"Gazzetta di Parma" del 10 dicembre 1894
Lo spettacolo del Regio per il prossimo carnevale sembra adunque siasi assicurato. Il contratto regolare però non venne ancora firmato. Si attende in giornata una risposta in proposito. L'impresa verrebbe assunta dai signori Sonnino e C. di Milano, impresari che già ebbero e tennero con onore gli altri teatri principali di Genova, Mantova, Rovigo ecc. Si rappresenterebbero al nostro Regio le opere: l'Otello di Verdi, Manon di Puccini ed altre due di repertorio da destinarsi in seguito. Sappiamo pure che della compagnia di canto farebbero certamente parte il tenore Galli che ora furoreggia a Genova appunto nell'Otello, la Del Frate per l'opera Manon che ella canta attualmente con molto successo pure a Genova, la Giudici un mezzo soprano di valore universalmente conosciuto, oltre ad altri cantanti ben noti in arte. Direttore d'orchestra sarà probabilmente o il Conti o il Pomè, o il Cimini. Queste le notizie che possiamo dare oggi. Ci auguriamo e speriamo di poter stampare domani che tutto venne definitivamente combinato e concluso.
"Gazzetta di Parma" del 11 dicembre 1894
Con un telegramma da Milano l'impresario Sonnino annunciava ieri alla commissione teatrale per lo spettacolo del Regio di accettare il contratto e di assumere l'impresa del nostro massimo alle condizioni verbalmente stabilite. Il Regio dunque si aprirà la sera di Natale coll'opera Otello.
"Gazzetta di Parma" del 15 dicembre 1894
PER IL TEATRO REGIO
Come avevamo annunciato giorni sono, lo spettacolo del Regio per il prossimo carnevale è
dunque stabilito. L'impresario Sonnino è sulla piazza. Le prove corali sono già
incominciate. Oggi giungeranno tutti gli artisti e... la barca di Otello entrerà
in porto - speriamo felicemente - la sera di santo Stefano. Le opere che si daranno nel
corso della stagione sono l'Otello di Verdi, la Manon Lescaut di Puccini ed
altre due di repertorio che saranno forse Il Trovatore e La Favorita. Avremo
due compagnie di canto, di cui daremo l'elenco completo quando pubblicheremo l'intero
cartellone. Possiamo intanto dire che l'Otello sarà eseguito dai seguenti artisti;
Eugenio Galli (Otello), Guglielmo Caruson (Jago) Avelina Cruz (Desdemona),
Broglio Luigi (Lodovico), Benvenuta Polacco-Drog (Emilia), Francalancia E. (Montano),
Grossi Eugenio (Cassio). Direttore d'orchestra sarà il nostro concittadino m.
Arnaldo Conti. Maestro dei cori: Eraclio Gerbella. Il complesso degli artisti - ci si
assicura - sia veramente ottimo. La ripresa dell'Otello - da tutti attesa e
desiderata - avrà quindi un'esecuzione degna del lavoro.
"Gazzetta di Parma" del 22 dicembre 1894
Le prove dell'Otello - continuate in questi giorni con cura e con alacrità -
sono ormai a buon punto. Si spera quindi di potere andare in scena la sera di Natale. Un
giornale teatrale cittadino parlando intanto della prossima apertura del Regio scrive:
"Ricordiamo con piacere quando l'opera di Verdi venne rappresentata, per la prima
volta, nel 1887, e speriamo che il confronto, inevitabile, in questa riproduzione dell'Otello,
offertaci dal signor Sonnino, regga in tutta l'estensione della parola."
Ci perdoni l'egregio confratello, ma non ci sembra ben fatto di voler parlare sin d'ora di
confronti quando non vi sono assolutamente i termini per farlo. Quando si rappresentò l'Otello
al Regio nell'87 eravamo prima di tutto in autunno - una stagione cioè in cui gli
artisti costano molto meno, - il Municipio aveva stanziata una dote di 50 mila lire, per
dieci o dodici rappresentazioni dell'opera verdiana, i palchettisti pagavano canone
doppio, e il prezzo serale d'ingresso in teatro era di cinque lire. Oggi vi è una dote,
paragonata a quella, ben meschina, i palchettisti non pagano che il quarto del canone
doppio, e l'ingresso in teatro non costa che due lire. Come si può dunque con questi dati
- istituire dei confronti? Noi perciò amiamo credere che il pubblico nostro si recherà
martedì sera al Regio, colla convinzione di sentire uno spettacolo buono, ma non colla
preoccupazione di dover fare confronti ed in base a questi solamente dare il proprio
giudizio e lasciarsi trascinare all'applauso. Se quest'anno è stata possibile l'apertura
del Regio si deve solo - si può dire - all'iniziativa cittadina, ed al buon volere ed
alla costanza della nuova commissione teatrale. Non lo dimentichino i parmigiani e non
portino perciò questa volta in teatro esigenze e pretese fuori di tempo e di misura.
"Gazzetta di Parma" del 23 dicembre 1894
Dal signor Enrico Grazioli, direttore del giornale teatrale Otello riceviamo la
lettera seguente che per dovere di imparzialità noi pubblichiamo. Non facciamo commenti
però non sembrandocene del caso.
Egregio Collega
Duolmi chiedervi l'ospitalità per queste due righe, ma vi sono costretto dal fatto
che il mio giornale non esce che dopo la prima rappresentazione dell'Otello.
Il confronto, lo ripeto, è inevitabile ed il nostro pubblico, ne sono certo, senza
preoccuparsi di tutto quanto mi avete fatto sapere nel vostro articolo, lo farà, come
sono convinto che se il signor Sonnino ci ripresenta l'opera di Verdi, lo fa appunto colla
certezza che il confronto, da voi tanto temuto, gli sarà relativamente favorevole.
Ch'io poi sia ostile allo spettacolo del Regio, come mi disse un egregio signor cavaliere,
facente parte della commissione teatrale, e come voi lo avete fatto sapere, è
assolutamente falso. Chi ama l'arte, ne esige il prestigio e se questo ci è negato, dove
la fama e la gloria ci rese tradizionali possiamo pretenderla ora dalle marionette!
Meglio di chi sdolcina troppi elogi, saprò debolmente ma imparzialmente, rendere
edotti i miei lettori dell'esito dello spettacolo. Per non approvare quanto fece la
commissione teatrale, bisognerebbe essere cretini, ma si può però sempre dire che, colla
somma raccolta e colle condizioni imposte dalla nostra Giunta municipale, lo spettacolo
non potrà, se non in via eccezionale, annoverarsi fra i migliori del Regio. Vi ringrazio
dell'ospitalità e vi saluto.
Parma, 22,12,94
ENRICO GRAZIOLI
Direttore dell'Otello.
"Gazzetta di Parma" del 26 dicembre 1894
L' "OTELLO" AL REGIO
Il teatro era pienissimo, specialmente nella platea. Vari palchi vuoti causa recentissimi
lutti. Le prevenzioni del pubblico in maggioranza diffidenti ed ostili. Con tutto questo
lo spettacolo ebbe fortuna e l'accoglienza dell'opera ed agli artisti fu delle più liete
e calorose. Non vi fu entusiasmo, ma l'Otello di Verdi non è certamente l'opera
che possa suscitarlo sulla massa generale del pubblico. Ad ogni fin d'atto tutti gli
artisti furono chiamati al proscenio e dopo il finale terzo, anche il valente maestro
direttore d'orchestra Arnaldo Conti dovette presentarsi alla ribalta a salutare e
ringraziare. È stato dunque un successo vero, legittimo e soprattutto meritato. Anche
gl'incontentabili ed ostili - e ve n'eran parecchi ieri sera in teatro - dovranno
convenire con noi che dati i mezzi meschini di cui si dispone, l'impresa Sonnino non
poteva allestire spettacolo migliore, nè più decoroso pel nostro Regio. Lo ha compreso
il pubblico che ha applaudito - come dicemmo - con convinzione ad ogni fin d'atto e dopo i
pezzi principali tutti gli artisti la cui non comune valentia dà resistenza e vigore a
questa riproduzione di Otello. Il Galli è un tenore che ha voce di eccezionale
potenza. Forse talora è un po' aspra, ma è sempre facile e sicura. L'interpretazione del
personaggio fu pure assai accurata e lodevole e l'irruenza brutale e selvaggia del moro
di Venezia fu da lui ritratta con artistica verità. Il Caruson nella parte di Jago
si è rivelato artista intelligente, colto, fine. Perfetto e corretto nella scena
cantò con arte e con maestria somma, doti che ieri sera rifulsero ed ebbero pieno
successo specie nel sogno di Cassio. La signora Cruz fu una Desdemona dalla
voce delicata, soave, gradevole. Impeccabile nell'intonazione si appalesò artista sicura
ed efficace. Il Broglio nella breve sua parte mostrò imponenza e buona voce. Anche il
Grossi, il Francalancia, il Barbieri contribuirono all'esito felice dello spettacolo. La
signora Polacco-Drog (Emilia) ieri sera dominata dal panico - non diede alla sua
ingrata parte tutto il rilievo desiderabile. Siamo certi però che saprà farlo nelle
rappresentazioni venture. L'orchestra suonò con anima, con forza, con colorito. Peccato
non sia un po' più numerosa specialmente negli archi. Il maestro Conti direttore
infaticabile e valorosissimo ha fatto un vero Tours de force ha concertato in
pochissimo tempo uno spettacolo pieno di responsabilità. - Anche i cori furono abbastanza
sicuri, se non abbastanza numerosi. Il maestro Gerbella ha ottenuto dai suoi allievi
quant'era possibile ricavare. Discreta la messa in scena, decorosi i costumi. In
conclusione adunque l'apertura del nostro massimo è riuscita ieri sera mondanamente ed
artisticamente felicissima. Ringraziamone gli dei, la commissione teatrale e l'impresa
Sonnino, ed auguriamo a quest'ultima che il favore del pubblico non le venga mai meno e
che questa stagione, iniziata tanto brillantemente, continui così sino alla fine. Stasera
seconda dell'Otello. In settimana avranno principio le prove della Manon di
Puccini opera e maestro nuovi per Parma.
