, ha fatto però mancare allo spettacolo il momento solenne dell'entusiasmo quello che completa il vero successo. Lo avremo stasera? Non sono profeta nè figlio di profeta e lascio volentieri in questo genere di cose, la parola al pubblico. Noto intanto - per scendere e particolari di cronaca che la sala del Regio era ieri sera molto affollata di un pubblico scelto ed elegante, e che i principali artisti il tenore Masin, la Bianchini Cappelli, il Wanrell, il Bellagamba riscossero applausi e due chiamate al proscenio alla fine del secondo e del terzo atto. La Bianchini-Cappelli (Aida) che per la prima volta presentavasi al nostro pubblico - è un'artista da poco tempo in carriera. Ha voce estesa e sicura anche se non sempre simpatica in tutti i registri. Meno dominata dal panico credo potrà fare molto di più di quello che non abbia dato prova iersera. Per il tenore Masin la parte di Radamès non mi sembra delle più adatte. Egli è sempre però un artista tale da levarsi d'impiccio con onore anche nell'Aida. Della sua voce bellissima, specie nel registro acuto, per il quale può temere pochi confronti egli dette prova nei punti più importanti dell'opera. Un Amonasro dalla voce bella ed intonata il Bellagamba, il quale se studierà, potrà riuscire veramente un ottimo artista. Un buonissimo Ramfis il Wanrell. Degli antichi splendori la Zeppilli-Villani conserva ormai più poco. È quindi riescita una Amneris in parecchi momenti deficiente per voce, però sempre scenicamente efficace. Il Rossini è stato un Re degno di lode così pure sono in quest'opera degni di ogni elogio i coristi e il loro istruttore maestro Gerbella. Della concertazione ho già detto che mi è sembrata un po' trascurata ed affrettata. Le scene quasi tutte abbastanza belle. Eleganti e taluni anche sfarzosi i costumi. Stasera seconda dell'Aida.


"Gazzetta di Parma" del 15 gennaio 1896

La nuova edizione dell'Aida colla signora Gilboni ha incontrato il pieno favore del pubblico numeroso accorso ier sera in teatro. L'egregia artista, accolta da un applauso di saluto al suo presentarsi in scena, fu festeggiata dopo tutti i pezzi principali dell'opera, e così dopo le due romanze e in tutto l'atto terzo dove in modo speciale ebbe finezze ammirabili di canto e diede alla sua voce espressione e colorito notevole. Particolarmente per merito suo venne ripetuto fra un uragano d'applausi il duetto col tenore Sì fuggiam. Nuove approvazioni e due chiamate al proscenio alla fine dell'atto a lei, al Bellagamba ed al Masin - che ieri sera cantò meglio delle precedenti rappresentazioni, con più vita, con più forza. Altri applausi e una nuova chiamata alla ribalta alla Gilboni e al Masin dopo il duetto finale dell'opera, consacrarono il successo dello spettacolo. Stasera ancora Aida.


"Gazzetta di Parma" del 26 gennaio 1896

FALSTAFF AL REGIO
LA PRIMA RAPPRESENTAZIONE

La sala

L'aspetto della sala era imponente e costituiva per se sola un gaio spettacolo. Tutte occupate le poltrone e la maggior parte dei riservati, molti i forestieri venuti espressamente dalle vicine città e dalla provincia. Nei palchi brillavano quasi tutte le stelle della nostra high-life in ricche ed elegantissime Toilettes. Chiudendo ora gli occhi e trasportandomi col pensiero nella vasta sala del Regio mi proverò a menzionarne buon numero e perché il compito mi riesca più facile, seguirò l'ordine numerico dei palchi. Confido che le belle signore, sempre cortesi, vorranno perdonarmi le involontarie dimenticanze e gl'immancabili sbagli. Cominciando dalla prima fila scorgo nel palco del R. Commissario due signore, una la cognata del R. Commissario signora Rebucci, l'altra la signora Cavasola, moglie del prefetto di Modena; rammento quindi le signore: Montanari, marchesa Pensa di Marsaglia in nero e rosa insieme alle signorine Elena e Dora Pallavicino, una in celeste, l'altra in rosa, le signorine Solari in bianco e Silvestri in celeste, la sig. Testi, la sig. Frilli, delicata e soave figura, in \bianco e rosa geraneo, la sig. Rasori in bianco, le signorine Albertini; la marchesa Leontina Pallavicino Mossi in una ricchissima toilette bianco e rosa e la di lei cognata marchesa Bianca Pallavicino Terlago in bianco; la graziosissima sig. Lusignani Pecoraro in lilla, le due cognate signore Ferrari, l'una in nero e bianco, l'altra in bianco; pure in bianco, elegantissima, la sig. Prependina Bocchi Marchi, la sig. Lagori colla figlia March. Malaspina, la marchesa Pallavicino Cavriani colle due figlie in bianco; la signora Tocci, una delle frequentatrici del Regio più eleganti, in uno splendido abbigliamento in raso giallo, la sig. Anna Marchi colla gentile figlia in rosa. Nella seconda fila ricordo la signora nob. Pacces colla figlia in bianco e la sig. Bodrio, le gentili signorine Guglielmina e Bianca Marchi in bianco; la marchesa Carrega in nero colla figlia in celeste e la signorina Dodici in rosa; la signora Lombardini colla nipote marchesa Paveri Fontana in una ricca toilette bianco e granato, ambedue appassionate cultrici della buona musica; la contessa Crescini colla giovine e bella contessa Ferretti, la contessa Bice Sanvitale in celeste colla cugina signorina Mina pure in celeste; la signora Thovazzi in nero colla figlia in giallo, la contessa Frigerio e la sig. Nievo, la signora Marchi Volpini colla bionda e incantevole figlia in rosso; la marchesa Ricci in bianco, le signore Corazza in tre diverse elegantissime toilettes. Quindi la signora Ceccherelli, ellenico fiore che conserva tutto il suo profumo di gioventù e bellezza, in broccato bianco e rosa; la signora Melli colla gentile figlia in bianco, la signora Negri Marchi in nero colla leggiadrissima figlia in rosa e bianco, la giovine marc. Orsolina Lalatta, veramente splendida in una ricca toilette di velluto verde con guernizione di fiori, insieme alla marchesa Dosi in nero e rosa e alla cugina signorina Laura Lalatta in un vaporoso abito bianco; la signora Rossi Tubino in nero colla figlia in giallo; la signora Razzetti in una toilette gialla di una ricchezza pari al gusto squisito, in compagnia della bruna e affascinante signorina Ginevra Della Croce in bianco; la sempre elegantissima contessa Leggiadri Gallani in uno splendido abito di broccato celeste e pizzi; la signora Mariotti in velluto rosso; le due belle signore Bassano e Guastalla, la prima in bianco e nero, la seconda in velo giallo; in velluto granato la marchesa di Soragna - che, con piacere vedo ristabilita in salute dopo un'indisposizione, fortunatamente lieve - in compagnia della cugina marchesa di Soragna Taccoli; e infine la signora Martinez Magni in giallo colla leggiadra sorella in celeste, due signore che sebbene io sia stato forzato a citare in ultimo, sono fra le prime per bellezza, cortesia ed eleganza. Molte gentili ed eleganti signore e signorine erano pure nei palchi di terza e quarta fila. Peccato non conoscere il nome di tutte! Ma il proto è già sulle furie ed io debbo lasciare lo spazio a disposizione dell'egregio cronista teatrale a cui incombe un ben più arduo compito.
f.m.

La cronaca della Serata

Tre battute bastano per trasportare tutto l'uditorio all'ambiente, alla scena, in cui si svolgono le bizzarre avventure del pancione. La musica accompagna l'azione, la delinea, la spiega. E di mano in mano che questa si fa interessante cresce nell'uditorio l'interesse per la musica. L'apostrofe sull'onore, efficacissima specialmente per la fedeltà con cui Verdi commenta musicalmente le parole, strappa i primi generali applausi. Il Carobbi nell'interpretazione di questo brano si rivela subito artista intelligentissimo, dotato di voce bella ed estesa. Una chiamata al Carobbi, generale e calorosa chiude la prima parte dell'atto primo. Nella seconda parte la scena del cicaleggio - d'una freschezza e d'una vivacità ammirabile - riscuote scarsi applausi. Silenzio alla scena tra Fenton e Nannetta dove pure vi è fluida e scorrente melodia, e silenzio pure sino alla fine dell'atto che si chiude con la ripresa a più voci della frase enfatica di Alice che già era apparsa alla lettura della lettera di Falstaff. Al calar del sipario scoppiano calorosi applausi e le quattro comari compaiono una volta alla ribalta. Nel second'atto il riso è più sincero. Passa sotto silenzio il duettino tra Quickly e Falstaff che è pure uno dei gioielli incomparabili dell'opera e per l'umorismo finissimo che ne scaturisce e per i saluti motteggiatori e per la sprizzante piccola frase: dalle due alle tre che diviene ancor più comica nelle ripetizioni e quando la mormora l'orchesta. Quando Quickly parte le viole e i violoncelli si esilarano esagerando il saluto di lei: Referenza. A questa splendida pagina musicale ne segue un'altra che non vale certo meno. È il duetto tra Falstaff e Ford che riscuote applausi convinti, entusiastici e che solleva negli spettatori la più sincera ammirazione. L'orchestra in questa scena tripudia in una giuliva imitazione delle monete offerte dal marito al lusingato pancione, ed è ancor più giuliva la giocondità strumentale quando Falstaff promette solennemente la cornificazione di Ford. Anche questo duetto viene eseguito assai bene dal Carobbi, un protagonista degno veramente di plauso, e dal Bellagamba. Segue il monologo di Ford sulla gelosia - dove il Verdi mostra l'unghia del leone - monologo appoggiato in modo particolare e con voluta significazione ai corni. Il Bellagamba dice benissimo la sua parte e si guadagna un lungo applauso. Dopo l'aria di Ford ricompare Falstaff e la prima parte dell'atto secondo si chiude col comico episodio dei complimenti d'uscita reso in orchestra da un motivo elegantissimo di violini che riproducono l'affettazione comica di questi uggiosi complimenti. Il pubblico è conquiso dalla bellezza e finezza di questa musica e chiama i due valorosi interpreti alla ribalta. Tutta la seconda parte dell'atto è pure splendida, magnifica. Dal principio e cioè dal dialogo fra le donne al patatrac finale, è tutta una infilata di scene comiche che conquidono il pubblico. Questo non perde un dettaglio della meravigliosa trama musicale. Caratteristico è il duetto tra Alice e Falstaff duetto che contiene la celebre e deliziosa ballata: Quando ero paggio, un gioiello che ha entusiasmato e che il bravo Carobbi - che lo dice con arte e con grande finezza - ha dovuto cantare tre volte, salutato sempre alla fine da acclamazione entusiastiche. Durante la scena della cesta - che è una delle più belle creazioni di Verdi l'ilarità schietta e gustosa che erompe dal pubblico è all'unisono con la musica. Il finale segna il completo entusiastico successo ottenuto da quest'atto. Le chiamate al proscenio a tutti gli artisti furono due, una delle quali in unione al direttore d'orchestra maestro Bracale. La prima parte del terzo atto passa freddina. Vi campeggia un genere diverso e poi l'uditorio è evidentemente ancora sotto l'impressione grande fattagli dal secondo. Le parole di Alice: avrò con me dei putti ecc. sono accompagnate in orchestra da un finissimo e grazioso lavorio dei violini. Questo brano però è passato sotto silenzio malgrado la Bianchini-Capelli (Alice) lo abbia detto abbastanza bene. Nella seconda parte dell'atto si ha subito il sonetto serenata di Fenton - dolcissima ispirazione melodica. Il pezzo piace assai specialmente alla sentita frase finale colta felicemente da Nannetta. Il tenore Bonci si guadagna un caldo applauso. E così è applauditissima la Canzone delle Fate, nuova indovinata melodia che la Martelli dice con arte e con gusto finissimo. Di qui sino alla fine dell'opera silenzio. Poco gustata la fuga finale. Calata la tela gli artisti sono chiamati una volta alla ribalta. Questa la cronaca esatta e sincera dello spettacolo, dalla quale risulta come tutta l'opera sia complessivamente piaciuta e come il secondo atto abbia ottenuto un successo di entusiasmo e d'ammirazione.

La musica

Ormai sul Falstaff si sono scritti e stampati volumi. Torna quindi superflua una nuova completa disamina dello spartito, per constatare il valore grandissirrio di quest'ultima creazione verdiana. Non è più il caso di parlare a lungo di questa musica giocosa quando è noto a tutti l'entusiasmo e l'ammirazione che ha suscitato nei critici e musicisti più intelligenti, italiani non solo, ma anche esteri. Io non posso che unirmi alle lodi generali a ripetere alla mia volta che la bellezza dell'opera è dal principio alla fine notevolissima, stupefacente addirittura nel secondo atto. Nel Falstaff, Verdi - accusato di volgarità - ha voluto essere di una squisitezza sapiente. In alcuni punti come nel sonetto di Fenton all'atto terzo, come nel duetto tra Fenton e Nanetta, come in tutta la parte di Quickly la squisitezza tecnica assurge all'altezza più aristocratica dell'arte. Il compositore ha pagine magistrali come il quartetto delle donne, tutta la fine del secondo atto e il monologo di Falstaff, e quando vuol ricorrere all'espediente teatrale introduce quella fortunatissima e indovinata cosa che è: Quando ero paggio... E in ogni parte e sempre sbalordisce il magistero pel quale l'orchestra non solo segue e commenta la parola della commedia, ma l'amplifica e la sostituisce. Il movimento orchestrale è fino, delicato, ripugnante a tuttociò che si vuole chiamare ora una concessione al pubblico, è comico infine, essenzialmente comico, quando la situazione lo vuole, quando il libretto lo è. Ho avuta la fortuna di assistere - memorabile serata alla prima del Falstaff alla Scala tre anni sono. Ho risentito l'opera molte altre volte in parecchie riproduzioni in diverse città e sempre e dovunque il secondo atto del Falstaff è stato per me una rivelazione, una sorpresa, un godimento. E pensando che Verdi ad ottant'anni scrive un lavoro così nuovo, così originale, che non solo si stacca dai suoi precedenti, ma che non somiglia neppure a quelli che altri hanno potuto fare in questo genere si prova un senso di ammirazione sconfinata per la vigoria dell'ingegno di questo Grande Vegliardo. Dei tre atti del Falstaff il migliore è dunque il secondo, un vero capolavoro, un ricamo graziosissimo, nel quale la vena comico-musicale si accentua e trasfonde la gaiezza nel pubblico. La prima metà del primo atto è invece di poco interesse. Molto bella la seconda metà gaia, festosa, allegra. Una trovata è la frase melodica finale. Nel terzo atto vi è musica con minore vena comica. Però il sonetto di Fenton, la canzone delle fate, il brano di Alice: Avrò con me dei putti... sono canti di squisita fattura, graziosi, indovinati, bellissimi. Classica la fuga che chiude l'opera, ma di difficile esecuzione e difficilissima ad essere subito afferrata e compresa. In conclusione - il Falstaff è come opera d'arte la manifestazione più originale, più forte degli ultimi anni. Ha forse un peccato d'origine: la scelta del soggetto, per verità non sempre simpatico e comico ed è perciò che questa commedia musicale non diverte sempre e non tien sempre svegli quell'allegria, quel buonumore che prorompe ad esempio al massimo grado nel second'atto.

L'esecuzione

È stata in complesso degna di elogio. Tutti, artisti e orchestra, interpretarono con coscienza d'arte, con amore, con slancio, con cura la nuova opera verdiana e tutti chi più chi meno meritano lode. L'orchestra - che in questo lavoro è parte importantissima ha eseguita tutta l'opera con grande sicurezza e per vero dire l'istrumentale del Falstaff non è di facile esecuzione. Falstaff è Silla Carobbi un cantante che il pubblico di Parma si rammentava di avere udito e di avere accolto con favore anni sono. L'artista però è ritornato a noi più completo, più fine, direi quasi più intelligente. Egli incarna la figura di Falstaff come pochi altri baritoni sanno e possono fare al giorno d'oggi. Ho avuto occasione di sentire in questa parte altri valenti artisti e posso assicurare che sentendo il Carobbi li ho ricordati ma non li ho rimpianti. Egli evidentemente ha studiato con cura grandissima con grandissimo impegno il personaggio, si è assimilato il buono di buonissime interpretazioni ed è riescito con ciò un Falstaff ammirevole. All'arte sapiente del canto il Carobbi unisce una voce baritonale delle più belle, delle più estese. Nessuna meraviglia quindi se ieri sera egli ha ottenuto un clamoroso successo, e se è stato costretto a trissare anche per l'efficacissima e fine interpretazione la famosa ballata: Quando ero paggio. Il Bellagamba - è stato un Ford abbastanza corretto, e colla sua bella voce si è imposto al pubblico ancora una volta e lo ha trascinato all'applauso. Un po' più di comicità, un po' più di lepidezza non sarebbero però fuori di luogo. Il Bonci è riucito un Fenton efficace ed è stato meritamente applaudito dopo il sonetto. Del quartetto delle donne - il gaietto sciame femminile, che cinguetta, corre, saltella, ride, si burla del prossimo sempre con grazia infinita, - mi è soprattutto piaciuta la signorina Martelli, una Nanetta graziosa, sentimentale, affettuosa, cantante ammirevole sempre, e specialmente nella canzone, della Regina delle Fate che essa ha detto in modo stupendo, perfetto. La signora Bianchini è stata un'Alice pregevolissima piena di vivacità, di brio. Anche la Zeppilli-Villani (Quickly) ha fatto del suo meglio per dare alla sua parte il massimo risalto. Ottima Meg la Bastia. Il Rossini, il Bertacchini, il Lovati non guastarono ma avrebbero potuto fare di più. Buona la messa in scena. Scadente il vestiario. Concludendo adunque un'esecuzione complessiva tale da meritare il favore e l'appoggio del pubblico. L'impresario Romiti anche per questa terza opera della stagione ha saputo fare le cose per bene e ci ha allestito un Falstaff, quale non si poteva pretendere migliore date le attuali condizioni del nostro massimo. Ed ora una domanda. Perché la seconda parte dell'ultimo atto non viene eseguita col lumi della ribalta quasi del tutto abbassati? Deve essere notte e la luna sola deve dal fondo illuminare la scena. Stasera alla sua seconda rappresentazione l'opera avrà rinnovato ed accresciuto il successo e piacerà indubbiamente di più, perché le sovrane bellezze sparse a profusione in questo spartito saranno meglio gustate.
s.

La commissione teatrale, il Prefetto, e il Regio Commissario hanno telegrafato ieri sera a Verdi il successo completo ottenuto al Regio dal Falstaff. Anche l'impresario Romiti ha partecipato la notizia del lieto esito al comm. G. Ricordi.

 

 

"Gazzetta di Parma" del 27 dicembre 1896

ANDREA CHÉNIER
LA PRIMA RAPPRESENTAZIONE
La grande aspettativa destata da questo lavoro che viene a noi preceduto da due successi: quello splendido della Scala e quello più modesto ma non meno sincero di Genova, ebbero virtù ad affollare ieri sera in modo enorme la sala signorilmente artistica del nostro Regio. Il teatro era magnifico. Pieni quasi tutti i palchi, non un vuoto nelle poltrone, né nei posti distinti. Platea e loggione rigurgitanti. Non pochi forestieri erano accorsi dalle vicine città e dalla provincia per assistere a questa importante prèmiere. Non voglio per oggi che tener conto dell'andamento della serata, riserbandomi di fare un'altro giorno qualche commento più dettagliato sulla musica di questo Andrea Chènier che ha ottenuto anche fra noi un buon successo. Successo che è cresciuto d'atto in atto, ma che si è sempre mantenuto entro certi confini, lungi da ogni esagerazione. E per questo, tanto più sincero e spontaneo. Nè poteva essere altrimenti perché l'opera presa nel suo insieme è interessante e commovente in sommo grado. Umberto Giordano, questo bisogna riconoscerlo, ha dimostrato buon gusto ed ha avuto la mano felice nella scelta del libretto, libretto che per la grandiosità del soggetto è tale da intimorire un musicista per quanto forte egli sia. Il Giordano non si è lasciato spaventare dalle difficoltà; tutte ha tentato di superarle e se non sempre ha vinto, ha dato però una prova felice delle sue attitudini, un conferma del proprio ingegno. L'opera non ha preludio di sorta. Essa comincia con un allegro brillante sul quale è tramato il parlante degli attori. La musica è poco colorita sino all'arrivo delle pastorelle che hanno un coro magnifico per fattura e soavemente ironico. Il pezzo non è apprezzato al suo giusto valore perché eseguito in modo infelice soprattutto nella chiusa. L'arrivo di Chénier ed il suo bel racconto accalora e riscalda l'ambiente. Il pezzo ha frasi felici e appassionate e il tenore Giannini lo dice assai bene, tanto che un applauso clamoroso del pubblico lo costringe a ripetere l'ultima parte. Durante questo brano apparisce il tema dell'amore di Chénier per Maddalena. Uscito Chénier comincia la scena finale dell'atto su un grazioso movimento di gavotta, interotto quasi subito dall'arrivo di Gerard con Sua Grandezza la Miseria. Il contrasto fra le danze e l'arrivo di questi affamati non è molto evidente. È questo anzi, a mio avviso, un momento musicale poco indovinato e felice. L'atto termina colla ripresa della gavotta e la tela cala lentamente. Il pubblico rimane silenzioso. Il secondo quadro pieno di indiavolato movimento nel libretto, deve aver costato fatica grande al Giordano. Tutta la prima parte dell'atto è un dialogato che si sviluppa sopra un lavoro orchestrale elaborato ma non espressivo. Sapiente è lo svolgimento del Ça ira, canto caratteristico della rivoluzione, opportunamente usato dal maestro e che accompagna il passaggio della carretta dei condannati. Il pubblico continua a mantenersi freddo e silenzioso. Solo il duetto fra Chénier e Maddalena - dove il tema dell'amore, frase efficace e melodica, ha il suo completo svolgimento - riscuote alquanto gli spettatori che applaudono il Giannini e la Sedelmayer e chiedono il bis del pezzo, bis che non è concesso. La Sedelmayer canta la sua parte con fascino passionale, con voce simpatica, intonata, sicura. Questa bravissima artista è subito meritamente apprezzata. Il finale dell'atto un po' confuso e poco grandioso, non è applaudito. E cade la tela una seconda volta senza che il pubblico si scuota. Il terzo quadro che è il più importante di tutti e che contiene situazioni tecniche splendide, interessa moltissimo. Qui la musica è quasi sempre felice e caratteristica, cupa e impressionante. L'episodio doloroso della cieca Madelon che offre alla patria l'ultima goccia del suo vecchio sangue è commovente in sommo grado e la situazione è rivestita di musica addatta. Altri episodi e particolari riusciti sono il canto interno della Carmagnola, l'inno popolare dell'epoca e il cinico discorso dell'Incredibile. Apprezzato ed applaudito è il baritono Casini nel lungo e faticoso declamato e nella scena con Maddalena. In questo duetto e soprattutto nello splendido arioso la Sedelmayer ottiene un vero trionfo. Ed invero non si potrebbe dire e cantare in modo migliore questa pagina commovente di musica. Ma la situazione incalza e l'interesse si fa grandissimo. Tutta la scena del giudizio, l'apostrofe di Chènier, la difesa di Gèrard, il passaggio delle reclute, le grida irose e forsennate del popolo costituiscono un assieme di momenti vigorosi per verità di riproduzione. La musica commenta ma non aggiunge certo gran che alla grande teatralità di questo quadro.
Dopo l'addio staziante di Maddalena e dopo il finale di grande effetto, al calar della tela il pubblico acclama gli esecutori, che compaiono due volte al proscenio una delle quali - ben meritata - in compagnia del bravo direttore d'orchestra maestro Zuccani al quale il pubblico fa una vera ovazione. L'ultimo quadro si svolge nelle prigioni di S. Lazzaro. La prima scena ci presenta una pregevole e felice ispirazione nel canto di Chènier: Come un bel dì di maggio che si chiude accompagnato all'interno dalle note della Marsigliese cantante da Mathieu. La seconda scena importante è il duetto finale, una pagina di musica ispirata, appassionata, piena d'anima e di cuore. Questo duetto veramente bello piace moltissimo, ma gli applausi che riscuote sono coperti dal finale grandioso dell'opera. Alla fine applausi clamorosi e generali richiamano al proscenio la brava Sedelmayer ed il Giannini.
Questa la cronaca vera ed esatta e le prime impressioni della serata. La musica del Giordano è in complesso melodica assai, nei momenti lirici assume espressione efficace per quanto non sia negli spunti melodici fresca e originale. È però sempre - ed è questo il suo massimo pregio teatrale; ed anzi la concisione, per la varietà dei coloriti e la giusta quadratura dei pezzi rivela il vero operista. Nell'orchestrazione, che è però talora troppo pesa ed esuberante, troppo magniloquente e ampollosa - ci sono molte cose buone, impasti strumentali felicissimi. Con tutto questo non nascondo che un gran merito nel successo di questo dramma musicale spetta al librettista per le felici e drammatiche situazioni presentate, situazioni che non sempre hanno avuto musicalmente la vera espressione. Il musicista non è stato in complesso, almeno questa è l'idea che mi sono io pure formata, all'altezza del soggetto. Ciò non toglie e non esclude che l'Andrea Chèrnier, senz'essere un capolavoro, non sia un dramma musicale degno di elogio, degno della fortuna che ha incontrato e degno del successo che ha ottenuto anche fra noi. Umberto Giordano è una grande speranza per l'avvenire dell'arte musicale. L'esecuzione tanto dell'assieme, che dei particolari fu abbastanza buona. I cori maschili andarono meglio che i femminili. Questi ultimi lasciarono non poco a desiderare soprattutto nel primo quadro, e questo certo non per colpa di mancata istruzione, ma per deficienza di voci soprane nelle nostre coriste. Scenario decoroso e di effetto e più che decoroso il vestiario dell'atto primo. Fedelmente storici quelli per gli altri quadri. Ben combinati e discretamente spigliati i movimenti delle masse; molto di di più certo di quanto non si sia soliti vedere nei nostri teatri. L'orchestra suonò con molto slancio e con molta cura. Il direttore Zuccani ha certo compiuto un vero miracolo nell'avere allestito in così poche prove un'opera dell'importanza e dell'impegno dell'Andrea Chénier. Le sue fatiche non sono state infruttuose, e il pubblico gli ha manifestato ieri sera la sua incipiente e già forte simpatia con quel caloroso applauso che lo ha voluto al proscenio dopo l'atto terzo. Ed infatti egli ha dato una prova, un saggio completo della sua non comune valentia. I coloriti, la fusione, e le delicatezze e le impetuosità orchestrali furono tali da soddisfare censori ben severi.
Il tenore Giannini Grifoni mette tali finezze d'arte e tanto colorito e tant'anima nell'interpretazione della parte del protagonista, da farsi perdonare quella lieve deficienza di mezzi che in qualche momento si avverte. Il Giannini ha voce di timbro gradevolissima, è artista intelligente fornito di ottima scuola e canta come pochi tenori del giorno possono cantare. Il pubblico ha compreso di trovarsi davanti ad un vero artista e lo ha molto applaudito, specialmente dopo l'arioso dell'atto primo, pezzo in cui si volle, _ come dissi, il bis. Il Casini (Gérard) ha magnifiche note medie, deboli invece gli acuti, intonazione giusta, efficacia drammatica nel canto e nel gesto. Anche questo artista fu pure applaudito. Ho tenuto per ultimo la signorina Sedelmayer quella che si può dire essere stata la trionfatrice della serata. È una cantante giovanissima che ha voce sicura, estesa, facile calda ed insinuante. Canta con espressione e sentimento che trascina all'applauso e che commuove. La parte di Maddalena ha avuto per merito suo un'interpretazione efficacissima per canto e per azione. Gli applausi più clamorosi della serata furono per questa artista alla quale sorride sin d'ora uno splendido avvenire. Molte sono le altre parti dell'opera e tutte di responsabilità. Nessuno ha guastato. Bene il basso Bellusi, dalla voce potente e gradevole, l'Akermann nella parte della cieca Madelon, il baritono Viale, un caratteristico Mathieu. Discretamente il Lovato, il Barbieri, la Fanelli. In complesso uno spettacolo degno del nostro Regio, e meritevole della più grande fortuna. Stasera seconda rappresentazione.
S.