"Gazzetta di Parma" del 27 dicembre 1894
LA SECONDA DELL'"OTELLO"
Teatro affollatissimo anche ieri sera. Molti palchi occupati e tutti più popolati che
martedì. Alla seconda rappresentazione l'Otello ebbe una esecuzione di gran lunga
più precisa, più soddisfacente che non l'abbia avuta la sera antecedente, ed il successo
fu pieno completo, clamoroso. Tutta l'opera fu gustata ammirata con un crescendo di
interesse e di commozione che ebbe il suo sfogo alla fine di ogni atto coronato da intense
e generali approvazioni. L'atto quarto che è musicalmente un poema - segnò il punto
culminante del successo, anche per l'interpretazione splendida della Cruz e del Galli. La
Cruz dopo la canzone del salice, e specialmente allo scoppio dell'addio Emilia!
e dopo l'ave Maria - che ella cantò con tanto doloroso sentimento e tanta
delicatezza da doverla ripetere - si ebbe applausi ed acclamazioni meritatissime.Il Galli
cantò ed agì da artista. Nella sua potente voce - seppe trasfondere nell'ultima scena
tanta passione, tanto dolore, tanta commozione da meritare davvero quella salve d'applausi
che lo chiamò alla ribalta alla fine dell'opera in unione alla dolce Desdemona.
Dopo il grandioso finale terzo dovettero presentarsi al proscenio oltre a tutti gli
artisti anche il bravo maestro dei cori Eraclio Gerbella ed il valente direttore
d'orchestra Arnaldo Conti che diede prova ieri sera di ferrea memoria dirigendo l'opera
senza spartito. E non dimentichiamo neppur oggi di ricordare che il Caruson - nei panni
dell'onesto Jago - fu cantante delizioso e artista perfetto. Tutti adunque
gareggiarono di zelo - orchestra, cori, cantanti - così che, l'Otello - come
l'udimmo ieri sera - è uno spettacolo che onora i suoi interpreti ed il teatro. Sabato
terza rappresentazione.
"L'Otello" del 31 dicembre 1894
Eccomi, fedele al mio compito, a dare l'esito della prémiere dell'Otello al
nostro Regio. Teatro pieno, eleganti signore della migliore società, alcune notate per la
loro bellezza, e molti giovanotti, formavano l'elemento principale. Alle 20 e 10 minuti
il maestro Conti segnala, al pubblico, già impaziente, il principio dell'opera. Il
primo applauso è per Otello all'Esultate. Altro applauso a Jago nel
primo duetto con tenore. Applaudita con insistenza Desdemona nell'Ave Maria della
quale si chiese il bis. Alla fine d'ogni atto pure una chiamata alla ribalta di tutti gli
artisti. Passò sotto silenzio, Ora e per sempre addio sante memorie; la stupenda
frase: sangue, sangue, sangue; il credo; il concertato(*) del 3°
atto e la mandolinata, eseguita malamente da 4 mandolini e due chitarre! e così pure l'a
solo per contrabassi (solo cinque, due dei quali a 4 corde) eseguito, per rafforzarlo
anche dai violoncelli. Ed ora agli artisti. Se metto in prima linea la signorina Cruz
Augusta non è già solamente perché essa appartenga al sesso gentile, ma anche perché
la credo artista di merito non comune, che possiede è vero, poco volume di voce, ma canta
con accento e grazia tanta che la rendano una Desdemona tutt'amore, commovente
nella carezza della voce insinuante e straziante nei momenti di dolore. Il baritono
Caruson, Jago, è pure artista intelligentissimo, accenta in modo veramente
eccezionale, ma dispone di limitati mezzi vocali. Nelle sere successive sarà maggiormente
applaudito, perché possiede il segreto del vero canto purtroppo ai dì nostri
abbandonato. Il tenore, ex baritono, Galli credo che farà miglior carriera cantando da
baritono, perché la sua voce poco s'appresta alle dolcezze tenorili. Possiede
però molta voce e col tempo, riescirà un artista corretto e sicuro, come spero che il
pubblico distinguerà maggiormente in lui quei pregi che possiede, i quali, talvolta,
sfuggono ad una prima rappresentazione. Passo frettolosamente Cassio, Lodovico,
Montano, Emilia, i quali fecero del loro meglio, ed arrivo all'orchestra, per dire
francamente che in taluni punti ha suonato proprio maluccio! Non so se per
deficenza d'archi, per mancanza di prove, di affiatamento col palcoscenico; in una
parola, molti intelligenti hanno dichiarato, a malincuore, che non sembrava la nostra orchestra
del Regio. La precipitata andata in iscena ne è forse la causa; aspetto quindi una
completa rivincita. Messa in iscena non troppo sfarzosa. Tutto sommato però e sebbene
siamo, dove siamo, consideriamo il mite prezzo d'ingresso di due sole lirette ed
esclamiamo: cosa pretendere di più? Ci duole toccare un tasto che stona ma ci
siamo costretti dal fatto che il signor Sonnino dichiarò, e testimoni ne fanno fede,
ad alcuni corrispondenti dei principali giornali teatrali d'Italia (diciamo i principali)
che era dolente ma non dava l'ingresso che a quelli locali. Siccome noi, e ce ne siamo
grati, non abbiamo avuto nemmeno l'invito di assistere ad una prova, teniamo a
dichiarare che ugualmente facciamo il nostro dovere, ed infatti, come è dovere d'ogni
impresa mandare l'invito ai giornali locali, lo è pei cronisti di annunciare e
parlare dello spettacolo. Noi quindi lo abbiamo fatto più che volentieri, specialmente in
riguardo agli artisti, i quali vollero il nostro battesimo, serbandone cara memoria, ed è
quindi giusto ch'essi non debbano risentirne se capitati con un impresario che non ricorda
le regole cavalleresche perché, forse, non le ha mai conosciute.
G.
(*) Difficile pezzo a 12 parti separate.
"Gazzetta di Parma" del 11 gennaio 1895
LA MANON LESCAUT AL REGIO
La grande aspettativa per l'opera del Puccini, chiamò ieri sera al Regio un pubblico
scelto e numerosissimo. Tutti occupati i posti distinti; nei palchi brillavano in
elegantissime toilettes la maggior parte delle signore della high-life.
Notai di sfuggita, fra le tante, in prima fila: la contessa Ferretti Crescini colle
contessine Sacchi di Nemours, la contessa Cantelli colla signorina Odero, la signora
Paralupi, la sig. Martinez Magni in splendido décolleté, la contessa Giacobazzi
Fulcini in rosa, la sig. Zileri Laro colla sorella, la signora Pecoraro in bianco colla
signora Rasori Testi; le sig. Silvestri. In seconda fila la marchesa e marchesina di
Soragna in ricco abbigliamento nero la prima, in bianco la seconda, la sig. Ferrari, la
sig. Razzetti, la sig. Ceccherelli in rosa; le signore Baistrocchi colla signorina Ginevra
Della Croce in un vaporoso abito bianco; pure in bianco elegantissima, la baronessa Puccio
Ferrari; la giovine e raggiante marchesa Pallavicino Terlago in nero; la sig. Mariotti; le
elegantissime signore Bassani e Guastalla, la sig. Melli colla graziosa figlia in celeste;
la contessa Gaetana Crescini colla sig. Lombardini; la marchesa Ricci Gandolfi; le
signorine De Gregori; la sig. Bruni; la sig. Thovazzi colle figlie. In terza fila le
signorine Andina in rosa, la signora Gambaracolla figlia e tante altre che debbo omettere
perché la memoria mi tradisce e per lasciare libero lo spazio al critico teatrale. Sono
stato vittima di un tiro birbone. Per la prima volta che, quest'anno sono andato al Regio
e, mentre speravo di passare la mia serata, come un bravo borghese qualunque che vuol
godersi le due lirette che ha speso, con l'animo sgombro da preoccupazioni, il mio
collaboratore per la parte artistica, mi piglia all'improvviso e mi dice: oh, bravo;
poiché è venuta a teatro, la relazione le farà lei! Io!... Ma non ci fu cristi. O la
relazione l'avrei fatta io, o i lettori della Gazzetta non avrebbero conosciuto
l'esito della Manon Lescaut. Protestai; ma fu giuocoforza sottomettermi. Se in cuor
mio mandai a tutti i diavoli il mio signor collega, non potevo, in coscienza fare
altrettanto coi lettori. Il vecchio Z ha troppi motivi di riconoscenza verso di essi, per
sottrarsi al disusato pondo che mi s'imponeva. Soltanto, giuro che non mi si coglierà
più. E ho ragione di lagnarmi, perché scrivere di un'opera, della quale non si conosce
una nota, senza avere assistito ad una prova, senza nemmeno aver letto con attenzione il
libretto sembrerà a tutti e sembra, in particolar modo a me una impresa temeraria. Tanto
più che il mio giudizio non è soccorso da quello del pubblico, il quale nell'espressione
del suo parere, fu tutt'altro ché concorde. L'opera del m. Puccini ha sostenuto oramai
tante prove, che il giudizio di Parma - non se l'abbiano a male i miei concittadini -
oramai nulla le dà e nulla le toglie. La Manon Lescaut deve possedere dei meriti
reali ed incontrastabili, se è piaciuta in tanti altri teatri, e a me sembra che abbiano
avuto torto coloro, i quali si sono affrettati a dare di essa un giudizio troppo assoluto,
troppo severo.
Dappoiché la moda vuole che non sia musica buona se non quella che si gusta dopo molte
audizioni, e magariddio quella che non s'arriva mai a gustare per quanto la si oda,
gl'impazienti dovevano rassegnarsi ad ascoltarla ancora qualche sera, e sono persuaso che
avrebbero finito per scoprire delle bellezze, dove forse meno lo sospettavano. Ed ho,
anzi, il dubbio che i gerofanti della musica, così detta, dell'avvenire stenteranno a
mettere il Puccini tra i santi del loro calendario, perché, effettivamente nella Manon
non mancano i pezzi che si afferrano e si gustano sentendoli la prima volta. Il
secondo ed il terz'atto, per verità, mi sembrano pieni di bellezze. Il prim'atto - che
serve alla presentazione dei personaggi del dramma - invece è rumorosamente vuoto.