"Gazzetta di Parma" del 12 gennaio 1897

Ieri sera al Regio prova generale del Sansone e Dalila. Assisteva allo spettacolo una folla grandissima di invitati che mostrò di gustare e di apprezzare grandemente la musica splendida del Saint-Saëns. Sull'esecuzione vocale invece sollevò qualche... dubbio e mentre ebbe per alcuni artisti approvazioni calorose, ebbe pure energiche disapprovazioni per il cantante che sosteneva la parte di Sansone. Al second'atto dell'opera il pubblico incominciò a perdere quella pazienza di cui aveva dato prova durante la rappresentazione del primo. Al terzo, a un canto isolato del tenore le disapprovazioni si sono fatte più insistenti, tanto che l'artista dopo avere augurata la buona sera al pubblico si è ritirato fra le quinte. Un nuovo e generale charivarì ha richiamato alla ribalta il Sansone il quale ha tentato di dichiarare che al momento delle ultime disapprovazioni il suo canto non era stonato (!!), che la sua voce era quella, che se lo volevano sentire bene, se no... buona notte a tutti! Naturalmente il pubblico ha continuato a protestare, fino a che un membro della commissione ha dichiarato da un palco di proscenio, che l'artista sarebbe sostituito. Di poi continuò la prova senza Sansone e senza altri notevoli incidenti. Il caso di ieri sera meritava di essere narrato perché nuovo negli annuali teatrali. Il pubblico nostro ha avuto il torto di protestare in così malo modo ad una prova generale, ma l'impresa e la commissione hanno anch'esse troppo arrischiato nel presentare, sia pure ad una prova, un simile cantante. Auguriamoci ora che il nuovo Sansone sia tale da soddisfare le giuste esigenze del pubblico, sia cioè un protagonista degno dello splendido lavoro del Saint-Saëns.
S.


"Gazzetta di Parma" del 17 gennaio 1897

SANSONE E DALILA
L'autore.
Camillo Saint-Saëns è ormai un pezzo grosso. Come organista e come pianista è in prima fila. E come compositore è reputato il più dotto e il più forte, di quella scuola che in Francia si seguita a dir giovine, malgrado quasi tutti i componenti sieno in avanzata età. Il Saint-Saëns pure ha oltrepassata la sessantina essendo nato a Parigi il nove ottobre 1835. Narrano i suoi biografi che egli cominciò a studiare il pianoforte non avendo ancora tre anni. Ebbe a maestro lo Stamaty e nel 1846 suonò applauditissimo in più di un pubblico concerto. Studiò l'armonia, il contrappunto e la composizione coll'Halevy e a sedici anni scrisse un'applaudita sinfonia. Vennero dopo diverse composizioni per pianoforte, quartetti, romanze, pezzi per orchestra quali Phaéton, Omphale, Danse Macabre ecc. Quest'ultima venne anche eseguita a Parma nel famoso concerto dato dalla nostra orchestra diretta da Cleofonte Campanini, prima che questa prendesse parte al concorso di Torino del 1884. Il Saint-Saëns scrisse in seguito opere teatrali: La princesse jaune, Le Timbre d'argent, Samson et Dalila, Etienne Marcel, Henri VIII, Proserpine e Ascanio. L'Enrico VIII venne pure rappresentato alla Scala di Milano due anni fa dove ottenne un esito freddissimo. L'opera sua che più di frequente vien messa in scena in Italia è il Sansone e Dalila che Milano, Firenze, Genova, Torino hanno avuto la fortuna di sentire e di applaudire.
La musica.
Anche Parma ha potuto ieri sera dare il suo giudizio su questo geniale lavoro dell'illustre musicista francese, e non ha fatto che riconfermare e riconoscere che la musica del Sansone e Dalila è bella, quasi direi, da cima a fondo e quella di tre o quattro pezzi degna di un grande compositore. Il Saint-Saëns si è ispirato più al soffio grande di poesia che emana dal potente poema biblico, che non agli infelici versi del signor Lemaire, ed ha saputo scrivere della musica sapiente ed elevata, or felicemente delicata, or potentemente drammatica, ed il Sansone è riuscito un lavoro sincero e profondo di un severo innamorato dell'arte sua. Per quanto l'opera sia stata scritta poco meno d'una trentina d'anni fa, pur tuttavia essa non risente che in pochissimi pezzi, in cui spunta l'antica cadenza, l'ala del tempo. Essa è stata composta senza preoccupazioni di sistemi e di scuole ed è per questo che lo stile del Saint-Saëns è speciale e caratteristico. Canti all'italiana, recitativi alla Mayerbeer, motivi conduttori alla Wagner, tutto così bene cementato, così originale nell'ispirazione da conquistare qualsiasi pubblico e costringerlo all'ammirazione più grande. Assistendo alla rappresentazione del Sansone si subisce in certi momenti un vero fascino, fascino che solo esercitano i veri capolavori. L'atto primo incomincia con poche battute d'introduzione. Rimarchevole subito è il disegno istrumentale che accompagna i gemiti degli Ebrei, che - ancora a sipario calato - rivolgono a Dio la loro dolorosa preghiera. Si alza la tela e il coro intuona un fugato di una nobiltà e chiarezza meravigliosa. Il declamato di Sansone e il dialogare del coro sono di grande imponenza che ramenta nel motivo orchestrale il fare di Mayerbeer e di Rossini del Guglielmo Tell. Su una frase dei violoncelli e contrabassi entra Abimelecco, il satrapo di Gaza che minaccia gli Ebrei, onda vile di schiavi. L'invocazione successiva di Sansone con quelle scale ascedenti caratteristiche che descrivono la sua visione, è ricca di movimento marziale, di entusiasmo. Il preludio alla sortita dei vecchi e delle donne ebree, che innalzano a Dio l'inno di esultanza, a voci scoperte, è pieno di dolcezza. Il coro che precede la sortita di Dalila, su un accompagnamento elegante, grazioso è leggiadrissimo, una vera perla, un vero profumo. Il terzetto fra Sansone, Dalila e il vecchio ebreo è melodico assai e contiene particolari orchestrali assai felici. Le danze delle sacerdotesse filistee hanno un colore orientale indovinato, un'eleganza, una finezza tale da non essere certo facilmente superate. Il primo canto di Dalila è una melodia larga, su una frase orchestrale deliziosa, con una cadenza che rammenta il poemetto di Gounod: La biondina. L'atto termina con nuovi mistici accordi gounodiani. Il breve preludio dell'atto secondo accenna già al tema del temporale. La prima parte di quest'atto è musicalmente pregevole ma di scarso interesse. Il duetto fra Dalila e il Gran Sacerdote è di vecchia forma italiana, troppo prolisso, troppo invecchiato. Invece il duetto d'amore è ricco d'idee e di passione. Comincia con un calore tutto italiano e contiene un frase tanto ispirata che basterebbe da sola a far la fortuna di uno spartito. L'istrumentale è ricco di episodi vaghissimi. Il canto è voluttà e passione, e il duetto risulta così una delle pagine più smaglianti, e più efficaci di musica erotica. La tempesta che accompagna, interrompe il duetto e continua fino alla fine dell'atto è fatta con tale scienza musicale da meravigliare. Nel preludio dell'atto terzo sopra un disegno uniforme imitativo del rotear della macina si riode il tema fugato del primo atto, allusivo alla rovina degli Ebrei. Il lamento di Sansone improntato a somma tristezza è interrotto da un tratto di musica descrittiva. La seconda parte dell'atto che avviene nel tempio di Dagone è pure piena di calore e colore. Ritorna da principio il coro delle donne filistee del primo atto ma coll'aggiunta delle voci maschili. Le danze che seguono sono semplicemente splendide e per soavità e per eleganza e costituiscono da sole un lavoro poderoso e in sommo grado interessante. Vi spiccano certi impasti istrumentali originali e strani, ma sempre graziosi e simpatici. Nella gran scena finale quando Dalila si avvicina a Sansone per deriderlo e schernirlo si odono brani di frasi del duetto d'amore. I due soggetti del pezzo finale si avvicendano, si sovrappongono, si spezzano con una furia incalzante e una scienza che solo i classici posseggono. Il motivo "gloria a Dagone" un po' trivialuccio è però condotto con tutti gli artifizi contrappuntistici e con tale sviluppo armonico da produrre un effetto grandioso. Nuovi per effetto i vocalizzi ascendenti dalla donna. Cessa per un momento la cerimonia orientale e Sansone rivolge a Dio l'ultima sua preghiera, abbranca le colonne del tempio che in mezzo a un urlo dei filistei crolla, tutti seppellendo sotto le sue rovine. Con un fortissimo dell'orchestra l'opera finisce. Dopo questo esame è inutile aggiungere che ogni serio artista e ogni intelligente considera il Sansone e Dalila come una vera e forte opera d'arte nella quale è soprattutto da ammirare la sapiente fattura armonica, contrappuntistica e strumentale, le idee sempre belle ed efficaci, la squisitezza e la soavità di alcuni particolari, veri modelli magistrali di sapienza e di buon gusto. L'istrumentazione è certo fra le più complete che si conoscano. In essa non vi è nè squilibrio, nè preponderanza dell'uno o dell'altro istrumento, ma un'euritmia, una leggerezza e insieme una pienezza ammirevole. Questi i pregi principali dello spartito che, rappresentato ieri sera al nostro Regio, ha suscitato larga e sincera ammirazione negli esperti e nei buongustai, per quanto la massa del pubblico non abbia potuto apprezzare le bellezze dell'opera causa la deficente esecuzione.
La cronaca della serata.
Teatro non affollatissimo. Pubblico scelto ma abbastanza irrequieto. Il primo atto passò in silenzio sino all'aria: aprile foriero che lo chiude. L'arte ed il sentimento della Borlinetto ottennero il primo prolungato applauso. Calata la tela, due chiamate agli artisti, una delle quali in unione al maestro Zuccani. Al secondo incominciano le dolenti note. Il tenore Bertini un po' per il panico, un po' per le sue gravi deficenze di voce, suscita le prime disapprovazioni che diventano energiche verso la fine del duetto in mezzo all'imperversare caratteristico del temporale. La Borlinetto pur tuttavia continua imperterrita e l'arte affascinatrice del suo canto appassionato e corretto, le procura frequenti approvazioni. Calata la tela i fischi continuano. All'atto terzo si commette il primo grave errore, per chi, conoscendo il pubblico di Parma, in simili momenti ha la difficile direzione delle cose teatrali. Si tenta di omettere tutto il primo quadro senza avvertire il pubblico il quale naturalmente e giustamente protesta. Esce, non in abito nero, l'impresario Cecchetti che tenta ma non riesce a farsi capire. Calato quindi il sipario egli si presenta di nuovo annunziando un'indisposizione del tenore (secondo errore della serata!). I fischi continuano. Allora l'atto ricomincia dal suo primo quadro ed il pubblico, paziente, lo lascia terminare. Alla fine dello spettacolo nuovi fischi assordanti e grida di abbasso la Commissione!
Gli artisti
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Dire di più del tenore Bertini, dopo quanto è accaduto sarebbe ingenerosità. La Borlinetto una formosa e splendida Dalila per figura e portamento, si è anche addimostrata cantante, sempre buona, spesso squisita, e artista intelligentissima. La parte di Sommo Sacerdote non mi è sembrata troppo addatta ai mezzi del baritono Casini. Ad ogni modo egli è buon cantante ed ha saputo farsi valere. Discreti i re filistei e buono il Bellusi nella sua duplice parte. L'orchestra per quanto non troppo numerosa specialmente negli archi, ha suonato con attenzione e con impegno tutta l'opera. Il maestro Zuccani è riuscito a far risaltare tutti i coloriti, i contrasti, le sfumature del geniale spartito. Egli ha dedicato all'opera del Saint-Saëns tutto sé stesso e certo i migliori elogi, anzi gli unici elogi veramente e totalmente meritati della serata spettano a lui. I cori, date le difficoltà grandi della tessitura dello spartito, non potevano andare meglio, il maestro Franzoni ha lavorato anche esso con coscienza ed amore contribuendo così a rialzare la nostra massa corale che nel Chénier aveva dato prove alquanto allarmanti. Il corpo di ballo, complessivamente, caso raro, bello e disciplinato. Scene assai scadenti. Buoni invece i costumi e le decorazioni.
La morale.
Se dalla cronaca si potesse trarre una morale, essa sarebbe questa: Gli errori o presto o tardi si scontano. Si è accettato un cartellone coll'opera Sansone e Dalila senza il nome di un sicuro protagonista. E questo fu lo sbaglio. Oggi le sorti della stagione sono scosse alquanto, non le credo però disperate. Il Sansone è opera poderosa che al nostro pubblico deve indubbiamente piacere. Trovare un altro tenore sarà difficile, ma non è però impossibile. I signori della commissione pensino alla revanche e sarò ben lieto di tributare ad essi quelle lodi che oggi assolutamente non si meritano.
S