L'istrumentale si affanna, con un affastellamento pesante di suoni - reso più intenso
dall'orchestra che fa pompa di forza eccessiva e fuori di proposito - a trovare l'idea, se
non il motivo; ma le idee sono fugaci e non nuove e di essi si perde tosto la traccia, i
motivi mancano, e in quanto ad effetti non si cava in sostanza un ragno da un buco tranne
forse che in ultimo quando sotto il parlante di Lescaut e di Geronte si
sente la cantilena degli studenti. E l'atto, effettivamente, è finito con un zittio molto
pronunciato e significativo. Il second'atto, dove c'è movimento d'azione, vita e
passione, la musica si rialza e si raffina. Il duetto tra Manon e Lescaut contiene
delle frasi calorose e gentili. "O mia dimora umile" per esempio, è un pensiero
delicatissimo e che fu gustato assai dal pubblico. Ma la seconda parte, cominciando dal madrigale
cantato a mezza voce per andare alla scena del minuetto - pezzo che fino a
quando sarà eseguito da una artista del valore della sig. De Frate è di effetto
irresistibile - e finire colla stretta finale, è tutta opera di getto e di polso e rivela
che il compositore è un'artista che esce assolutamente dalla sfera comune. Ma tutte
queste vere bellezze, una parte del pubblico non ha inteso - e dico così perché mi
ripugna il pensare che non abbia volute intenderle - sicché agli applausi degli uni, si
contrapposero le disapprovazioni clamorose degli altri. Il terz'atto pure racchiude
bellezze di primo ordine. Se la musica appare troppo all'altezza della situazione,
eminentemente drammatica, nel duetto tra tenore e soprano quando Des Grieux rivede Manon
attraverso l'inferiata della prigione, in attesa di partire per l'America, essa si
rialza a vera potenza drammatica nel gran finale. La sfilata delle cortigiane dannate al
bando accolte dagli scherni della folla, mentre Des Grieux e Manon si
scambiano addii strazianti e parte dei borghesi incitati da Lescaut compassiona la
poveretta, formano un contrasto di effetto potente, immancabile. Questo pezzo fu alquanto
deficente per ciò che riguarda l'esecuzione, perché il tenore, che se l'era cavata bene
al primo atto, facendosi applaudire, ed anche al secondo, ha finito per lasciarsi vincere
dal panico. Anche qui, il pubblico - la gran maggioranza, per vero dire - vinta dalla
potenza del dramma e della musica scoppiò in un fortissimo applauso e volle rivedere più
e più volte gli artisti ed il direttore al proscenio; ma ciò non fu senza destare una
reazione, sicché la gara tra chi applaudiva e chi fischiava durò un bel po' di tempo, ma
con notevole prevalenza degli applausi. L'azione del dramma, nel quart'atto si raffredda.
Come è noto, Manon e Des Grieux fuggendo il deposito, si sono smarriti
nelle vaste solitudini che circondavano Nuova Orleans, allora poco più di un meschino
villaggio infestato dalle febbri. Manon, estenuata dalla fatica, arsa dalla
sete,disfatta dalla febbre, sta per morire. Invano il fedele amico suo la conforta e
l'assiste. La bella peccatrice non resiste al male e spira. L'atto, dunque, si compendia
in un solo duetto. E il duetto è una continua declamazione. L'orchestra ha fremiti
d'amore e di passione, grida strazianti di disperazione. Tutto questo è indiscutibilmente
bello; ma... Questo ma mi sfugge involontariamente. Anche in musica sono una coda
impenitente e male so acconciarmi a tutta questa modernità, massime se è spinta come a
me sembra il caso - fino all'abuso. E la battaglia tra contenti e scontenti si riaccese,
calato il sipario, più veemente che mai e durò lunga pezza, tanto che non ne vidi la
fine. Tenore, prima donna, direttore d'orchestra furono chiamati al proscenio una
infinità di volte, tra l'ostilità, non meno insistente, di parte del pubblico.
Finalmente sì trovò un compromesso per metter pace tra i belligeranti. La signora De
Frate venne spinta fuori dalle quinte da sola e, allora, ogni dissidio fu impossibile:
tutti andarono a gara per applaudire la bravissima artista. In quanto all'esecuzione ed
agli artisti - se si pensa che questa è una compagnia nuova di zecca, tutta differente da
quella che rappresentò l'Otello - mi pare che il pubblico non avrebbe motivo di
lagnarsi. Ho già accennato al successo riportato dalla signora Ines De Frate. Quasi direi
che quel successo, quantunque pieno, incontrastato calorosissimo, è stato ancora
inferiore al merito della artista. La signora Ines De Frate possiede una bellissima voce,
d'un'estensione straordinaria, intonata, agilissima; ed un vero talento d'artista. Ritengo
che poche assai saranno le prime donne in Italia, capaci di eseguire la Manon tanto
bene. E questo dico perché è notorio che quelle benedette prime donne, con la scusa che
cantano il genere drammatico si credono lecito d'impuntarsi - come farebbe una rozza
davanti a un fosso - di fronte alla menoma difficoltà che richiegga agilità di voce.
Invece la signora De Frate, che nel second'atto della Manon è tutta brio e trilla
e gorgheggia che è un piacere, nel terzo e nel quart'atto, segnatamente, si appalesa
artista drammatica di prima forza e rende gli strazi, gli spasimi e gli affetti della
protagonista con una verità che soggioga e impressiona. Ripeto: malgrado le incertezze
della serata la signora De Frate riportò un vero successo, che si appalesò con gli
applausi che essa, riscosse lungo l'opera e, in particolar modo dopo il minuetto, del
quale fu chisto il bis. Invece il successo del sig. Colli fu assai contrastato e si
aspetta da lui la rivincita. E mi pare che possa darla. Egli non ha gran voce e questa è
segnatamente debole nel registro basso; ma, in compenso, sale con facilità agli acuti.
Iersera egli era in preda ad una paura verde; ma è sperabile che per la prossima
rappresentazione si rinfranchi e faccia valere i suoi mezzi che se non sono molti, sono
però simpatici. Un eccellente Geronte è stato il basso-comico sig. Luigi Broglio,
il quale ha una bellissima voce e, sta molto bene in scena. Al baritono è toccata una
parte che mi è sembrata alquanto insignificante. Il sig. Arturo Cerratelli se l'è cavata
abbastanza bene. Come pure se la sono cavata assai bene il tenorino sig. Eugenio Grossi,
nella sua triplice parte di studente, di maestro di ballo e di lampionaio;
ed il contralto, signora Polacco-Drog, nella parte di musico. Discretamente anche
il Francalancia ed il Barbieri. Nei cori c'è stata qualche incertezza passata
inavvertita. All'orchestra mi sono permesso già di fare l'appunto che suona forte oltre
la necessità. Essa però m'è sembrata attenta e precisa e al preludio del quart'atto
riscosse un applauso caloroso. I vestiari e le scene - queste, specialmente, per noi
parmigiani, troppo male avvezzati da Magnani e da Giacopelli - sono dissotto della
critica. E qui termino la cronaca. Non prima, però, d'aver detto che il teatro pienissimo
ed elegantissimo era, di per sé, un gradito spettacolo.
Z.
"L'Otello" del 11 gennaio 1895
Sono tanto ostile allo spettacolo che ho ritardato di un giorno la pubblicazione del giornale per dare il resoconto della Manon, ed ho detto tanto male dell'Otello, come, alcuni sapientoni (?) vogliono far credere, che su parecchi giornali teatrali ho riletto brani del mio articolo relativo agli artisti! Ieri sera prima della Manon. Dramma lirico in 4 atti del Maestro Giacomo Puccini.
ESECUTORI:
Manon Lescaut, Ines De Frate
Lescaut, Arturo Ceratelli
Des Grieux, Ernesto Colli
Geronte di Ravai, Luigi Broglio
Edmondo, Eugenio Grossi
Un sergente, Pietro Francalancia
Un musico, Benvenuta Polacco Drog
Un comandante, Tomaso Barbieri
Alle ore venti e 15 minuti colla solita precisione il maestro Conti da
il segnale all'orchestra. Poche battute precedono l'alzata della tela. Una festa
popolare, un coro non troppo chiaro ma eseguito discretamente; la ballata
di Des Grieux pezzo abbastanza sentimentale e cantato con grazia dal
tenore Colli. Giunge la diligenza con Manon, Lescaut e Geronte.
Il primo duettino fra tenore e soprano è grazioso, e graziosa assai è l'istrumentale;
la frase: Deh, se buona voi siete, siccome siete bella e l'altra ...è
in voi l'aprile predominato in tutta l'opera.
Originale un dialogato fra flauto e clarino ma mi pare esiga un'esecuzione fine
delicata che appena si rilevi. Il finale del primo atto è carino e fu eseguito
benissimo, lode al maestro Gerbella per la perfetta intuizione artistica che
profuse nei cori. Al secondo atto, il migliore, noto la cantilena di Manon "O
mia dimora umile" detta con espressione e sentimento dalla sig. De-Frate.
Riuscitissimo e ben trovato il Madrigale, peccato che fu eseguito con
un'incertezza fenomenale. Originale è il continuo effetto di sordine
in ispecie nella scena del maestro di ballo. Una perla, un rubino il minuetto;
che il sommo maestro lucchese indovinò o, meglio, creò. Dalla sig. De Frate
fu eseguito divinamente e cantò come ella sola sa. Emette un re naturale
scoperto con una sicurezza e facilità che il pubblico entusiasta ne chiese
ed ottenne il bis. Il gran duetto fra Manon e Des Grieux che
ricomincia con la fuga del primo atto, presto raggiunge la massima intensità
di effetto e finisce artisticamente; peccato che l'esecuzione mancò assai,
causa una nota mancata al tenore che mi assicurano indisposto. Musicalmente
assurdo il finimondo che chiude l'atto. L'intermezzo orchestrale che apre il
terzo atto fu poco applaudito e poco gustato, mentre fu, ad onor del vero, eseguito
benissimo. Esordisce colla frase: è in voi l'aprile e seguita col motivo
del secondo duetto d'amore, insomma è un tessuto dei migliori motivi dell'opera.
La scena dell'appello delle cortigiane è arrischiata per l'azione, ma è un pezzo
magistrale con pizzicati che, giustamente, imprimono il carattere tragico. L'ultimo
atto, un duetto con ripetizione dei temi precedenti. Il monologo di Manon
ha momenti felici e si ripete un dialogato fra flauto e oboe che
veramente s'addentra nel meraviglioso sebbene la situazione sia forse un po'
troppo prolungata. Tanto dopo il 3° atto che a fine dell'opera si ebbero chiamate
alla ribalta e sonori fischi. L'opera ebbe il successo sperato? ...Non è un'operona,
ma è ricca di melodia, di effetti variati, bizettiani anche, ma esige un'esecuzione
eccezionale; un'orchestra numerosa che l'effetto si rilevi dal numero non dal
suono forte esagerato. Due parole per gli artisti. Il primo posto spetta alla
signora Ines De Frate che della Manon fa una vera creazione. La sua parte
è faticosissima e contrastata, ma essa la interpreta con una bravura drammatica
e vocale, quale s'addice ad un'artista di merito non comune. La sua voce è limpida,
intonata, sicura, agile, emette acuti, tra i quali ho notato il re, in
modo che poche l'eguagliano. In una parola fu l'eroina. Se un appunto però posso
fare alla signora De Frate si è questo che, a mio modesto avviso, l'interpretazione
data alla scena dell'ultimo atto, è forse non del tutto indovinata. Troppe volte
cade, troppe volte riprende interamente le forze, che d'altronde sono indispensabili
per cantare tutte quelle frasi, tutt'altro che da moribonda, che sono nello
spartito.