"Gazzetta di Parma" del 20 gennaio 1897

LA SECONDA DEL "SANSONE E DALILA"
La seconda rappresentazione del Sansone e Dalila - edizione riveduta e corretta ha ottenuto ieri sera al Regio pieno ed incontrastato successo. Il nuovo tenore signor Giovanni Dimitresco possiede quasi tutte le doti per estrinsecare il personaggio biblico. La sua voce è robusta, forte, splendida negli acuti, il suo canto è animato, espressivo, la sua azione corretta ed efficace. Interpretò bene tutta la parte, e cantò magnificamente alcuni brani, riscuotendo frequenti e clamorose approvazioni. Il monologo dell'atto terzo - una pagina di musica piena di vera tristezza - egli dovette ripeterlo fra entusiastiche acclamazioni, tanto il suo canto fu insieme appassionato e potente. Con lui divise gli onori della serata la signora Borlinetto; una Dalida calda e affascinante per voce e per mimica inappuntabile. Ottimo il Casini, che si è fatto come sempre rimarcare per un cantante di ottima scuola e di non comune valore. Buono il Bellusi e tutti gli altri. I cori, meno qualche lieve incertezza in sul principio, andarono poi sempre bene e sicuri. Il direttore d'orchestra maestro Zuccani che ha concertato lo spettacolo ha dato notrita prova della sua grande capacità. L'orchestra sotto la sua bacchetta ha suonato con anima, con slancio e ogni colorito e sfumatura ebbe il giusto rilievo. Il pubblico ebbe per tutti questi esecutori grandi e frequenti applausi e la musica splendida dello spartito venne gustata non solo dagli intelligenti e dai buongustai ma anche dalla gran massa degli spettatori. Noto per la cronaca che vi furono moltissimi applausi al primo atto alla sortita del tenore e alla romanza ultima di Dalila O aprile foriero. Calato il sipario alcune chiamate al proscenio alla Borlinetto, al Dimitresco, al Casini al maestro Zuccani. Al secondo frequenti approvazioni interrompono lo splendido duetto fra Sansone e Dalila. Alla fine nuove chiamate al proscenio agli artisti. Al terzo si chiede a grandi grida il bis del monologo di Sansone, bis che è concesso e che procura al Dimitresco nuovi e prolungati applausi. Interessamento grande per tutta la seconda parte dell'atto. Calata la tela, il pubblico non si stanca di applaudire e vuole più volte al proscenio la Borlinetto, il Dimitresco, il Casini e il direttore d'orchestra Zuccani. In complesso uno splendido e meritato successo, uno spettacolo degno d'ogni più grande fortuna, fortuna che non può e non deve mancare perché la musica di Saint-Saëns è da se sola tale un poderoso lavoro da restarne ammirati e l'esecuzione è tale nel suo insieme da farne risaltare tutte le straordinarie bellezze. L'impresa e i signori della commissione si sono procurati con la nuova scrittura quella revanche che loro auguravo e sono ben lieto di potere per questo tributare ad essi lodi incondizionate. Stasera terza del Sansone e Dalila. Sono certo che un pubblico numeroso accorrerà al Regio ad applaudire questo geniale lavoro dell'illustre musicista francese. Spero pure che durante il temporale del secondo atto sarà più frequente, di quel che non sia stato iersera, il lampeggiare!
S.


"Gazzetta di Parma" del 4 febbraio 1897

MANON
OPERA IN 5 ATTI DI GIULIO MASSENET
La musica.
L'opera comincia con un preludio dove ricorrono i vari temi principali caratteristici dello spartito. S'alza la tela. Notevole subito per il suo brio e la sua sonorità il coro dei postiglioni, facchini e viaggiatori. Manon scesa dal cocchio narra a suo cugino le peripezie del viaggio. Il racconto è bello e ben fatto, pieno di grazia e di seduzione e quasi direi che dalle note di quest'aria già traspare come Manon mal si sottometta alla prossima chiusura in convento. L'arioso di Lescaut le movenze di una eleganza rara e il monologo di Manon: Or via non più chimere è pure ispiratissimo, simpatico, pieno di languore. Si innalza poi un largo canto dei violoncelli. È Des Grieux che entra. Segue il primo duetto d'amore fra Manon e Des Grieux, in cui la musica è finemente elaborata, spontanea, schietta. Il duetto è tutto un dialogo amoroso dei più affascinanti e indovinati. Qui si sente per la prima volta l'elegante motivo d'amore, motivo predominante dello spartito. L'aria "A Parigi ne andrem" è di effetto, per quanto un po' volgaruccia. Al punto di risoluzione del duetto c'è nelle note di Manon una trovata musicale, svelta e piacevole, che è di per sè una pennellata squisita al ritratto musicale della affascinante protagonista.
Il second'atto contiene nuove e splendide bellezze. Il dialogo tra Manon e Des Grieux è di finissima fattura. La musica ha slanci di tenerezze ineffabili. Un pezzo magnifico, ricco di dettagli orchestrali e insieme di una semplicità e chiarezza pregevole è il quartetto che segue, in cui Lescaut accompagnato da Bretigny travestito da guardia va a domandar ragione al cavalier De Grieux del ratto di sua cugina; e chiedere una riparazione all'onore della famiglia. L'aria di Manon: "Addio, addio, o nostro picciol desco" è una melodia finissima in cui le note paiono lagrime e singulti e che riproduce con grande efficacia l'intimo turbamento dell'infelice protagonista. Segue poco dopo il sogno di Des Grieux una pagina di strumentazione delicata e aristocratica che impressiona e conquide, e che si svolge sovra un tenue movimento degli archi con sordine. La tela cade sul ratto di Des Grieux, mentre in orchestra riappare come estremo saluto il motivo predominante del duetto d'amore.
È nel terzo atto, allorché Manon va in cerca di Des Grieux che per il di lei abbandono si era rifugiato in un chiostro, che Massenet tocca con commovente sentimento la più intensa passione. Il coro delle devote - coro vivace, scintillante, mirabile - è un vero gioiello; diviso a quattro gruppi che cantano or separati, dialogando, ora uniti, è quel che suol dirsi una trovata. Da questo punto alla fine è un succedersi di bellezze. Bello l'arioso del padre, per quanto questa scena sia inutile; appassionato il cantabile di Des Grieux "Dispar, vision!"; splendida l'invocazione di Manon alternata col Magnificat, un brano che suscita la più profonda emozione. E ci troviamo alla gran scena al gran duetto, che ha sollevato a rumore ogni pubblico. Manon rivuole l'amante, gli implora il perdono e lo rapisce. La frase "Non è la tua mano che mi tocca" è di una seduzione indicibile e tutto il duetto è un pezzo ammirevole sotto ogni rapporto, un duetto in cui gli appelli all'amore sono così febbrili, così energici, così appassionati, da affascinare non pure il titubante cavalier Des Grieux, ma il pubblico intero. E l'atto termina con una potente perovazione orchestrale sul tema dell'amor trionfatore. L'atto seguente o meglio la seconda parte dell'atto terzo è ingegnosa e complicata, ma è senza dubbio la meno felice dell'opera e quella che meno soddisfa. Questa parte è preceduta da un intermezzo - che non è poi in fondo che il minuetto graziosissimo, leggiadro, esemplare di purissimo stile, che si trovava nella prima parte dell'atto terzo della Manon originale. Tutta la scena del giuoco non è proprio gran che. Il concertato finale è a frase larga, sentita, di gran sentimento, ma di stampo più che antiquato. Anche l'apparizione del padre di De Grieux non mi soddisfa. Mi fa l'effetto di dover sentire da un momento all'altro il famoso: Dov'è mio figlio?.
L'ultimo atto invece è dei più ispirati ed efficaci dell'opera e si riassume in una grande scena d'amore, l'ultima fra Des Grieux e Manon. Massenet in questo duetto finale ha raggiunto una forza d'espressione che trascina, commuove, invade l'anima. I due amanti ricordano tutti i momenti più salienti della vita loro, e il maestro rammenta e richiama tutte le ispirazioni a lui suggerite dagli episodi di quel pietoso e grande affetto. Des Grieux ricorda alla povera morente le estasi passate e lo fa colla stessa ineffabile melodia di Manon: "Non ha per me più baci la tua bocca?" Ed è stupendo il ricordo, appena accennato dall'orchestra dell' "Or via, Manon, non più chimere" del primo atto su cui ella muore, dicendo, come riepilogo di tutte le loro ricordanze: "Questa è la storia di Manon Lescaut!" Des Grieux si abbandona sul corpo dell'amante sua, mentre l'orchestra ripiglia fortissimo il tema della seduzione che fa in quel momento un'impressione dolorosa. Giulio Massenet con questa sua Manon è diventato, si può dire, popolare in Italia. Anche Parma che mal seppe digerire Il re di Lahore a torto perché anche in quest'opera le bellezze sono sparse a profusione e tutto rivela l'eletto artista - ha accolto con grande favore le dolcissime melodie di Manon. L'intero spartito è una storia d'amore rivissuta musicalmente, è un gioiello tutto adorno di freschezza, di leggiadria; bello ed elegante per magistero di istrumentazione e per squisita e signorile semplicità di melodie. In orchestra è tutto un delicato ricamo, nessuna concessione alla volgarità rumorosa se non forse nel finale del quarto quadro, un ricamo che accarezza e delizia continuamente l'orecchio. In complesso un'opera pregevolissima destinata a trionfare ovunque e sempre. Naturalmente i confronti sono odiosi, ma ieri sera da tutti in teatro si paragonavano le due Manon. A noi sembra che l'una e l'altra abbiano diritto alla considerazione e all'ammirazione del pubblico. I due musicisti, l'italiano ed il francese, hanno musicato la storia di Manon Lescaut secondo le loro tendenze e i loro gusti e mentre l'uno, il Puccini, ha drammatizzato e resa più teatrale, ma forse un po' infedele la figura della protagonista, l'altro il Massenet, ha conservato nella sua musica tutta la sentimentalità del romanzo.
La cronaca della serata
Teatro affollatissimo di un pubblico elegante e distinto. Dopo il primo atto arrivò anche l'ex-ministro francese Bourgeois che prese posto in un palco di proscenio a destra. Poco dopo le 20,30 il maestro Zuccani attacca le prime note del preludio il quale è ascoltato in silenzio, ed accolto alla fine con qualche applauso. Poi silenzio di nuovo sino alla predica di Lescaut dove il baritono Casini fila magnificamente una nota e riscuote approvazioni. Applausi non generali all'aria di Manon: Or via non più chimere. Il primo duetto d'amore è ascoltato con grande attenzione. Alla fine dell'atto la Sedelmayer, il Giannini, il Casini sono chiamati due volte alla ribalta, una delle quali in unione al maestro Zuccani. Nel secondo atto il bellissimo quartetto fra Lescaut, Des Grieux, Bretigny e Manon, causa la cattiva esecuzione - non fa alcun effetto, anzi il pubblico dà segno del suo malcontento. Applauditissima la Sedelmayer dopo l'addio al desco e il Giannini dopo il sogno.Alla fine nuove chiamate alla ribalta, ma meno clamorose di quelle del primo atto. Comincia il terzo col cicaleccio delle devote. Il coro è eseguito bene e piace moltissimo. Si applaude, come si applaude pure nella scena con Des Grieux il bravo Bellusi. Tutto il duetto della seduzione fa un effetto grandissimo e il pubblico prorompe alla fine in approvazione e chiama al proscenio più volte la Sedelmayer ed il Giannini. Si vuole anche il maestro Zuccani. Il preludio - minuetto dell'atto 4, eseguito splendidamente entusiasma il pubblico e vien fatto ripetere. Il valente maestro Zuccani è costretto più volte a ringraziare. L'atto non riscalda l'ambiente. Alla fine però altre chiamate non generali nè entusiastiche. Piace molto l'ultimo atto. Commovente è la morte di Manon e alla fine dell'opera il pubblico acclama gli esecutori. Come apparisce da questa cronaca condensata il successo dell'opera è stato buonissimo. La musica è piaciuta indistintamente a tutti ed è stata giudicata ricca di peregrine bellezze.
L'esecuzione
Non priva di mende e di difetti. Nel second'atto, in modo speciale, vi sono in palcoscenico incertezze e dissonanze assai gravi, incertezze che credo scompariranno in gran parte nelle sere venture quando gli artisti non saranno più invasi dall'orgasmo di una prima rappresentazione. Manon è la signorina Amelia Sedelmayer. Il grande e meritato successo ottenuto da questa artista nel Chénier, al quale per parte mia aggiungo anche l'interpretazione squisita del personaggio di Musette nelle Bohème - aveva fatto nascere nel pubblico una grande aspettativa, aspettativa che, forse, non è stata del tutto soddisfatta. Non che la signorina Sedelmayer non abbia tutta l'intelligenza per poter fare Manon, ma questa parte come Carmen, ha bisogno di essere creata, specializzata, se così posso dire, e la signorina Sedelmayer per quanto abbia studiato con impegno ed amore il personaggio, non è riuscita ancora quella Manon che il pubblico, date le tante promesse, si aspettava. Del resto ella è così giovane che l'aver saputo affrontare con successo una parte così drammaticamente e musicalmente difficile è già prova di ingegno vigoroso e felice. Essa fu vivamente applaudita ed ebbe campo in più di un punto di mettere in evidenza tutte le sue doti di ottima cantante destinata ad invidiabile e fortunata carriera. Des Grieux è il tenore Enrico Giannini anche esso tanto applaudito nell'Andrea Chenier. Artista intelligente ed accurato nei brani più importanti dello spartito ha saputo farsi apprezzare per la dolcezza e l'espressione del suo canto e per l'efficacia dell'interpretazione. Un Lescaut corretto ma poco caratteristico il baritono Casini che ebbe finezze di dizione notevolissime. Buon Bertigny il Viale dalla voce simpatica. Buonissimo il Bellusi, a posto in questa, come in tutte le parti - e son già parecchie - in cui l'ho sentito sin qui. Anche il Masini nelle vesti di Monfortaine ha fatto del suo meglio ed ha fatto benino. Appena discreti gli altri. I cori continuano a percorrere la strada della riabilitazione. Ieri sera andarono abbastanza bene. Benissimo le donne nel cicaleccio delle devote. Una lode perciò, lode meritata veramente, al loro istruttore maestro Gerbella. L'orchestra ha guadagnato una nuova vittoria. È stata disciplinata, attenta, ha suonato con slancio ed impegno ed ha dovuto ripetere - unico bis della serata - il bellissimo preludio dell'atto quarto. Il maestro Zuccani fu parte essenziale nel successo di ieri sera e ben a ragione il pubblico lo volle alla ribalta dopo il primo e terzo atto e lo applaudì con entusiasmo dopo l'esecuzione del minuetto. Egli dà alla Manon qualche cosa di più del suo consueto valore; l'opera di Massenet egli la dirige, quasi direi, con affetto. E naturale adunque che ottenga così felici risultati e che tutte le finezze, le sfumature, i coloriti di cui abbonda la partitura siano messi nella giusta evidenza; è naturale ancora che il pubblico gliene tenga conto e lo festeggi con tanto calore. Delle scene alcune sono addirittura orribili, altre con un sforzo di buona volontà, si possono ritener passabili. Discreto il vestiario.