Si potrebbe forse rimediare, facendo sì che la protagonista, anziché cadere
a terra, potesse trovare un macigno qualunque su cui, in posizione più comoda,
potesse riposarsi e cantare. Il tenore sig. Ernesto Colli, non solamente era
indisposto, ma andò in iscena dopo pochissime prove, senza conoscere bene l'opera,
e gli sono scusate quindi le poche incertezze di una prima sera, causate anche
dal panico che in lui padroneggiava. Lescaut (Ceratelli) fece del suo
meglio e fu applaudito; Geronte non intese perfettamente la parte che
deve rappresentare. Bene il Grossi nella parte però del lampionario.
Benissimo i cori e l'orchestra diretta dall'infaticabile maestro Conti al quale
spetta un'elogio speciale per la ferrea memoria dirigendo le opere senza spartito.
Messa in iscena meschina.
G.
"L'Otello" del 17 gennaio 1895
Assicurato dalla Gazzetta della buona riuscita dello spettacolo, mi
recavo ieri sera al Regio per udire la quarta edizione della Manon, riveduta
e corretta,... ma sulla porta del nostro massimo, un minuscolo cartellino manoscritto
(messovi all'ultim'ora) diceva: Essendosi rifiutato il signor Ernesto
Colli di cantare questa sera, senza alcun diritto, né ragione, l'impresa si
trova obbligata a far riposo.
Povera impresa! a Dio spiacente ed a nemici sui! Un tenore fa sequestrare gli
incassi serali (sempre senza alcuna ragione, ben s'intende), l'altro si rifiuta
di cantare! Chi è fatalista s'accontenterà di dire che la Manon era destinata
qui a cadere; chi non crede al destino potrà darsi ragione dell'accaduto - un
po' più filosoficamente - pensando che la natura intima delle cose resta tale
com'è perché così dev'essere, e che non i voti (concretati in applausi stitici)
degli azionisti, non gli incensi di giornali compiacenti la possono mutare.
Noi non ci erigiamo a giudici: non lo vogliamo, né lo potremmo fare. Vero è
però che i fatti accaduti non sono certamente di quelli che onorano imprese
e commissioni teatrali.
"Gazzetta di Parma" del 18 gennaio 1895
La ripresa dell'Otello fu accolta dal pubblico con schietto e sincero entusiasmo. La rappresentazione di ieri sera è stata tutta un trionfo per i bravi interpreti dello splendido spartito verdiano. Il Galli, il Caruson e la Cruz furono accolti al loro apparir sulla scena da generali applausi. Il Galli dovette ripetere l'Esultate che egli canta con tanta forza e tanta potenza di voce, e la Cruz - come al solito - concesse il bis dell'Ave Maria. Il Caruson - che è ritornato a noi carico degli allori raccolti a Montecarlo - riscosse approvazioni clamorose e generali specialmente dopo il credo, e più ancora dopo il Sogni di Cassio che egli canta in modo veramente insuperabile. Ad ogni fin d'atto tutti gli artisti furono chiamati due o tre volte al proscenio fra le ovazioni del pubblico. Dopo il finale terzo dovette anche presentarsi il maestro direttore d'orchestra A. Conti. In conclusione adunque quella di ieri è stata una splendida serata. Tutti gli interpreti dell'Otello fecero del loro meglio e fecero benissimo e l'opera ottenne un trionfo. Non dimentichiamo di ricordare che pure il Grossi fu un Cassio lodevolissimo e che se la cavarono molto bene anche la Drog, il Barbieri, il Francalancia. Ma il momento più bello e più gradito dello spettacolo fu quando nell'intervallo fra il terzo e il quarto atto il baritono Caruson si presentò alla ribalta a leggere commosso un telegramma di Baratieri che annunciava una nuova e più splendida vittoria dell'esercito italiano in Africa. Quel messaggero, vestito da teatro, che pareva uscito ad annunziare uno dei soliti inconvenienti di palcoscenico e che colla notizia di un fasto patriotico levava in alto i cuori di tutti, fece prorompere il pubblico in un enorme grido di giubilo. Tutti si levarono in piedi sventolando i fazzoletti ed i capelli e chiedendo la marcia reale che fu subito eseguita dall'orchestra e poi bissata e ancora trissata fra il generale entusiasmo.
"Gazzetta di Parma" del 21 gennaio 1895
Nella Manon Lescaut del maestro Puccini ha debuttato ieri sera al Regio il nuovo tenore Luigi Rosati il quale ha avuto dal pubblico numeroso che era in teatro lieta accoglienza. Il nuovo artista era in preda a grandissimo panico; non ha quindi potuto dare la giusta prova del suo valore. E noi perciò attendiamo a giudicarlo dopo la prossima rappresentazione della Manon. La De Frate - la valentissima protagonista - ha dovuto trissare il minuetto fra le ovazioni del pubblico. Pure tutti gli altri interpreti dello spartito pucciniano furono assai applauditi.
"Gazzetta di Parma" del 22 gennaio 1895
In questa settimana - come già era stato annunziato - doveva andare in scena
al Regio la Favorita per debutto della signora Maria Giudice. Ora, per
circostanze impossibili a prevedersi, la messa in scena dell'opera del Donizetti
è stata rimandata. La Commissione teatrale ha perciò rivolto alla valente artista
signora Maria Giudice la lettera seguente per pregarla di acconsentire a presentarsi
prima nella parte di Azucena che in quella d'Eleonora.
Parma 21 Gennaio 1895
Egregia Signora
Questa Commissione teatrale non può rifiutare il suo appoggio a una impresa
che soddisfa puntualmente ad ogni suo obbligo; ed è per questo che, tenuto conto
delle difficoltà alla medesima create da circostanze tutt'affatto imprevvedute,
essa Commissione si rivolge a Lei, o Signora, vale a dire all'artista che al
valore accoppia il sentimento del bene, per pregarla a voler presentarsi sulle
scene di questo R. Teatro, prima sotto le spoglie di Azucena nel Trovatore,
e poscia sotto quelle di Eleonora nella Favorita, richiedendo
quest'ultima opera un tempo maggiore pel suo allestimento. Ciò nulla toglierà
al successo che Ella saprà meritarsi; mentre acconsentendo, avrà reso un segnalato
servizio all'impresa predetta, e un singolare favore a questa Commissione, la
quale Le anticipa, per mio mezzo, vive azioni di grazie, sin d'ora persuasa
della di Lei cortese adesione. E intanto, o Signora, accolga l'attestazione
della mia più distinta stima.
Il Presidente
P. BOCCHI
L'egregia signora ed artista avrebbe naturalmente bramato assai di debuttare nell'opera del Donizetti, pure per non danneggiare l'impresa e per favorire i componenti la Commissione, ha gentilmente aderito alla richiesta di questi e sabato sera essa si presenterà sotto le vesti di Azucena a ricevere il plauso del nostro pubblico.
"Gazzetta di Parma" del 27 gennaio 1895
"IL TROVATORE" AL REGIO
Il Trovatore - com'era da prevedersi - ha avuto ieri sera un nuovo e splendido
successo. Assisteva alla rappresentazione un pubblico straordinariamente numeroso: i posti
erano quasi tutti occupati, gremiti i palchi e la platea. L'opera del Verdi piena di
melodie bellissime, inspirate, appassionate - è di quelle che non stancano mai e che
tutti più facilmente comprendono. Quella musica parla al cuore: ha in sè il talismano
che rende durevole le opere d'arte, che dà loro un fascino eterno: la potenza della
commozione, la foga appassionata, la spontaneità del sentimento. L'esecuzione del Trovatore
al Regio è stata ieri sera in generale assai buona; eccezionale per parte della
signora Maria Giudice Caruson un'Azucena insuperabile. Gli spettatori dettero quasi
ad ogni scena la prova del loro aggradimento ed anche talora del loro entusiasmo. Ad ogni
fin d'atto evocarono al proscenio tutti gli artisti parecchie volte. È stato dunque un
successo splendido e sopra tutto meritato. La signora Cruz - in una parte non addetta ai
suoi mezzi - ha saputo farsi valere egualmente. La preziosità e la purezza del suo canto,
la pastosità della sua voce fecero sì che il pubblico l'applaudisse calorosamente dopo
tutti i pezzi principali. Il Galli è più che mai in quest'opera il tenore dalla voce
prepotente, splendida. Dovette naturalmente ripetere: Di quella pira, dopo di che
fu chiamato al proscenio numerose volte. Al simpatico e modesto artista rivolgiamo il
consiglio di dimenticarsi - specialmente nel quarto atto - di essere stato sino a poche
sere fa, un superbo e bravissimo Otello. Certe irruenze di voce e di movimenti non
ci sembrano in quest'opera al loro posto. Il baritono Guglielmo Caruson è stato un Conte
di Luna ammirevole per scena e per interpretazione.. Dopo la romanza Il balen del
suo sorriso, che egli cantò con artistica finezza, il pubblico che pure lo applaudì
in tutta l'opera - lo salutò con una generale e meritata ovazione. Molto bene anche il
basso Broglio nella sua breve ed insignificante parte. Ed ora poche parole per constatare
il successo entusiastico ottenuto dalla signora Giudice, da chi cioè per merito e per
valore avrei dovuto nominare prima di tutti. Quest'artista - la trionfatrice della serata
- già ben nota in arte, giacché ha cantato nei primari teatri in Italia e fuori, è
stata pel pubblico nostro una rivelazione. La parte di Azucena - che musicalmente
è un capolavoro - ha avuto in lei un'interprete splendida eccezionale, grande. La sua
voce è limpida, estesa, ben timbrata, il suo fraseggiare chiaro, corretto, sa cantare con
anima e senza esagerazioni, sa trasfondere nelle note il sentimento, sa, a tempo, spiegare
un'efficacia ed un accento drammatico eccezionali, sta in scena infine da vera e perfetta
artista. La canzone di vendetta: stride la rampa fu interpretata con profonda
passione, con energia selvaggia. I suoi occhi scintillavano di collera l'accento della sua
voce rivelava il concitato, racchiuso dolore. Il brano di musica dovette essere bissato
fra le ovazioni del pubblico, ovazioni ed applausi che si ebbero quasi ad ogni frase da
lei cantata. E così nel terzo e nel quarto atto ebbe entusiastiche approvazioni da tutto
il pubblico che acclamava in lei l'artista insuperabile, l'inarrivabile Azucena.