"Gazzetta di Parma" del 18 febbraio 1897

CAVALLERIA RUSTICANA - PAGLIACCI AL REGIO
Il duplice spettacolo, tanto desiderato tanto atteso, aveva ricondotto ieri sera nell'ambiente splendido del nostro massimo tutte le più belle signore parmigiane che nei palchi, nelle poltrone, nei posti distinti, tutti occupati, sfoggiavano tesori di grazia, di eleganza, di avvenenza. La sala era dunque attraentissima, e il pubblico imponente, ma non troppo ben disposto e severo all'eccesso. Cavalleria Rusticana l'opera geniale e appassionata di Mascagni, ha avuto un esito lusinghiero. Gli spettatori non avendo poi da giudicare della musica nuova, ma solo da rinnovare antiche impressioni hanno prestato tutta l'attezione loro agli esecutori ed hanno continuamente fatti dei confronti. Di qui forse l'eccessiva severità dimostrata in certi momenti, meritevoli a mio parere di diversa accoglienza. In ogni modo successo discreto c'è stato e quasi tutti gli esecutori ebbero la loro parte di applausi. L'esecuzione non è priva di mende, ma non è certo tale neppure da meritare giudizi severissimi. La signorina Amelia Sedelmayer è stata una Santuzza seducente dalla voce simpatica e sicura, dal canto appassionato e squisito. Anche l'interpretazione drammatica del personaggio è felice assai e degna di lode. Il pubblico ha ritrovato in lei la brava Maddalena di Coigny e l'ha accolta ed applaudita con calore e con convinzione specialmente dopo il racconto dove seppe trovare accenti di profondo sentimento, di vera passione. Il tenore Giovanni Dimitresco - l'applaudito Sansone ha sfoggiato nella parte di Turiddu la sua voce robusta dagli splendidi acuti. Egli è un cantante di grande merito e valore, e se abolirà certe puntature di gusto cattivo e se vorrà moderarsi nella scena, ora un po' troppo agitata, otterrà certamente un successo migliore di quello di ieri sera. Nel brindisi e nell'addio alla madre, del resto, ha avuto momenti felici. Il baritono Viale ben truccato, nella parte di Alfio se l'è cavata passabilmente. La signorina Giaconia è buonissima Lola dalla voce nitida ed abbastanza intonata. I cori hanno avuto qualche momento di incertezza, comprensibile del resto, date le poche prove, ma nel complesso non hanno fatto male. L'interpretazione orchestrale è stata assai discussa ed ha trovato sostenitori accaniti come oppositori. Il pubblico alla presenza di una interpretazione speciale, così diversa da quella altra volta sentita si è trovato da principio un po' disorientato. Noi senza entrare nel merito dell'una piuttostoché dell'altra interpretazione, facciamo osservare questa cosa soltanto: che il maestro Zuccani, uno dei pochi direttori che fanno l'arte non il mestiere, era sostituito dal maestro Mugnone quando questi diresse per la prima volta in Italia al Costanzi di Roma l'opera miracolo del Mascagni, e che quindi ha avuto campo di sentire e risentire la Cavalleria un numero infinito di volte. Del resto comunque si voglia giudicare questa interpretazione - che è per me la buona - resta il fatto che l'orchestra sotto la sapiente ed energica direzione del Zuccani ha suonato con sicurezza, con calore tutta l'opera, mettendo in evidenza ogni colorito, ogni sfumatura. Dell'intermezzo, eseguito splendidamente si dovette concedere il bis dopo di che nuovi insistenti applausi costrinsero il distinto maestro ad inchinarsi a ringraziare. Buona la messa in scena e per ciò che si riferisce allo scenario e per i vestiti. In conclusione una Cavalleria suscettibile di miglioramenti, ma non tale però da meritarsi arcigna accoglienza. Dopo un non breve intervallo incomincia l'opera di Leoncavallo: Pagliacci l'unica sola che sopravviva - per la musica fresca, delicata, colorita - a quella grande quantità di opere in uno o due atti che la Cavalleria Rusticana ha filiato. Il successo di questo lavoro è stato caloroso e sincero, e l'esecuzione sicura sempre eccellente in più di un punto. Il prologo è ascoltato con grande interesse ed è cantato con molta arte dal valente baritono Casini che riscuote applausi spontanei e ripetuti, e richieste di bis che non è però concesso. L'egregio artista fa della parte di Tonio una felicissima creazione. Canta e dice assai bene tutta la sua parte ed interpreta il personaggio con intelligenza grande. Il pubblico ha compreso il valore dell'attore cantante ed ha avuto per lui approvazioni frequenti e meritate. La signorina Camilla Pasini, una cantante giovanissima e nuova al nostro pubblico ha ottenuto un successone. La parte di Nedda, parte ingrata se ne è mai stata scritta una, ha avuto per opera sua ogni possibile risalto e tutti i particolari civettuoli e drammatici dell'azione vennero messi in evidenza. La voce limpida, squillante negli acuti, la franchezza e disinvoltura di scena, la dizione felice e sicura e la pronta intelligenza, rendono la signorina Pasini un'artista pregevolissima, alla quale sorride certo un avvenire splendido. Il pubblico nostro l'ha applaudita ieri sera moltissimo dopo l'aria: Oh! che volo d'augelli e quante strida! E l'ha più volte interrotta, durante il corso dell'opera da meritate grida di: brava!. Il tenore Dimitresco, molto più a son aise nelle vesti di Canio che in quelle di Turiddu, viene pure accolto con favore dagli spettatori che una volta di più ammirarono i suoi mezzi vocali di rara potenza. Applaudito al Ridi pagliaccio è costretto a fine d'atto a presentarsi da solo alla ribalta fra sincere approvazioni. Un buonissimo Silvio il Viale che canta e dice assai bene la sua parte e che riscuote molti applausi nel duetto con Nedda. Il tenore De Beaumont (Arlecchino) ha dovuto bissare la serenata, un pezzo pieno di grazia insinuante e leziosa. Anche questo nuovo artista per la sua voce simpatica, bella in certi acuti, ha incontrato nel gusto del pubblico. I cori cantarono bene sempre, furono attenti e sicuri. Il coro delle campane riscosse approvazioni e richieste di bis non concesso. L'orchestra fu ammirevole. Di questa musica in cui le difficoltà d'esecuzione dipendono, per l'insieme da spezzature e cambiamenti di tempo continui, è difficile ottenere una buona esecuzione. Quella di ieri sera lo fu. E al maestro Zuccani vanno tributate perciò parole di amplissimo elogio. Anche la messa in scena dei Pagliacci è assai accurata e felice. L'opera è terminata fra gli applausi e la Pasini, il Dimitresco, il Casini, il Viale, il De Beaumont sono chiamati alla ribalta. In complesso adunque Cavalleria e Pagliacci costituiscono uno spettacolo a cui il pubblico non può, nè deve fare il viso dell'armi, uno spettacolo meritevole di fortuna, che completa e finisce assai bene la stagione del Regio. Stasera seconda rappresentazione. Dopo l'esito felice di ieri è certo che il teatro sarà affollato.


"Gazzetta di Parma" del 19 febbraio 1897

Dal tenore Giovanni Dimitresco riceviamo, al momento di andare in macchina la lettera seguente:
Parma 19 febbraio 1897.
Preg.mo sig. Direttore
Le sarò tenutissimo se vorrà inserire nel di Lei pregiato giornale, quanto segue:
Avendo terminato i miei impegni coll'Impresa del Teatro Regio di Parma e, trovandomi oggi improvvisamente indisposto, ho creduto bene, nell'interesse dell'Impresa stessa e nella mia dignità d'artista, di non accettare nuovi impegni, malgrado l'insistenza dell'impresario e dell'On. Direzione teatrale, tutti con me, sempre, squisitamente cortesi. Partendo con mio sommo rincrescimento, porterò meco grato ricordo delle festose accoglienze ricevute da questo spettabile pubblico durante le recite a cui presi parte. Ringraziandola anticipatamente, colla più alta stima mi creda.
Dev.mo G. Dimitresco.


"Gazzetta di Parma" del 20 febbraio 1897

Stasera al Regio terza rappresentazione di Cavalleria e Pagliacci con due nuovi interpreti. Il tenore Giannini, insistentemente pregato, si assume di cantare per stasera la parte di Turiddu. Il nuovo artista Augusto Barbaini si presenterà in quella di Canio nei Pagliacci. Dopo le due opere si darà il divertimento danzante Bal masquè, nella speranza che quelli del pubblico, usi a schiamazzare ed urlare durante il balletto, dimostrino più educazione di quella che non abbiano avuto sin qui. Altrimenti l'autorità prefettizia sarà di nuovo costretta ad impedire che questo scherzo-comico danzante si rappresenti più oltre.
Dall'impresario del Regio sig. G. Cecchetti riceviamo la lettera seguente:
Egregio sig. Direttore
della Gazzetta di Parma.
Presa cognizione della lettera del tenore Sig. Giovanni Dimitresco contenuta nel di Lei pregiato giornale d'oggi, mi preme rilevare non essere esatto che il medesimo sia libero dai suoi impegni verso questa impresa. È vero che ebbe a chiedermi, ieri sera, dopo lo spettacolo, lo scioglimento del suo contratto, ma è pur vero che io ho riservati integri i miei diritti che farò valere in sede opportuna. Intanto mi faccio un dovere di avvisare questo rispettabile Pubblico che l'egregio tenore Sig. Giannini gentilmente assume di cantare questa sera la Cavalleria per evitare a me l'imbarazzo ed il danno di dover tenere chiuso il teatro. Avverto in pari tempo che la parte di Canio nei Pagliacci viene assunta dal tenore sig. Augusto Barbaini appositamente scritturato.
Ringraziandola, con stima mi protesto di Lei.
Obbl.mo
G. Cecchetti
Parma 19 febbraio 1897.