Discretamente se la cavarono pure il Grossi, il Barbieri, la Sciaccaluga. Ottimi i cori
istruiti dal Gerbella. L'orchestra - abilmente diretta dal Conti - andò abbastanza bene.
Certi tempi però non mi sembrarono di una storica fedeltà. Scene e vestiari discreti. In
conclusione adunque un successo splendido, magnifico; uno spettacolo - che pur non essendo
scevro di difetti e di mende - deve annoverarsi fra i buoni, fra i meritevoli di essere
ricordati, sentiti ed applauditi. Finisco invitando il pubblico ad accorrere in folla al
Regio anche stasera alla seconda rappresentazione di questo fortunato Trovatore. Il
bollettino degli spettacoli della settimana entrante è il seguente:
Mercoledì: Il Trovatore.
Giovedì, serata dei poveri: Manon Lescaut.
Sabato: prima della Favorita.
S.
"Gazzetta di Parma" del 3 febbraio 1895
Teatro affollatissimo per la prima della Favorita. Lo spettacolo - diciamolo subito - non piacque. L'esito fu in complesso freddissimo ed assai contrastato e alla fine dell'opera il pubblico diede indiscutibili segni del suo malcontento. Molte cause hanno contribuito al semi insuccesso. Prima fra tutte l'assoluta deficenza, di prove e di concertazione dell'opera. Troppe incertezze, troppe debolezze, troppe slegature in orchestra, e tra questa e il palcoscenico mancanza di affiatamento, di coesione. Parecchi pezzi però dello spartito vennero presentati con quel colorito che è tanto necessario a dar vita alla musica. L'insieme ripetiamolo, è andato malamente e non sappiamo dar torto a quella parte di pubblico che ha protestato. In quanto agli artisti principali, si può dire che - esclusa la coppia Giudice-Caruson - gli altri non furono tali da soddisfare le esigenze del pubblico. La signora Giudice è stata un'Eleonora applauditissima, tanto per la voce robusta, timbrata, quanto per efficacia scenica. Specialmente l'adagio della romanza: O mio Fernando venne cantato da lei assai bene. Il Caruson fu un Alfonso XI dal canto corretto e reso con ogni migliore espressione artistica specie nelle difficoltà del terzo atto. Il pubblico applaudì calorosamente il valentissimo artista dopo tutti i pezzi principali e sorpattutto dopo l'A tanto amor. Il tenore Rosati ha avuto dei buoni momenti e delle buone intenzioni... Stasera indubbiamente, più sicuro di sé, egli saprà far meglio. Registriamo intanto per la cronaca gli applausi che egli ha ottenuti dopo la romanza del primo atto. Il Broglio in una parte che non è per lui - ha fatto quanto poteva - Discreti il Grossi e la Sciaccaluga. Cori eseguiti bene e con colorito alcuni, altri lasciarono a desiderare. Messa in scena non sempre decorosa. Stasera seconda rappresentazione della Favorita.
"Gazzetta di Parma" del 20 febbraio 1895
La serata popolare del Trovatore datasi ieri sera al Regio è riuscita quale prevedevasi. Teatro enormemente affollato. Non un posto vuoto nel parterre, gremito il loggione, assai popolati i palchi. Molta gente venne rimandata non potendo il Regio contenerne assolutamente di più. Tutti gli interpreti del popolare spartito verdiano ebbero la loro parte d'applausi, ma soprattutti la Giudice ed il Galli. Quest'ultimo dovette trissare il famoso Di quella pira dopo del qual pezzo egli venne evocato al proscenio più e più volte fra le ovazioni e le grida del pubblico entusiasmato.
"Gazzetta di Parma" del 24 febbraio 1895
Magnificamente bene è riescito ieri sera al Regio lo spettacolo ad onore dei coniugi Giudice-Caruson. Accolti ambedue da applausi al loro presentarsi sulla scena, furono fatti segno durante tutta la rappresentazione alle testimonianze più schiette e sincere di simpatia e di ammirazione da parte del pubblico abbastanza numeroso accorso in teatro. La Favorita procurò a questi due valentissimi artisti i soliti cordiali applausi. La signora Giudice dovette concedere il bis dell'allegro della romanza O mio Fernando, dopo del qual pezzo le furono presentati fra le ovazioni del pubblico numerosi ed elegantissimi trionfi di fiori e parecchi oggetti di valore. Il Caruson che fu pure applauditissimo dopo i pezzi principali della sua parte nella Favorita, bissò la splendida serena del Don Giovanni che egli disse in modo splendido con raro e grande intuito artistico. A lui venne meritamente offerta una grandiosa corona d'alloro. Naturalmente il punto culminante dello spettacolo, il maggior successo della serata, fu, come doveva essere, il rondò finale della Cenerentola. Dopo questo pezzo che la signora Giudice cantò con bella agilità di voce superando facilmente ardue difficoltà, il pubblico batté le mani con entusiasmo, fece bissare il pezzo e rievocò parecchie volte alla ribalta l'esimia artista, ammirabile ancor di più quando si pensi che da Azucena a Cenerentola è grande il passo. La serata adunque fu splendida e ben meritate furono le feste che il pubblico fece alla coppia valente.
"L'Otello" del 8 novembre 1894
PARMA PEL TEATRO REGIO
Riceviamo, e, con quella imparzialità che ci distingue, pubblichiamo quanto un'azionista
ci scrive, riserbandoci di fare, a tempo opportuno, diversi appunti.
Egregio Signor Direttore,
In questi giorni si fa un gran parlare per lo spettacolo al nostro Teatro Regio. Da una
parte si sentono degli azionisti, i quali intendono che lo spettacolo lo si faccia andare
in casa (come si suol dire); altri dicono che fastidi non nè vogliono e cercheranno
un'impresario che ne assuma l'impresa, altri ancora vorrebbero dare il ricavato delle
Azioni al Municipio, perché poi questo lo dia a titolo di dote e bandisca il concorso.
Secondo il mio debole parere, il più logico sarebbe che le spese tutte dello spettacolo
fossero sostenute dagli azionisti che, avendo così un interesse diretto e immediato nella
cosa, metterebbero alla testa, persone capaci in materia. Dico il più logico,
inquantochè essendo l'azione eventualmente rimborsabile, l'azionista stesso ha un
certo diritto, a fine stagione, di sapere come sono andate le cose. Viceversa invece, se
lo spettacolo si dà ad un impresario, questo, non solo non vorrà far vedere né spese
né introiti; ma non vorrà nemmeno sapere da qual parte venga quel danaro né da chi sia
dato: all'impresario basterà solo una persona che garantisca quella dote: e siccome il
totale delle azioni con quello che darà (se lo darà) il Municipio, riunito, non
arriverà a molto, l'impresa non vorrà nemmeno mettersi soggetta ad una Commissione che
la sorvegli, sia per l'approvazione degli artisti e per tutto il resto, e non vorrà
nemmanco mettere una adeguata cauzione o garanzia. Cosicché potrà darsi di avere un
discreto spettacolo se si ha la fortuna di capitare con un onesto impresario; ma siccome
questo è molto difficile, così ho anch'io la tema di grandi malumori. Dunque mi metto
assolutamente con quei signori azionisti; i quali vogliono sapere dove, e come vanno i
proprii danari. S'intende che devono studiar bene per trovare la persona che sia addentro
alle cose del Teatro e sia pienamente in conoscenza con artisti, masse corali ed
orchestrali e veda che il preventivo, salvo disgrazie, sia ragionato. Con questo però non
voglio dire che lo spettacolo, col danaro fin'ora raccolto, sia facile a darsi;
tutt'altro, anzi è difficilissimo, inquantoché la cifra raccolta, unitamente a quello
che potrà dare il Municipio e gli introiti serali, sono molto al disotto delle spese,
anche al massimo ridotte. Contrariamente poi alle mie asserzioni, trovo nella Gazzetta che
la sottoscrizione ha già raggiunto il totale necessario per dare un conveniente spettacolo
e che in vista di ciò, la Società dei Commercianti ha deciso l'apertura del Regio -
però, soggiunge che la sottoscrizione resta ancora aperta, e che il ricavato servirà per
migliorare lo spettacolo, oppure andrà a favore dei signori azionisti. Credo però che
gli azionisti, o massima parte di questi, ignorino ancora quale spettacolo avranno, e che
lo ignori anche la stessa Società dei Commercianti; se questo è, come fa detta Società
a dichiarare che la cifra raccolta è sufficiente, per dare un conveniente spettacolo?!
Questa dichiarzione la si può fare quando si può disporre di una dote, o regalo, di un
40,000 lire, ma non quando appena si arriva a 20,000 lire. Ripeto di nuovo; a meno che lo
spettacolo non venga assunto o da un barone, o da una Società cittadina, od anche
da un concittadino, il quale, naturalmente, per le amicizie, potrebbe avere delle
facilitazioni, un impresario di speculazione, coscienziosamente, non lo può assumere con
ciò che gli si può ora offrire. Si troverà l'impresario che assumerà lo spettacolo,
ma, facilmente, a metà stagione pianterà in asso tutto e tutti e chi ha avuto ha
avuto; cosa del resto non nuova al nostro pubblico il quale deve essere a conoscenza, e lo
sa positivamente la Direzione, che, alla metà delle stagioni, succede sempre, o quasi, la
crisi per mancanza d'olio, e si è costretti far dei sacrifici per salvare la
baracca, mettendo o sotto amministrazione l'impresa, od anticipandogli con non poco
rischio, danaro che, il più delle volte, non va dato che al termine della stagione; posso
anche assicurare che le perdite, a fine Carnevale, furono non indifferenti a questo da 10
anni consecutivi. Ritornerò sull'argomento se ne sarà del caso - per ora ripeto ai
signori azionisti di andar cauti e non abbracciare il primo capitato, pur di avere lo
spettacolo al Regio. Un'ultima indiscrezione: - L'Azione è o non è eventualmente rimborsabile?
e se è rimborsabile come si pensa di dar lo spettacolo ad un impresario? Ma ognuno sa che
un impresario se anche, finanziariamente, la stagione gli è propizia, non rende nemmeno
più un soldo; e questo è troppo logico!
Parma 7 novembre 1894.
Un azionista.
"Gazzetta di Parma" del 17 gennaio 1895
UNA DIMOSTRAZIONE
Ieri sera il pubblico che accorreva numeroso al Regio per la quinta della Manon,
trovò con sua sorpresa i battenti chiusi. Un avviso scritto ed affisso alle colonne ed
alle cantonate del teatro faceva noto che, il tenore Ernesto Colli rifiutandosi di cantare
senza motivi giustificati l'impresa era costretta suo malgrado a non dare la
rappresentazione annunciata. Poco dopo molte delle persone che accorrevano al Regio si
fermarono sotto l'abitazione del tenore alla Croce Bianca ed improvvisarono un
clamoroso chiarivari per lui poco lusinghiero. Assunte informazioni circa questo
improvviso ed inatteso incidente teatrale abbiamo saputo che il sig. Colli si rifiutò di
cantare nella sera di S. Ilario adducendo di non volerlo fare tre sere di seguito, sebbene
nel suo contratto di scrittura non esistesse nessuna clausola in proposito. Dopo vive
preghiere, acconsentiva qualora però l'impresa gli pagasse un forte compenso.
L'impresario gli offrì cento lire ma l'artista tenne duro nel suo rifiuto. In seguito a
notte inoltrata mandò a chiamare l'impresario e gli comunicò che egli rinunziava alle
100 lire e che avrebbe cantato a patto che la commissione teatrale gli presentasse durante
lo spettacolo una corona di alloro, da lui stesso fornita. La commissione - molto
giustamente - credette bene di non aderire a tale pretesa trovando la cosa niente affatto
decorosa e forse anche provocante per il pubblico. Durante lo spettacolo il tenore non
vedendo apparire la corona, che già aveva fatto recare in teatro, diè in tali bizze da
rompere lo specchio del suo camerino. Ieri chiese all'impresario che gli fosse pagato il
compenso delle cento lire alle quali aveva dichiarato di rinunciare. Dietro rifiuto
dell'impresario, accusò un'indisposizione che i medici del teatro dottori cav. Romani e
Pizzetti trovarono insufficiente a far sospendere la rappresentazione, potendosi, tutt'al
più farne avvisato il pubblico al principio dello spettacolo. E infatti anche dopo le ore
17 il sig. Colli faceva noto all'ispettore di P.S. cav. Cavatore, essere egli pronto a
cantare - quantunque indisposto - purché gli venisse pagato l'indennizzo già chiesto per
la recita di lunedì. Queste le notizie raccolte in proposito, alle quali non crediamo
opportuno fare alcun commento lasciandone giudice il pubblico. È facile che l'autorità,
per ragioni d'ordine pubblico, non abbia a permettere ulteriori rappresentazioni della Manon
col tenore signor Colli, poiché se il nostro pubblico è disposto qualche volta a
tollerare la poca voce d'una artista, non perdona però che gli si manchi di riguardo.
"L'Otello" del 24 febbraio 1895
AD AUGUSTA CRUZ
nell' "OTELLO" di Verdi, al Teatro Regio di Parma per la sua SERATA D'ONORE (16
Febbraio 1895)
Come lieve carezza d'un'amante,
così lieve è il tuo canto. - La dolcezza
sta ne lo sguardo tuo, quando, implorante
pallida, triste ne la tua bellezza -
chiedi al Moro la vita. - Affascinante,
quando pregusti de l'amor l'ebbrezza,
e tutta, a chi t'uccise, palpitante
abbandoni la lieta giovinezza.
Salgon le note limpide, argentine,
salgon le alate melodie, divine,
come in un bosco, trilli d'usignolo.
E quel tuo canto, quella voce arcana,
dolcissima, nel cor sveglia una strana
voglia di pianto. Il pianto del tuo duolo!
Con piacere pubblichiamo il sonetto che abbiamo presentato all'esimia artista nella sua serata d'onore. Ormai tutti sanno che l'Otello fu l'opera meglio concertata e meglio eseguita, per cui essendo stata data moltissime sere come sostegno della stagione, noi, pur conoscendo i meriti della sig. Cruz, non ci aspettavamo un teatrone. Invece entrando in teatro fummo contentissimi di vedere, non solo un pubblico numerosissimo, ma un teatro come solamente si trova nelle grandi occasioni. Palchi, poltrone, riservati tutto occupato! Al suo apparire, la geniale artista, fu accolta da un applauso entusiastico interminabile. Alla fine del primo atto Le vennero presentati doni, fiori e sonetti ed all'ultimo, all'Ave Maria, pezzo che dovette replicare fra ovazioni entusiastiche, innumerevoli furono i doni offerti. Poche volte invero artiste ed artisti ebbero tanto onore, specialmente al nostro Regio, e sebbene nella corrente stagione l'intelligente pubblico parmigiano sia stato abbastanza indulgente verso taluni artisti, la signorina Cruz non va annoverata certamente fra questi; poiché la sua correttezza e sicurezza, la voce dolce, melodiosa ed intonatissima sono suoi meriti indiscutibili. Ci uniamo ai nostri colleghi che giustamente segnalarono i veri trionfi avuti in altre città, e desiderosi di riudire l'esimia artista, le diamo ora un sentito e sincero arrivederci.
"Gazzetta di Parma" del 8 gennaio 1895
LA "MANON LESCAUT" DI G. PUCCINI AL REGIO
Dopo un giro attraverso quasi tutti i principali teatri d'Italia e moltissimi dell'estero,
la Manon Lescaut di Giacomo Puccini si presenterà fra poche sere al nostro Regio,
il cui verdetto ha sempre un significato non piccolo e non indifferente per tutte le
produzioni artistiche. Nessun lavoro del Puccini si è ancora rappresentato a Parma; si
comprende quindi come l'aspettativa del pubblico nostro, per l'ultimo melodramma del
giovane maestro lucchese, sia vivissima. Da un articolo di Jarro - l'arguto e
brillante critico della Nazione di Firenze - togliamo in gran parte i dati che
seguono e che interessano la vita dell'autore della Manon. Il maestro Giacomo
Puccini esce da una quarta generazione di musicisti. Il suo avo Giacomo Puccini nato nel
1712, fu il maestro di cappella della Repubblica lucchese; scrisse musica sacra, cantate:
anche il figlio Antonio fu maestro di cappella, scrisse musica in stile severo: l'uno e
l'altro furono filarmonici di Bologna, onore ambito a quei tempi. Lo stesso Domenico
Puccini e Michele, padre dell'appassionato cantore della Manon furono compositori
di musica sacra: solenni contrappuntisti. Il padre dell'autore delle Villi, dell'Edgar,
della Manon moriva nel 1864. Giacomo Puccini ebbe il primo insegnamento della
musica dal maestro Magi suo zio materno, direttore del Liceo musicale di Venezia, morto
nel 1881. Studiò armonia col maestro Angeloni, allievo di suo padre: studiò a Milano due
anni col sommo Bazzini, poi con quel poderoso, popolare compositore che fu Amilcare
Ponchielli. Uscì giovanissimo dal Conservatorio nel 1883. Scrisse per prima opera le Villi
che fece rappresentare nel giugno dell'84 al Teatro Dal Verme di Milano, un'opera che
i sapientissimi della commissione di un concorso avevano rifiutata e che in pochi anni
dette quasi la celebrità all'autore. Sin d'allora si disse dai più malevoli che Giacomo
Puccini era capace anche di scrivere buona musica. La sua seconda opera L'Edgar rappresentata
nel 1889 alla Scala di Milano, scritta su un infelice ed insulso libretto, ebbe buon
successo, ma non riuscì un capolavoro. Il Donizzetti, il Rossini, Il Verdi hanno scritto
capolavori su libretti pessimi: ma il Puccini non si propose con l'Edgar di
oscurare la gloria di tali genii. Ciò prova come già il fecondo giovane maestro riesca a
far tutto quello che vuole. Manon Lescaut è la terza opera del m° Puccini: fu
scritta nel 1892, ed andò in scena a Torino nel febbraio del 93 dove ottenne un successo
addirittura trionfale. Nel libretto furono cooperatori l'avv. Domenico Oliva e Luigi
Illica scrittori di vivissimo ingegno, ma il maestro rifece molto da sé: ecco perché i
libretto non reca nomi d'autori. Ma è un libretto facile, di una sceneggiatura
abilissima, di molta efficacia e non poca perspicuità. Il maestro lavora attualmente
attorno alla sua quarta opera; Bohême sul libretto di Giacosa ed Illica - i quali
tolsero il soggetto dalla Vie de Bohême del Murger. - Della sua quinta opera La
lupa è già messa in musica buona parte del primo atto. Il Verga ha scritto con
questo titolo un dramma che sarà presto recitato da Eleonora Duse... Da quel dramma il
Verga e il De Roberto han tolto il libretto per il Puccini. L'autore della Manon ha
una trentina d'anni o poco più. Ha fisionomia aperta e gioviale, non scevra però di
energia. È di media statura di corporatura robusta, bruno, gagliardo, simpatico. È
velocipedista, ma si vanta soprattutto di essere un perfetto cacciatore. Non è
improbabile che il Puccini venga ad assistere ad una rappresentazione della Manon al
nostro Regio. In una lettera indirizzata ad un suo amico di qui, scrive: "Sono ormai
stanco di correr dietro ai miei lavori... ma Parma potrebbe decidermi a muovermi."
Speriamolo.
"Gazzetta di Parma" del 26 dicembre 1895
GLI UGONOTTI AL REGIO
Al Regio, ieri sera, per la prima degli Ugonotti il pubblico era assai numeroso.
Non era per vero dire molto ben disposto specialmente in principio, ma col procedere dello
spettacolo, andò sempre accalorandosi ed ebbe applausi nutriti, generali, schietti al
primo atto per il Masin (Raul) che cantò la sua romanza con bella voce, per il paggio
signorina Bastia che sfoggiò agilità di gola e prestanza di persona, e per il basso
Wanrell Marcello. Nel secondo il successo si andò accentuando. Fu molto
applaudita la Martelli - la regina - ed il finale dell'atto - per merito
soprattutto della signora Gilboni che emise alcune note di una invidiabile bellezza e
potenza - venne ripetuto. Nel terzo il duetto fra il basso Wanrell e la Gilboni ambedue
artisti eccellenti - venne anch'esso bissato. Nuovi entusiastici applausi al Masin nel
settimino. Bissata pure - non però a richiesta di tutti - la danza delle zingare. Al
quarto atto il pubblico si arrese, conquiso completamente. Se la musica dei primi tre atti
gli aveva permesso talora di far le pulci all'esecuzione, nel quarto - e più
particolarmente nel duetto - e musica ed esecuzione dissiparono ogni incertezza e
determinarono il successo sicuro, completo, entusiastico riassunto da quattro o cinque
chiamate - a tela calata, cui dovette prender parte anche il maestro Bracale. Il pubblico
il quale, pur non rendendosene ragione, ha subito in faccia agli Ugonotti, presi
come opera d'arte complessivamente, quel tantino di senso di stanchezza, che emana dalle
cose uscite oramai dalla lor cerchia di azione, ritornerà - io ne sono più che convinto
- a riudire soprattutto il terzo e quarto atto, e ci si divertirà immensamente
riportandone una delle più belle e durature impressioni.