"Gazzetta di Parma" del 10 marzo 1897

A STAGIONE FINITA
Ora che la stagione di carnevale al Regio è finita, tiriamo le somme e, da buoni amministratori, facciamo un po' di bilancio. Sarebbe un'eccedere in generosità il dire che l'esecuzione delle differenti opere datesi nel corso del carnevale sia stata sempre all'altezza della situazione. In ogni modo, tenuto conto delle difficoltà non lievi che si sono dovute superare, si può dire che quella di quest'anno non è stata nè migliore, nè peggiore, presa nel suo complesso, delle stagioni passate da tre anni in qua. L'Andrea Chénier, se non è piaciuta a tutti, aveva però un'esecuzione buonissima e degna delle nostre massime scene. Anche il Sansone e Dalila, nella sua edizione definitiva, colla Borlinetto e il Dimitresco accontentò anche i più severi e piacque a tutti immensamente. Non così si può dire della Manon, infelicissima. In quanto a Cavalleria Rusticana e Pagliacci, opere fuori d'obbligo, non fecero dimenticare, per quanto abbastanza bene eseguite, le riproduzioni precedenti del Regio e anche del Reinach. Gli eterni incontentabili pensino che, a parte i fasti, non gloriosi, della grandissima Scala molti teatri italiani che se non per fama, certo per mezzi non erano al nostro inferiori, dovettero chiudere a stagione non finita, dopo spettacoli assolutamente infelici. E basta essere mediocremente pratici del movimento teatrale per sapere che i nomi della Borlinetto, della Sedelmayer, della Pasini, del Giannini, del Dimitresco, del Casini, del maestro Zuccani, sono quelli di artisti fra i migliori che hanno calcato e . calcheranno le maggiori scene. Se è merito poi di una commissione teatrale l'aver condotto in porto uno spettacolo compromesso fin dall'origine nel peggiore dei modi da un'impresa disgraziata, sobbarcandosi tutta la responsabilità amministrativa della difficile azienda anche a costo di riparare generosamente di propria borsa agli errori commessi, se è merito questo, ripeto, è merito grande, e tutti dobbiamo riconoscerlo. Ma se buona volontà ci fu, e grande, fin dal principio, l'esperienza e la capacità, spesse volte, vennero meno. Le prove generali pubbliche, le troppe recite popolari e intempestive, l'assoluta incertezza del domani, nocquero non poco all'esito finanziario della stagione. Questo ho voluto scrivere a carnevale finito, perché non si dica che la Gazzetta, che si mostrò anzi sempre cortese, possa aver portato il ben che minimo danno. Voto di tutti quanti desiderano aperte le nostre massime scene - e sono moltissimi - si è quello di una commissione teatrale più tecnica, e soprattutto più omogenea. Voto ancor più generale dovrebbe essere quest'altro: che il nostro Regio se deve riaprirsi, si riapra su basi solide e durature. Una dote stabile, o almeno Stabilita a tempo, è l'arra più sicura della fortuna di uno spettacolo. I commercianti cittadini hanno dato prova ed esempio in questi tre anni di operosità, di volere e di disinteresse degni di lode. Per noi il compito loro è finito. I maggiori interessati, quelli cui spetta l'obbligo del decoro del nostro teatro e delle tradizioni gloriose di Parma musicale restano sempre Comune e palchettisti. Gli altri devono venir dopo. Fin dal 1888, quando il Consiglio municipale deliberò il raddoppiamento dei canoni, qualche palchettista si oppose. In seguito si fece causa, e la causa passò dal Tribunale alla Corte d'Appello di Parma, alla Cassazione di Torino, e, finalmente nel 1895, alla Corte d'Appello di Modena (in sede di rinvio). I palchettisti la vinsero. Il Comune - che certo nel 1888 quando raddoppiò i canoni ebbe di mira non tanto l'interesse proprio quanto quello del teatro giacché allora non si pensava certo alla soppressione della dote, fu ritenuto nella prima sentenza (Tribunale di Parma 1893) semplice condomino coi palchettisti, quindi non arbitro di aumentare i canoni ad essi spettanti. Nella sentenza definitiva invece (Corte di Appello di Modena 1895) si ritenne che al Comune "subentrato allo stato in tutti i diritti del teatro, spettasse anche quello della esazione e della determinazione dei canoni" ma che questo diritto, di fronte ai palchettisti, non si sarebbe potuto far valere finché il Comune persistesse, come fece in quel frattempo, a mantenere soppresso qualunque concorso da parte sua. Leggendo però quelle sentenze ciò che appare chiaro si è che i rapporti giuridici fra Comune e palchettisti necessitano di un nuovo regolamento: più adatto, più consono alle condizioni odierne del nostro teatro. Ventimila lire - lo si è veduto chiaramente - non bastano ad uno spettacolo che risponda a veri criteri d'arte. I palchettisti dovrebbero aumentare le loro quote ed il Comune provvedere ad una dote conveniente e proporzionale. Ma per far ciò è necessario cessino anzitutto i dissidii e si faccia quello che si sarebbe dovuto far prima. Si dimostri cioè, sia dall'una che dall'altra parte tutta la buona volontà, tutto il desiderio per un accordo reciproco e duraturo. Poiché questo soltanto potrà tornare veramente di grande vantaggio all'avvenire del nostro massimo teatro e ai ricordi gloriosi di Parma musicale.
"Sarà appunto dall'accordo fra il Comune ed i palchettisti (che il senno di chi regge la pubblica amministrazione e il bene inteso interesse di tutti inducono a sperare) che potranno attendersi quei provvedimenti pei quali sia, riaperto il massimo nostro tempio, al culto delle nobilissime arti che formavano vanto e lustro di questa colta e gentile città."
Così la stessa sentenza del tribunale di Parma. Questo il voto che facciamo nostro. Diversamente il Regio ritorni pure a dormire sul suo grande passato.

 

 

"Gazzetta di Parma" del 2 gennaio 1898

AL REGIO
Non c'è più bisogno di dire che lo spettacolo del Regio è assicurato. Da ieri la grande plance appesa in piazza Garibaldi preannuncia il Lohengrin, la magnifica opera di Wagner che per altre due stagioni, e sempre per moltissime sere, fu già rappresentata con crescente successo d'ammirazione. L'altro ieri è stato regolarmente firmato il contratto coll'impresa Borboni e C. e oggi uscirà il cartellone. La prima rappresentazione, giacché le prove continuano alacremente e la compagnia è tutta alla piazza, resta fissata per la sera del 6 corrente. Fra le tante burrasche che quest'anno sconvolsero il Santo Stefano e dopo tante immense difficoltà per combinare bene lo spettacolo di Parma, il cartellone che domani pubblicheremo, non potrebbe presentarsi più attraente e per la scelta delle opere e più ancora per il nome degli artisti. La compagnia di canto è nel suo complesso veramente ottima e quale noi per primi - che ci mostrammo scettici ed avversari dell'attuale modo di aprire il teatro - non credevamo possibile combinare. L'impresa Borboni e comp. che certo deve aver fatto più di un sacrificio per assicurarsi, fra tanta penuria, i nomi dei due tenori Cremonini e Ferrari, oltre il Lohengrin e La Bohéme, darà pure, se l'esito della stagione e il numero delle recite lo permetteranno, una terz'opera di repertorio da destinarsi. E la Commissione che forse mai come questo anno avrà dovuto lottare con tanti nemici ed intra ed extra muros può essere soddisfatta della propria vittoria. Qualunque sia l'esito dello spettacolo il cartellone oggi uscito, così come si presenta, ci sembra improntato ad artistici intendimenti e degno del nostro teatro.


"Gazzetta di Parma" del 9 gennaio 1898

AL REGIO LA PRIMA DEL LOHENGRIN
La terza comparsa del cavaliere del San Graal al nostro massimo teatro è stata salutata ieri sera dagli applausi più calorosi, più sinceri, più entusiastici. Dopo i brani più importanti dello spartito le approvazioni furono generali e dopo ogni atto a fine d'opera tutti gli esecutori dovettero presentarsi più volte alla ribalta. La sala del Regio era affollata non così però come l'importanza dello spettacolo e la sua intrinseca bontà avrebbero meritato. I malumori e le cattive prevenzioni del pubblico - che erano molte - dovettero cadere di fronte ad un'esecuzione veramente degna del Regio e delle sue più belle tradizioni. E il giudizio del pubblico può essere sintetizzato in questa proposizione: la riproduzione attuale di Lohengrin per ciò che si riferisce al complesso della compagnia di canto, è la più esatta, la più corretta, la più bella in confronto delle due precedenti. E il pubblico ha bene e giustamente giudicato. Parlare dell'opera come creazione artistica, della musica, dei metodi del grande novatore nordico è inutile ormai. Ormai il Lohengrin corre e ricorre applaudito i teatri di tutto il mondo e da tutti, senza screzii più, nè di nazionalità, nè di scuole, è reputato un insigne opera d'arte, un capolavoro che avrà una pagina gloriosa così sulla storia della musica, come in quella del teatro melodrammatico. Nella musica del Lohengrin di melodie e di canto ve n'ha in abbondanza e al celebre direttore d'orchestra Mariani bastarono nove sole prove per ottenere un'esecuzione finita in ogni sua parte e così efficace che gli ascoltatori e di Bologna e di Firenze intesero tutto benissimo e senza la menoma fatica alla prima rappresentazione. La musica del Lohengrin rende il dramma in ogni più piccolo suo particolare, rende i personaggi e le passioni delle quali sono animati, acconsente ad una infinita varietà di espressioni, e pur tuttavia è l'unità dello stile il pregio suo più straordinario. Quell'alto sentimento poetico che domina nel libretto, domina nel pari e costantemente, nella musica. Bello e degno d'ammirazione e di studio, tutto da capo a fondo, il Lohengrin ha pezzi capitali dove non che grande, Wagner è grandissimo. Certo in Lohengrin, scritto cinquant'anni fa, vi sono dei tratti che al pubblico non musicista, e cioè a tutti quelli che mi somigliano, tornano pesanti come qualche recitativo del primo e della prima metà del second'atto, ma in cambio quanto sono pagati questi momenti di stanchezza dal finale secondo, da tutto il terzo e dal quarto atto! Qui la musica è accessibile ad ogni mente, è sublime voce del cuore, e la grandiosità mistica dell'opera ha il suo più alto sviluppo. A rendere esattamente però tutto ciò che di splendido v'ha in Lohengrin devono concorrere l'orchestra, le masse, gli artisti. Si può dire che ieri sera questo complesso sia stato più che soddisfacente, tale cioè da mettere in evidenza e far gustare le pagine divine scritte dal Wagner? Non esito a rispondere di sì, e non esito a ripetere che è un Lohengrin di cartello. Certo qua e là i cori hanno tentennato, certo le trombe sono state sempre intonate, ma se si pensa che in soli sei giorni è stato allestito uno spettacolo simile c'è da meravigliarsi di quello che già si è ottenuto. Il tenore Giuseppe Cremonini (Lohengrin), giungeva nuovo fra noi, preceduto però da buonissima fama conquistata nei maggiori teatri d'Italia e dell'estero. Artista coscienzioso, corretto in massimo grado, esso difatti non trascura nessuna delle intenzioni dell'autore nel rendere il personaggio. Esso dispone di una voce ben timbrata negli acuti, eguale, delicatissima. Canta con arte, fraseggia e colorisce con gusto. Ha cantato splendidamente tutta l'opera ma soprattutto il racconto e l'addio finale nei quali brani trovò frasi di calda efficacia, che trassero il pubblico all'entusiasmo e fruttarono a questo prezioso cantante ed artista una prolungata ovazione. Si chiese ad alte grida il bis del racconto, ma giustamente non venne concesso. Il Cremonini ebbe pure i primi applausi della serata alla frase del primo atto: Elsa io t'amo e fu festeggiatissimo in tutta l'opera e chiamato più volte al proscenio alla fine di ogni atto unitamente ai compagni d'arte. La signora Krusceniska Salomea - anche essa nuova affatto per Parma - fu per dolcezza di canto, scrupolosità nell'intonare, vivo sentimento artistico una Elsa eccellente. La sua voce è bella ed estesa e nell'arte del canto è peritissima. Applausi anche per lei ve ne furono e molti. Ha detto con sentimento delicato l'aria della terrazza, con slancio il duetto con Ortruda, con tenerezza appassionata il gran duetto d'amore. Accanto a lei dovevamo giudicare la signora Elvira Ceresoli. Essa mette nella parte di Ortruda tutto il fuoco del suo temperamento essenzialmente italiano, di una voce calda dalle note basse bellissime e dagli acuti squillanti. Anch'essa è padrona assoluta della scena e si muove con perfetto intuito drammatico. Il second'atto, a cui si riduce si può dire la sua parte, fu per la signora Ceresoli un continuo trionfo. Essa dovette ripetere assieme al Giacomello lo stupendo unisono nella cupa scena del complotto. Sicuro, magnifico, cantante dalla voce poderosa e robusta, attore inappuntabile il baritono Pietro Giacomello (Telramondo) che nei recitativi difficilissimi e nell'atto secondo seppe assurgere veramente alla perfezione. Un ottimo Araldo Stinchi-Palermini e per voce e per dignitosa e prestante figura. Anche per lui il pubblico ebbe uno speciale applauso. Il basso Tronti Rodolfo (Re) in una parte di non molto rilievo seppe cavarsela decorosamente. Anche l'orchestra fu quasi sempre pari all'altezza del compito suo. Il maestro Ettore Perosio musicista intelligentissimo - nel mettere insieme in pochi giorni uno spettacolo così importante - ha dimostrato di essere un concertatore accurato, amoroso, scrupoloso e un direttore sicuro, pronto, energico. Il preludio 2 eseguito assai bene avrebbe meritato un caloroso applauso. A titolo di lode per il Perosio - giacché credo non sia mai stata nelle intenzioni di Wagner, non comportandolo il carattere stesso della musica debbo ricordare che alla perorazione del duo delle due donne egli ha quasi del tutto eliminato l'effetto finale di sviolinata. Il bravo maestro è stato esso pure chiamato al proscenio ed applauditissimo assieme agli artisti dopo il finale secondo. I cori scantinarono nel primo atto, nel resto andarono abbastanza bene. E chi sa di quali difficoltà, di quali complicazioni siano i cori del Lohengrin che arrivano talvolta a un numero inverosimile di "parti reali" potrà facilmente credere che si è fatto l'impossibile ottenendo dalle nostre masse corali - in sei o sette giorni di prove - quanto si è ottenuto. Il maestro Gerbella che nell'istruirli si è tanto affaticato merita perciò esso pure più di una parola di elogio ed ha di che compiacersi del risultato. Le scene di Giacopelli, splendide tutte. Ammiratissime quelle del secondo atto. Belli e ricchi i costumi. In complesso adunque una rappresentazione splendida da registrarsi a lettere d'oro, uno spettacolo insigne che accontenterà anche i più esigenti, e che richiamerà dalla provincia e dalle città vicine numerosi forestieri. Io non sono parmigiano e non lodo quindi per spirito di campanile, ma è certo che di tutti gli spettacoli che sono ora in scena nelle città più prossime, quello di Parma è il migliore, il più omogeneo, il più completo, il più riuscito. L'impresa Borboni e C. che per la prima volta ha assunto la gestione del nostro massimo si è presentata splendidamente. Compresa dell'importanza artistica del teatro ha fatto sacrifizii non indifferenti per poter riunire una compagnia di canto di tanto valore, nulla ha trascurato, fin nei minuti particolari per riprodurre degnamente il grande spartito ed ha dato alle nostre scene uno spettacolo quale di anni e anni parecchi non avevamo goduto. Spetta ora al pubblico rimeritarla con l'accorrere numeroso ad accertarsi de visu che in quanto ho detto non v'ha l'ombra della esagerazione. Stasera seconda rappresentazione.
S.