Gli esecutori principali: sono tutti, chi più, chi meno, artisti e cantanti
valenti. Fra questi chi aveva il più difficile compito era Raul di Nugis, il
tenore Masin, che pochi anni sono cantò già al nostro Regio nel Rigoletto non
ottenendo certo in quest'opera quel successo clamoroso che ha meritato ieri sera negli Ugonotti.
L'egregio artista ci è ritornato per verità molto migliorato. L'ammirevole freschezza e
bellezza della voce che sale con facilità e sicurezza agli acuti che sono limpidi e
sonori, il fraseggiare appassionato e caldo fanno di lui in quest'opera un cantante
prezioso. Il Masin ha certo davanti a sé il più lieto avvenire e il pubblico ha voluto
dimostrarglielo con gli applausi e le chiamate unanimi entusiastiche, soprattutto dopo il
quarto atto. Valentina fu la signora Gilboni, un'artista nuova al nostro pubblico
ma non nuova ai trionfi. La sua bella, estesa ed intonata voce, la sua efficacia
drammatica giustificarono il grande successo che ella ha ottenuto anche fra noi. Fu per
merito suo in particolar modo che venne ripetuto il finale del second'atto. Nel duetto con
Marcello e nel grande e celebre duetto del quarto atto fu efficacissima sempre, in certi
punti veramente ammirabile e strappò a più riprese l'applauso entusiastico pure a scena
aperta. Alla Gilboni ed al Masin toccarono gli onori massimi della serata, onori per
verità, ben meritati. La signorina Martelli - Margherita di Valois - rese quel
difficile secondo atto fatto tutto ad arzigogoli, scoglio di tante gole con grazia, con
simpatica voce e con notevole agilità. Fu molto applaudita. La parte del Conte di
Nevers - che pare cosa da nulla - è pei baritoni cosa disagevole. C'è poco da
sfoggiare ed occorre molta finezza. Al Bellagamba al quale non manca certo la splendida
voce e che per la prima volta cantava questa parte il pubblico ha avuto ragione di
dedicargli speciali applausi alla scena della spada, oltre a quelli collettivi e
accordargli così il suo completo favore. Un buonissimo, un eccellente Marcello il
basso Wanrell, un artista che sa cantare che ha voce bella, di notevole e magnifica
estensione. Riscosse approvazioni calorose dopo tutti i pezzi principali. Anche il Giovin
Paggio - l'avvenente signorina Bastia meritò la festosa accoglienza ricevuta per il
canto aggraziato e la voce simpatica. Un Saint-Bris abbastanza lodevole il
Rossini. Dei comprimarii buoni specialmente la Giussani, il Cervi ed il nostro Barbieri.
La messa in scena: discreta - Bello solo il (sic) scenario del quarto atto.
Costumi... né belli né brutti, né tutti dell'epoca. Ma perché quella corsettina al
proscenio nella congiura?
Concertazione: affrettata. Qualche tempo forse troppo stretto, altro troppo
lento. Cosa questa da discutersi ma che non toglie nulla al merito del Bracale, oculato e
pronto direttore, il quale ha compiuto davvero un prodigio andando in scena con un'opera
come Gli Ugonotti dopo pochissime prove. Deficienti i cori, soprattutto per
quantità e qualità di voci. Non è colpa del loro ottimo istruttore maestro Gerbella se
per Gli Ugonotti è necessaria una massa corale imponente, per numero e per
bontà, quale purtroppo a Parma oggi non abbiamo. Del resto son persuaso che pure da
questo lato l'esecuzione complessiva migliorerà assai. Anche pei coristi le prove son
state davvero pochine. Abbastanza attento il corpo di ballo.
La musica: La freddezza del pubblico in alcuni punti deve attribuirsi anche al
tempo che su di essa è passato. Tutto l'orpello dei primi due atti interessa assai poco e
non abbaglia più, poiché ad altre luci il pubblico è stato abituato. Il dramma
incomincia al terzo atto; e lì l'interesse s'accentua. Al quarto atto trionfa; e la
pagina sublime della scena fra Raul e Valentina toglie l'uditore da ogni
preoccupazione, estingue ogni senso critico.
Per concludere: un successo completo, pieno, caloroso, entusiastico perfino in
alcuni punti. Uno spettacolo che darà certamente degli utili, e che richiamerà al Regio
per parecchie sere un pubblico numerosissimo. Alla volenterosa impresa auguro di
continuare la stagione così felicemente e brillantemente come l'ha iniziata. Alla
commissione teatrale che tanto si è affaticata quest'anno per concludere lo spettacolo, e
a pochi giorni dall'apertura del Regio, ha saputo concludere così bene, inviamo vivissimi
rallegramenti sicuri di renderci interpreti dei sentimenti di quanti amano aperte le
nostre maggiori scene. Ed ora una preghiera alla gentilezza del pubblico: non si chiegga
anche per un sentimento di riguardo doveroso verso gli artisti, il bis di tutti
quei pezzi - e sono molti che rapiscono e trasportano l'uditorio. Si rifletta alla
grandiosità e lunghezza dello spartito capace d'esaurire ugole adamantine. Ieri sera si
ebbe nientemeno che il coraggio di chiedere ad alte grida il bis del duetto del
quarto atto.
"Gazzetta di Parma" del 12 gennaio 1896
L'AIDA AL REGIO
È già suonata la mezzanotte e non ho voglia di scrivere un lungo articolo. D'altronde, a
quale scopo? Si deve parlare ancora dell'Aida? Oppure rifare la cronaca delle Aide
di Parma che ebbero quasi tutte il sussidio di una concertazione vigorosa, completa,
mancata in parte a quest'ultima edizione? L'impresa ha dato anche al capolavoro verdiano
il concorso di qualche bella e superba voce e quello non indifferente di un apparecchio
scenico decorosissimo in parecchi punti veramente fastoso, ma non ha potuto dargli qualche
prova di più e... qualche artista migliore. Di qui non pochi nei che stenteranno
forse a sparire alle successive rappresentazioni, di qui un insieme tale che se
non ha impedito gli applausi continuati durante la rappresentazione, ha fatto però
mancare allo spettacolo il momento solenne dell'entusiasmo quello che completa il vero
successo. Lo avremo stasera? Non sono profeta nè figlio di profeta e lascio volentieri in
questo genere di cose, la parola al pubblico. Noto intanto - per scendere e particolari di
cronaca che la sala del Regio era ieri sera molto affollata di un pubblico scelto ed
elegante, e che i principali artisti il tenore Masin, la Bianchini Cappelli, il Wanrell,
il Bellagamba riscossero applausi e due chiamate al proscenio alla fine del secondo e del
terzo atto. La Bianchini-Cappelli (Aida) che per la prima volta presentavasi al
nostro pubblico - è un'artista da poco tempo in carriera. Ha voce estesa e sicura anche
se non sempre simpatica in tutti i registri. Meno dominata dal panico credo potrà fare
molto di più di quello che non abbia dato prova iersera. Per il tenore Masin la parte di Radamès
non mi sembra delle più adatte. Egli è sempre però un artista tale da levarsi
d'impiccio con onore anche nell'Aida. Della sua voce bellissima, specie nel
registro acuto, per il quale può temere pochi confronti egli dette prova nei punti più
importanti dell'opera. Un Amonasro dalla voce bella ed intonata il Bellagamba, il
quale se studierà, potrà riuscire veramente un ottimo artista. Un buonissimo Ramfis il
Wanrell. Degli antichi splendori la Zeppilli-Villani conserva ormai più poco. È quindi
riescita una Amneris in parecchi momenti deficiente per voce, però sempre
scenicamente efficace. Il Rossini è stato un Re degno di lode così pure sono in
quest'opera degni di ogni elogio i coristi e il loro istruttore maestro Gerbella. Della
concertazione ho già detto che mi è sembrata un po' trascurata ed affrettata. Le scene
quasi tutte abbastanza belle. Eleganti e taluni anche sfarzosi i costumi. Stasera seconda
dell'Aida.
"Gazzetta di Parma" del 15 gennaio 1896
La nuova edizione dell'Aida colla signora Gilboni ha incontrato il pieno favore del pubblico numeroso accorso ier sera in teatro. L'egregia artista, accolta da un applauso di saluto al suo presentarsi in scena, fu festeggiata dopo tutti i pezzi principali dell'opera, e così dopo le due romanze e in tutto l'atto terzo dove in modo speciale ebbe finezze ammirabili di canto e diede alla sua voce espressione e colorito notevole. Particolarmente per merito suo venne ripetuto fra un uragano d'applausi il duetto col tenore Sì fuggiam. Nuove approvazioni e due chiamate al proscenio alla fine dell'atto a lei, al Bellagamba ed al Masin - che ieri sera cantò meglio delle precedenti rappresentazioni, con più vita, con più forza. Altri applausi e una nuova chiamata alla ribalta alla Gilboni e al Masin dopo il duetto finale dell'opera, consacrarono il successo dello spettacolo. Stasera ancora Aida.
"Gazzetta di Parma" del 26 gennaio 1896
FALSTAFF AL REGIO
LA PRIMA RAPPRESENTAZIONE
La sala
L'aspetto della sala era imponente e costituiva per se sola un gaio spettacolo. Tutte
occupate le poltrone e la maggior parte dei riservati, molti i forestieri venuti
espressamente dalle vicine città e dalla provincia. Nei palchi brillavano quasi tutte le
stelle della nostra high-life in ricche ed elegantissime Toilettes.