Alla commissione teatrale spettano pure i più caldi elogi, perché in mezzo alle difficoltà di ogni genere incontrate, e compresa della responsabilità che gravava su lei, è riuscita a dare uno spettacolo non commerciale, ma eminentemente artistico, tale da contribuire a quell'educazione musicale, che rende il pubblico più pronto alla percezione delle nuove forme e delle nuove tendenze musicali.


"Gazzetta di Parma" del 30 gennaio 1898

LA BOHÈME AL REGIO LA PRIMA RAPPRESENTAZIONE
Ieri sera al Regio c'era il solito pubblico delle prime rappresentazioni. Quello pel quale la severità dei giudizii improvvisati non ha limite, passibile, alla distanza di poche battute, di entusiasmo disturbatore o di anarchia la più spietata per questo o per quell'artista per questo o per quel pezzo appena sentito. C'era il solito pubblico quello dimentico dei tanti giudizii improvvisati ingiustamente alle premières, dalla Carmen al Duchino, potrei citarne altri parecchi, ma, in fondo, onesto e giusto e rimuneratore e soprattutto pronto a far sempre onorevole ammenda delle proprie prevenzioni e delle proprie idee. Nell'ambiente difficile, la Bohème ha ottenuto ieri sera un'accoglienza festosissima che si è manifestata in applausi crescenti e in moltissime chiamate al proscenio del maestro e degli artisti. Una piccola minoranza di pubblico, - nell'atrio e fra le più vivaci discussioni ne ho sentiti i disparati commenti - ha dovuto accettare il verdetto della grande maggioranza. Il m. Puccini non è di quelli che corrono dietro alle proprie opere. Egli ha fatto una eccezione per il teatro di Parma. Dopo il semi successo della Manon, dovuto in gran parte - dobbiamo convenirne - all'infelice esecuzione, egli ha desiderato l'applauso del nostro pubblico. Ed è venuto, ha assistito alle prove e questo applauso pieno e sincero ha meritato ed ottenuto ieri sera, poiché la cronaca deve registrare al suo indirizzo quasi venti chiamate; quattro al primo e al terzo atto ed otto o dieci alla fine dell'opera. Ma ecco precisamente come si è svolta la rappresentazione di ieri sera. Accolta con attenzione benevola, ma silenziosa, tutta la parte brillante del primo atto, i primi calorosi, entusiastici applausi si fecero sentire soltanto alla fine del racconto che Rodolfo fa a Mimì della propria esistenza. Il tenore Ferrari sfoggia alla fine del pezzo un acuto poderoso, squillante. Il brano è ripetuto e il maestro Puccini ha le prime due chiamate. Identico effetto alla replica di Mimì che la Krusceniska dice con tanto sentimento, con tanta grazia, con tanta finezza da suscitare vera ammirazione. Nuova chiamata al maestro Puccini, nuovi calorosi applausi. Si chiede il bis, ma non è concesso. Terminato l'atto, parecchie chiamate al proscenio, alcune delle quali in unione al Puccini stesso che è stato accolto al suo presentarsi da vere ovazioni. Il second'atto è una pittura vivacissima della sera della vigilia di Natale al Quartiere Latino; manca però alla musica di questo secondo quadro l'unità e la fusione. Solo la scena che comincia al valtzer di Musette e si svolge in un concertato di originale fattura, piace assai, è rimarcata ed applaudita. Alla fine dell'atto silenzio assoluto. Nell'atto terzo, gustosissima la musica della scena fra la Mimì e Rodolfo. Dopo il quartetto, quando Rodolfo e Mimì rimasti soli si dileguano tubando come nell'atto primo ed è sceso il sipario, scoppiò un uragano d'applausi. Gli artisti si presentano quattro o cinque volte alla ribalta quasi sempre in unione al maestro Puccini. Il quartetto viene bissato. Nell'atto quarto tacita approvazione, come nell'atto primo alle gaie scene dei bohèmiens. Allo schianto dell'orchestra che annunzia il lugubre svolgimento del dramma, si raddoppia l'interesse. La situazione è trattata da artista e da poeta. Mai il Puccini ha sentito più delicatamente, né ha raggiunto così alto grado di intensità nella commozione con altrettanta semplicità di mezzi. Un'applauso riscuote il Papi dopo l'addio di Colline alla vecchia zimarra; un brano che tanto come concetto poetico, quanto come musica è caratteristico quanto mai. Morta Mimì, terminata l'opera, nuova tempesta di acclamazioni. La chiusa rapida e tragica non lascia campo nella commozione di riaversi. Le chiamate al proscenio all'autore ed agli artisti dopo quest'atto sono state circa otto o dieci, a due o tre delle quali il Puccini deve presentarsi da solo, accolto allora da vere prolungate ovazioni, perché è in questo quart'atto, più che in tutto il resto che l'anima del Puccini riprende il suo impero, è in queste pagine passionali che rifulge, che si estrinseca, che palpita schiettamente. Per questa Bohéme furono ormai versati fiumi di inchiostro; a raccogliere tutto quanto si è scritto in proposito si potrebbero formarne volumi: il nostro giudizio non potrà quindi formularsi se non ripetendo cose già dette da altri, critiche e lodi già fatte. Il Nappi sulla Perseveranza trovò - e a me sembra giustamente e acutamente - che la potenzialità della Bohéme si compendia nell'abilità con cui Puccini seppe unificare arte ed artifizio. Che questo connubio abbia generato una densità e profondità di composizione non oserei dire, come neppure posso ammettere che la fantasia dell'autore abbia trovata qui una nuova, felice, rigogliosa vena melodica. Ma che importa tutto questo al pubblico in genere, se l'assieme corre, vola via velocemente e genialmente spesse volte in una adorabile semplicità. Che importa se troviamo in, quest'opera brani di altre ispirazioni pucciniane? Mimì e Manon sono due anime sorelle, due caratteri consimili che possono benissimo talora accordarsi insieme, presentare la stessa fisionomia, le stesse sensazioni. Tutta la soavità dell'amore di Mimì e di Rodolfo è resa con vero e profondo sentimento come poteva renderla il Puccini il poeta della tenerezza. Certo un grande coefficente nel giudizio espresso dal pubblico fu ed è il libretto in cui la sapienza del commediografo si è ben fusa coll'eleganza del poeta. Ma il Puccini ha il merito di aver compreso le intenzioni dei librettisti e di avere commentato, con talento e con sapienza, dimostrando di possedere in sommo grado quelle doti che lo rendono così simpatico ed applaudito: una vera eleganza, un equilibrio costante, una teatralità che non si smentisce mai, e che rivela nel maestro la perfetta conoscenza del teatro e delle esigenze del pubblico. La Bohème segna un progresso sulla Manon per omogeneità e varietà e per seducentissima fattura che riesce far piacere al pubblico la solita nota della musica pucciniana e per lo strumentale che è pieno di fascino, risorse, spigliato, ricco di ammirevoli finezze. Nel suo complesso adunque l'opera del maestro Puccini è riuscita, è teatrale e merita il successo che ottenne in tutti i teatri ove fu rappresentata. A questi si è aggiunto ieri sera quello di Parma. Il pubblico ha accolto con grande favore quest'opera perché rivela nel suo autore uno dei temperamenti più felici e più geniali d'operista. Ci occuperemo ancora un altro giorno e più dettagliatamente della musica della Bohème. Per ora due parole sull'esecuzione che è stata nel suo complesso abbastanza buona. E ben si comprende come ad una rappresentazione simile e colla presenza dell'autore, tutti - artisti e cori - si siano sentiti un po' in orgasmo un po' preoccupati e non abbiano potuto dare quanto potevano. La signora Krusceniska fu una Mimì ideale, un'artista di grandissimo valore. La sua voce di timbro bello ed insinuante, la maestria che deriva da abilissima scuola e da fine ed appassionata intelligenza conquistarono il pubblico del Regio. Sente la parte di Mimì con una squisitezza che non lascia nulla desiderare, vi trasfonde tutto il sentimento, la grazia, il profumo, la dolce melanconia che la delicata creazione richiede. La sua voce ha accenti caldi, passione, ha soavità di inflessioni addirittura deliziose. A lei sono toccati ieri sera gli applausi più entusiastici, applausi di ammirazione e di convinzione, ed ella che per la prima volta interpretava il personaggio di Mimì non dimenticherà certo il trionfale battesimo ottenuto in questa parte dal pubblico di Parma. Una buona Musetta la signorina Lina Cassandro che ha voce di timbro gradevole specialmente negli acuti che sono robusti e belli. Nelle rappresentazioni venture ella saprà farsi valere di più - e noi che l'abbiamo sentita alle prove possiamo assicurarlo - essendo ieri sera alquanto indisposta. Rodolfo è il tenore Pietro Ferrari un giovane artista che ha una voce i cui acuti sono squillanti e resistenti. Ha avuto momenti assai felici e come cantante e come attore; e molti applausi sono toccati a lui pure che ha dovuto ripetere fra le approvazioni più entusiastiche il racconto del primo atto, alla fine del qual brano egli emmette un do naturale di magnifico effetto. Un sicuro ed efficacissimo Marcello il baritono Pietro Giacomello che ha indovinato il tipo e lo ha modellato con somma bravura. La sua voce omogenea e addattatissima al carattere della musica della Bohème e alle sue varie fasi. Un Colline non molto caratteristico il Papi il quale però disse assai bene la canzone della zimarra mostrando di possedere una voce gradevole, simpatica, ben educata. Commendevoli l'altro baritono Fiesoli (Schaunard) e il basso Bilviller delle due parti di Benoit ed Alcindoro. L'orchestra è stata attenta, sicura, inappuntabile. Il suo giovine direttore Ettore Perosio che nel giro di pochi anni si è conquistato a buon diritto uno dei primi posti ha saputo ricavare affiatamento grande, e giusti coloriti dalla nostra massa orchestrale. Anche egli è stato assai festeggiato e chiamato più volte al proscenio assieme agli artisti e al maestro Puccini. Egregiamente istruiti dal nostro Gerbella i cori che hanno parti brevi ma altrettanto difficili. Messa in scena decorosissima: ottimi e fedeli i costumi, e non è colpa di nessuno se la moda dell'epoca non era delle più estetiche. Una lode che all'impresa Borboni e Pieri che pure questa volta ha fatto le cose con cura grande e con grande tatto, e non ha nulla negletto per meritare il favore del pubblico. Stasera seconda della Bohéme.


"Gazzetta di Parma" del 8 febbraio 1898

SALOMEA KRUSCENISKA
Invita stasera al Regio il pubblico di Parma al suo spettacolo d'onore. Oltre La Bohème - in cui ell'è così preziosa e deliziosa Mimì - la gentile artista canterà pure dopo l'opera del Puccini - l'aria dell'Ebrea di Halevy: Ei dee venir. Non fa bisogno spendere altre parole - oltre il semplice annuncio - per invitare il pubblico ad accorrere in folla al teatro. Dato il valore eccezionale della distintissima artista e le immense simpatie destate meritamente fra noi, non è possibile errare predicendo per stasera un teatro superlativamente affollato, ed un pubblico entusiasta e plaudente. La signorina Salomea Krusceniska, di nazionalità rutena, è un'elegantissima e bella figura d'artista. Sin da bambina aveva per la musica una grande disposizione: a soli dodici anni cantava già in concerti di beneficenza ed il pubblico la distingueva apprezzandola per la sua graziosa voce e pronosticandole fin d'allora uno splendido avvenire artistico. Allieva del conservatorio di musica in Lemberg, dove riportò parecchi premi, venne più tardi a Milano, onde studiare il canto sotto la guida intelligente della distinta maestra signora Fausta Crespi. Debuttò - quattro anni fa - al teatro Municipale di Lemberg nell'opera Faust, dove vi rappresentò con grande intelligenza il poetico tipo di Margherita. Lo splendido successo ottenuto in quest'opera le aperse le porte dei principali teatri. Per la prima volta in Italia si presentò tre anni fa - al Ponchielli di Cremona dove - stando al giudizio dei giornali del luogo - fu una Valentina splendida per voce ed interpretazione, ed una Manon affascinante. Il pubblico entusiasmato le tributò applausi e fiori. Cantò poi in Russia a fianco di celebri artisti, sempre distinguendosi e al teatro imperiale di Odessa scelse, per sua serata d'onore - fra le tante opere del suo repertorio l'Otello di Verdi, dove fu l'ideale delle Desdemone - interpretandone il tipo con arte commovente. Il successo fu di vero entusiasmo. Venne poi scritturata per la grande stagione d'America del Sud ed ogni opera che ella ebbe ad interpretare fu per lei un nuovo trionfo. Appena arrivata in Italia la solerte impresa del nostro Regio la scritturò per la presente stagione, ed i parmigiani, ammirandola ed applaudendola nel Lohengrin e nella Bohème, hanno potuto constatare quante e quanto grandi siano le doti, e quanta l'intelligenza e il talento che la giovane artista possiede. Salomea Krusceniska è oggi indubbiamente tra le primissime artiste della scena lirica. La sua voce fresca, sicura, limpida, dolce sa piegare e modulare a meraviglia, mostrando di saper cantare con una mirabile giustezza di colorito, con una nitidezza esemplare di ugola e la fioritura e l'ardore, l'ingenuità e l'angoscia.
s.


"Gazzetta di Parma" del 20 febbraio 1898

AL REGIO
Serata burrascosa e tempestosa quella di ieri al Regio. Un ballo in maschera - la terza opera di questa stagione, fin qui fortunatissima - ha naufragato completamente per insufficienza assoluta del tenore Nieddu. Date le peripezie della serata ci sembra doveroso non parlare per oggi dei pregi e dei difetti di questo spettacolo. Avremo campo di scrivere il nostro parere quando di questo Ballo in maschera si darà una seconda edizione che auguriamo più corretta e soprattutto più colorita. Per oggi poche parole di cronaca. Teatro imponente, splendido. Non un palco, non un posto vuoto. Pubblico attento e da principio ben disposto perché applaude il tenore dopo la romanza dell'atto primo. Ma al secondo incominciano per questo artista le prime disapprovazioni, disapprovazioni che aumentano di forza e di intensità all'atto terzo.
Prima che incominci poi l'ultima parte del quarto atto, il tenore comprimario Eugenio Grossi, si presenta al pubblico in mezzo ad un baccano indiavolato ed avverte che il tenore Nieddu, non essendo nella pienezza dei suoi mezzi... e null'altro poté dire tante furono le urla e i fischi degli spettatori! E siamo all'ultima scena. Il tenore Nieddu omette la romanza: ma s'è m'è forza perderti che del resto non si canta in quasi tutti i teatri. Ma a Parma si è sempre voluta sentire ed anche ieri sera molti, ad alte grida, la domandano, la vogliono.
Nuove disapprovazioni, nuovo uragano di fischi. È impossibile continuare lo spettacolo... e cala la tela! Una piccola parte del pubblico abbandona la sala mentre i più rimangono, chi a fischiare, chi ad applaudire. Continua questo chariavarì un bel poco. Finalmente l'impresario Borboni annuncia che per giovedì vi sarà un nuovo tenore e che intanto si pazienti. E così quando Dio vuole e come Dio vuole si riprende la rappresentazione si arriva in fondo molto malamente.
In mezzo a una simile burrasca il pubblico ha avuto modo però di apprezzare la signorina Orcesi (Amelia) per la voce bella per estensione e per timbro, e di applaudirla con entusiasmo e di chiamarla al proscenio alla fine del terz'atto, e sola, e insieme ai compagni, più volte. E così dicasi della Ceresoli, brava anche nei panni di Ulrica, della Cassandro, e del Giacomello, dal quale il pubblico avrebbe voluto il bis della romanza: Eri tu che macchiavi quell'anima.
E per oggi non vogliamo dire di più. Quello che l'impresa ci prega di far noto al pubblico si è che essa aveva cercato, si può dire per mare e per terra, un artista sicuro e degno del nostro teatro anche per la parte di Rìccardo ma sfortunatamente non gli è stato possibile averlo, perché non solo i buoni, ma pure i mediocri sono in questo momento impegnati.
Martedì, col finire della stagione di Carnevale, molti artisti saranno liberi. Allora soltanto crediamo, si riprenderà il Ballo in maschera, colla speranza che la sostituzione del tenore attuale con un artista più sicuro valga a rialzare le sorti di questo spettacolo. Stasera al teatro regio avremo la Bohème rappresentazione popolare regalata ai signori abbonati. Dopo l'opera la signora Krusceniska canterà la grand'aria della Semiramide.


"Gazzetta di Parma" del 26 febbraio 1898

Dal signor G. Borboni, impresario del R. Teatro, riceviamo la seguente che pubblichiamo di buon grado:
Gentilissimo signor S.
Permetta che io approfitti della di Lei cortesia e imparzialità per fare una dichiarazione che ritengo necessaria onde giustificare l'operato mio ed il mio buon volere verso il rispettabile pubblico Parmense ed i signori abbonati del teatro Regio. Oltre il Lohengrin e La Bohéme, che ottennero buonissimo esito e soddisfecero, con altrettanta soddisfazione mia, cotesta rispettabile cittadinanza, promisi in cartellone una terz'opera e, perché allora contavo sull'aiuto d'un tenore che venne in seguito a mancarmi, scelsi allo scopo di assecondare il generale desiderio: Un ballo in maschera del m. Verdi. Mancatomi quel tenore, indipendentemente della mia volontà, ne cercai dovunque e con ogni mezzo un altro pronto anche a pagarlo 700 lire per sera, purché fosse degno del Regio teatro di Parma. Ma l'attuale stagione che si tiene quasi tutti occupati e la penuria che ogni dì si fa maggiore di buoni cantanti, specialmente per le opere vecchie, non mi permisero di fare dippiù di quello che feci. A provare la verità di quanto dico tengo a disposizione del pubblico e dei signori abbonati, perché possano accertarsene de visu, tutta la corrispondenza telegrafica, più di 50 telegrammi, riguardante quanto sopra. Da essa il pubblico potrà persuadersi, e sarò lieto di mostrarla a chiunque, ch'io trattai più di 20 artisti in una settimana fra i quali, cito quì i più noti: Villalta, Lucignani, Peirani, Dimitresco, Galli, Cosentino, Masin, Apostolu, Ceppi, Vignas, senza ottenere l'esito desiderato. Ora sono costretto ad abbandonare l'idea dell'opera verdiana con mio grandissimo dispiacere e pregiudizio e terminare la stagione colla Bohème. Ai signori abbonati ho pensato, d'accordo colla spettabile Commissione Teatrale in modo che credo soddisfacente per loro. Ossequioso sempre al giudizio del pubblico e della stampa, non ho però creduto inutili queste dichiarazioni, che posso ad ogni richiesta documentare, e che dimostrano non essere stato per mancanza di buon volere mio, e mi si permetta dirlo anche dei signori Commissari teatrali che tanto lavorarono meco alla ricerca del tenore desiderato, se l'attuale stagione, cominciata con tanta soddisfazione di tutti, non s'è mantenuta con pari soddisfazione e del pubblico e mia in queste due sere passate. Grazie dell'ospitalità, e mi abbia con stima e amicizia.
Suo
G. BORBONI


"Gazzetta di Parma" del 25 febbraio 1898

TEATRI E COSE D'ARTE
La rappresentazione di ieri sera al Regio è stata così tempestosa che non si è potuto andar oltre il primo atto di Un ballo in maschera. Il nuovo tenore Nazareno Breccia, inferiore a qualsiasi più meschina esigenza, è stato accolto da fischi e da risate e messo in croce dal pubblico come l'altro Nazareno. Finito il primo atto le disapprovazioni e le urla degli spettatori sono state così clamorose da indurre l'impresa ad avvertire che lo spettacolo non sarebbe andato più oltre, che si restituiva il prezzo del biglietto e che la rappresentazione non verrebbe, naturalmente, contata per gli abbonati. Il pubblico allora si è calmato e discutendo, ridendo, lentamente ha abbandonata la sala. Noto per la cronaca che il baritono signor Giacomello artista sempre simpatico in qualunque parte si presenti è stato accolto da un applauso di sortita ed ottenne alla fine della sua prima romanza generali approvazioni. Non faremo alcun commento. La rappresentazione di ieri è stata un errore grandissimo. Né l'impresa doveva presentare un artista simile, né la commissione permettere l'andata in scena di un cantante così inferiore ad ogni aspettativa ed esigenza, soprattutto poi dopo la rappresentazione di sabato scorso. E il pubblico ha avuto, a nostro avviso ragioni non poche per protestare così energicamente. All'impresa e alla commissione non abbiamo lesinata mai in questa stagione la lode quando l'hanno meritata. Ora ci sentiamo in dovere di disapprovare quanto è accaduto, deplorando che una stagione cominciata e continuata fino ad oggi così splendidamente abbia così miseramente a finire.


"Gazzetta di Parma" del 4 marzo 1898

UNA RÉPRISE DI "UN BALLO IN MASCHERA" AL REGIO
Dunque dopo parecchi sì e no il signor Borboni, il simpatico impresario del Regio, ci annunzia con grandi striscioni che furono affissi per la città stamane una nuova edizione - la terza - della tanto aspettata e desiderata opera del m. Verdi: Un ballo in maschera. Le due fugaci e tempestose apparizioni del capolavoro verdiano, appunto perché non riuscite secondo l'aspettazione del pubblico crebbero in esso il già grande desiderio di risentire quelle splendide melodie lodevolmente eseguite. E l'impresa del Regio, con tutto il buon volere di finalmente accontentare il pubblico, ce ne annuncia per domani sera la terza edizione pressoché completamente riveduta e corretta. Saranno sole sette rappresentazioni che auguriamo fortunatissime al Borboni ed ai nuovi artisti scritturati. I quali sono molto favorevolmente noti, soprattutto per gli ottimi mezzi vocali e calcano buonissime scene. Ne diamo l'elenco: Linda Micucci (Amelia) - Lina Cassandro (Paggio) - Elisa Mattiuzzi (Ulrica) - Luigi Colazza (Riccardo) Alessandro Arcangeli (Renato) - Carlo de Probizzi (Samuele). La Micucci è stata il sostegno della stagione del Costanzi di Roma l'autunno scorso ed il tenore Cosazza ha cantato nel carnevale al teatro di Bukarest con successo moltissime opere drammatiche compreso l'Otello. Anche il baritono Arcangeli gode fama assai buona nel mondo lirico. Basta, vedremo. Per ora anticipiamo moltissimi auguri. Per sette sere si apre. un abbonamento a L. 8.00 per l'ingresso - L. 9.00 per le sedie chiuse e L. 18.00 per le poltrone. I palchi si convengono al camerino che rimane aperto oggi e domani dalle 10 alle 16. Così quest'anno che il Regio doveva restar chiuso in carnevale avremo invece anche una coda in quaresima, brevissima coda che farà senza dubbio ritornare al teatro tutte le nostre signore e gli habitués del Regio, e che ci auguriamo rimuneratrice alla coraggiosa impresa che tenta uno spettacolo senza sussidio alcuno, cosa che da moltissimo tempo nessuno aveva pensato di fare.


"Gazzetta di Parma" del 6 marzo 1898

IL SUCCESSO DI "UN BALLO IN MASCHERA"
Eureka! avrà detto il pubblico e insieme col pubblico anche il buon Borboni sentendo finalmente scrosciare gli applausi che certo si saran fatti sentire fin nel suo camerino. Il successo c'è stato e in qualche punto clamoroso. Tralascio la cronaca degli applausi, delle chiamate, delle richieste di bis. Ve ne furono a dovizia per tutti. Il pubblico ha sentito delle voci veramente belle, forti e resistenti e non ha guardato tanto per il sottile, sorvolando sulla poca finezza del complesso e sulle incertezze inevitabili in una esecuzione imbastita per telegrafo. Le voci ci son state ed hanno bastato ad accontentare il pubblico né arcigno, né mal prevenuto e, mi si permetta pure l'aggettivo, meravigliosa voce di soprano drammatico è quella della signorina Linda Micucci, una cantante che in due anni di carriera si è già fatta un bel nome e alla quale certo molti grandi trionfi l'avvenire riserba. Da molto tempo non sentivamo una voce così estesa e così completa in tutti i registri. Canta di buona scuola ed ha finezze e modulazioni di voce notevolissime. Il pubblico l'ha calorosamente applaudita in tutta l'opera ed una vera ovazione le tributò alla fine della romanza dell'atto terzo. Il tenore Colazza è pure giovanissimo. Ha una voce un po' alla Galli. Le note centrali e le acute si completano a vicenda fortissime, resistenti e timbrate. Non è sempre egualmente felice, ma ha momenti dove la frase calda non gli manca, e dove risce a contenere la sua voce e a modularla con arte. Nel terzo atto - a dire il vero - egli ha voluto un po' strafare. Gli applausi vi son stati e calorosi, ma vi saranno ancora più spontanei le sere venture sé saprà moderarsi, cosa di cui non dubitiamo. Il baritono Modesti, che sostituiva - scritturato telegraficamente - l'Arcangeli, colpito da indisposizione, ha anch'esso, tutti lo conoscono, dovizia di voce. Non gli mancarono applausi, specialmente dopo l'aria dell'atto quarto. Un paggetto bravo assai quanto grazioso la Cassandro essa pure e non poco applaudita. La Mattiuzzi (Ulrica) ha note basse di contralto forti e mascoline, ma acuti non egualmente felici. Bene abbastanza il De Probizi e il Grossi. Gli altri non guastarono. Cori e orchestra discretamente. Dopo l'atto secondo, il maestro Gerbella che ha diretto gli uni e l'altra con cura ed impegno, dovette comparire alla ribalta assieme agli esecutori principali di questo Ballo in maschera, che merita nel suo assieme il favore del pubblico, favore che non può e, non deve mancargli, tenendo conto anche che questo è uno spettacolo allestito senza sussidio di sorta. Stasera seconda rappresentazione, dopo l'esito fortunatissimo di ieri avremo certo una sala affollata.
s.