Chiudendo ora gli occhi e trasportandomi col pensiero nella vasta sala del Regio mi
proverò a menzionarne buon numero e perché il compito mi riesca più facile, seguirò
l'ordine numerico dei palchi. Confido che le belle signore, sempre cortesi, vorranno
perdonarmi le involontarie dimenticanze e gl'immancabili sbagli. Cominciando dalla prima
fila scorgo nel palco del R. Commissario due signore, una la cognata del R. Commissario
signora Rebucci, l'altra la signora Cavasola, moglie del prefetto di Modena; rammento
quindi le signore: Montanari, marchesa Pensa di Marsaglia in nero e rosa insieme alle
signorine Elena e Dora Pallavicino, una in celeste, l'altra in rosa, le signorine Solari
in bianco e Silvestri in celeste, la sig. Testi, la sig. Frilli, delicata e soave figura,
in \bianco e rosa geraneo, la sig. Rasori in bianco, le signorine Albertini; la marchesa
Leontina Pallavicino Mossi in una ricchissima toilette bianco e rosa e la di lei
cognata marchesa Bianca Pallavicino Terlago in bianco; la graziosissima sig. Lusignani
Pecoraro in lilla, le due cognate signore Ferrari, l'una in nero e bianco, l'altra in
bianco; pure in bianco, elegantissima, la sig. Prependina Bocchi Marchi, la sig. Lagori
colla figlia March. Malaspina, la marchesa Pallavicino Cavriani colle due figlie in
bianco; la signora Tocci, una delle frequentatrici del Regio più eleganti, in uno
splendido abbigliamento in raso giallo, la sig. Anna Marchi colla gentile figlia in rosa.
Nella seconda fila ricordo la signora nob. Pacces colla figlia in bianco e la sig. Bodrio,
le gentili signorine Guglielmina e Bianca Marchi in bianco; la marchesa Carrega in nero
colla figlia in celeste e la signorina Dodici in rosa; la signora Lombardini colla nipote
marchesa Paveri Fontana in una ricca toilette bianco e granato, ambedue
appassionate cultrici della buona musica; la contessa Crescini colla giovine e bella
contessa Ferretti, la contessa Bice Sanvitale in celeste colla cugina signorina Mina pure
in celeste; la signora Thovazzi in nero colla figlia in giallo, la contessa Frigerio e la
sig. Nievo, la signora Marchi Volpini colla bionda e incantevole figlia in rosso; la
marchesa Ricci in bianco, le signore Corazza in tre diverse elegantissime toilettes.
Quindi la signora Ceccherelli, ellenico fiore che conserva tutto il suo profumo di
gioventù e bellezza, in broccato bianco e rosa; la signora Melli colla gentile figlia in
bianco, la signora Negri Marchi in nero colla leggiadrissima figlia in rosa e bianco, la
giovine marc. Orsolina Lalatta, veramente splendida in una ricca toilette di
velluto verde con guernizione di fiori, insieme alla marchesa Dosi in nero e rosa e alla
cugina signorina Laura Lalatta in un vaporoso abito bianco; la signora Rossi Tubino in
nero colla figlia in giallo; la signora Razzetti in una toilette gialla di una
ricchezza pari al gusto squisito, in compagnia della bruna e affascinante signorina
Ginevra Della Croce in bianco; la sempre elegantissima contessa Leggiadri Gallani in uno
splendido abito di broccato celeste e pizzi; la signora Mariotti in velluto rosso; le due
belle signore Bassano e Guastalla, la prima in bianco e nero, la seconda in velo giallo;
in velluto granato la marchesa di Soragna - che, con piacere vedo ristabilita in salute
dopo un'indisposizione, fortunatamente lieve - in compagnia della cugina marchesa di
Soragna Taccoli; e infine la signora Martinez Magni in giallo colla leggiadra sorella in
celeste, due signore che sebbene io sia stato forzato a citare in ultimo, sono fra le
prime per bellezza, cortesia ed eleganza. Molte gentili ed eleganti signore e signorine
erano pure nei palchi di terza e quarta fila. Peccato non conoscere il nome di tutte! Ma
il proto è già sulle furie ed io debbo lasciare lo spazio a disposizione dell'egregio
cronista teatrale a cui incombe un ben più arduo compito.
f.m.
La cronaca della Serata
Tre battute bastano per trasportare tutto l'uditorio all'ambiente, alla scena, in cui si svolgono le bizzarre avventure del pancione. La musica accompagna l'azione, la delinea, la spiega. E di mano in mano che questa si fa interessante cresce nell'uditorio l'interesse per la musica. L'apostrofe sull'onore, efficacissima specialmente per la fedeltà con cui Verdi commenta musicalmente le parole, strappa i primi generali applausi. Il Carobbi nell'interpretazione di questo brano si rivela subito artista intelligentissimo, dotato di voce bella ed estesa. Una chiamata al Carobbi, generale e calorosa chiude la prima parte dell'atto primo. Nella seconda parte la scena del cicaleggio - d'una freschezza e d'una vivacità ammirabile - riscuote scarsi applausi. Silenzio alla scena tra Fenton e Nannetta dove pure vi è fluida e scorrente melodia, e silenzio pure sino alla fine dell'atto che si chiude con la ripresa a più voci della frase enfatica di Alice che già era apparsa alla lettura della lettera di Falstaff. Al calar del sipario scoppiano calorosi applausi e le quattro comari compaiono una volta alla ribalta. Nel second'atto il riso è più sincero. Passa sotto silenzio il duettino tra Quickly e Falstaff che è pure uno dei gioielli incomparabili dell'opera e per l'umorismo finissimo che ne scaturisce e per i saluti motteggiatori e per la sprizzante piccola frase: dalle due alle tre che diviene ancor più comica nelle ripetizioni e quando la mormora l'orchesta. Quando Quickly parte le viole e i violoncelli si esilarano esagerando il saluto di lei: Referenza. A questa splendida pagina musicale ne segue un'altra che non vale certo meno. È il duetto tra Falstaff e Ford che riscuote applausi convinti, entusiastici e che solleva negli spettatori la più sincera ammirazione. L'orchestra in questa scena tripudia in una giuliva imitazione delle monete offerte dal marito al lusingato pancione, ed è ancor più giuliva la giocondità strumentale quando Falstaff promette solennemente la cornificazione di Ford. Anche questo duetto viene eseguito assai bene dal Carobbi, un protagonista degno veramente di plauso, e dal Bellagamba. Segue il monologo di Ford sulla gelosia - dove il Verdi mostra l'unghia del leone - monologo appoggiato in modo particolare e con voluta significazione ai corni. Il Bellagamba dice benissimo la sua parte e si guadagna un lungo applauso. Dopo l'aria di Ford ricompare Falstaff e la prima parte dell'atto secondo si chiude col comico episodio dei complimenti d'uscita reso in orchestra da un motivo elegantissimo di violini che riproducono l'affettazione comica di questi uggiosi complimenti. Il pubblico è conquiso dalla bellezza e finezza di questa musica e chiama i due valorosi interpreti alla ribalta. Tutta la seconda parte dell'atto è pure splendida, magnifica. Dal principio e cioè dal dialogo fra le donne al patatrac finale, è tutta una infilata di scene comiche che conquidono il pubblico. Questo non perde un dettaglio della meravigliosa trama musicale. Caratteristico è il duetto tra Alice e Falstaff duetto che contiene la celebre e deliziosa ballata: Quando ero paggio, un gioiello che ha entusiasmato e che il bravo Carobbi - che lo dice con arte e con grande finezza - ha dovuto cantare tre volte, salutato sempre alla fine da acclamazione entusiastiche. Durante la scena della cesta - che è una delle più belle creazioni di Verdi l'ilarità schietta e gustosa che erompe dal pubblico è all'unisono con la musica. Il finale segna il completo entusiastico successo ottenuto da quest'atto. Le chiamate al proscenio a tutti gli artisti furono due, una delle quali in unione al direttore d'orchestra maestro Bracale. La prima parte del terzo atto passa freddina. Vi campeggia un genere diverso e poi l'uditorio è evidentemente ancora sotto l'impressione grande fattagli dal secondo. Le parole di Alice: avrò con me dei putti ecc. sono accompagnate in orchestra da un finissimo e grazioso lavorio dei violini. Questo brano però è passato sotto silenzio malgrado la Bianchini-Capelli (Alice) lo abbia detto abbastanza bene. Nella seconda parte dell'atto si ha subito il sonetto serenata di Fenton - dolcissima ispirazione melodica. Il pezzo piace assai specialmente alla sentita frase finale colta felicemente da Nannetta. Il tenore Bonci si guadagna un caldo applauso. E così è applauditissima la Canzone delle Fate, nuova indovinata melodia che la Martelli dice con arte e con gusto finissimo. Di qui sino alla fine dell'opera silenzio. Poco gustata la fuga finale. Calata la tela gli artisti sono chiamati una volta alla ribalta. Questa la cronaca esatta e sincera dello spettacolo, dalla quale risulta come tutta l'opera sia complessivamente piaciuta e come il secondo atto abbia ottenuto un successo di entusiasmo e d'ammirazione.
La musica
Ormai sul Falstaff si sono scritti e stampati volumi. Torna quindi superflua una nuova completa disamina dello spartito, per constatare il valore grandissirrio di quest'ultima creazione verdiana. Non è più il caso di parlare a lungo di questa musica giocosa quando è noto a tutti l'entusiasmo e l'ammirazione che ha suscitato nei critici e musicisti più intelligenti, italiani non solo, ma anche esteri. Io non posso che unirmi alle lodi generali a ripetere alla mia volta che la bellezza dell'opera è dal principio alla fine notevolissima, stupefacente addirittura nel secondo atto. Nel Falstaff, Verdi - accusato di volgarità - ha voluto essere di una squisitezza sapiente. In alcuni punti come nel sonetto di Fenton all'atto terzo, come nel duetto tra Fenton e Nanetta, come in tutta la parte di Quickly la squisitezza tecnica assurge all'altezza più aristocratica dell'arte. Il compositore ha pagine magistrali come il quartetto delle donne, tutta la fine del secondo atto e il monologo di Falstaff, e quando vuol ricorrere all'espediente teatrale introduce quella fortunatissima e indovinata cosa che è: Quando ero paggio... E in ogni parte e sempre sbalordisce il magistero pel quale l'orchestra non solo segue e commenta la parola della commedia, ma l'amplifica e la sostituisce. Il movimento orchestrale è fino, delicato, ripugnante a tuttociò che si vuole chiamare ora una concessione al pubblico, è comico infine, essenzialmente comico, quando la situazione lo vuole, quando il libretto lo è. Ho avuta la fortuna di assistere - memorabile serata alla prima del Falstaff alla Scala tre anni sono. Ho risentito l'opera molte altre volte in parecchie riproduzioni in diverse città e sempre e dovunque il secondo atto del Falstaff è stato per me una rivelazione, una sorpresa, un godimento. E pensando che Verdi ad ottant'anni scrive un lavoro così nuovo, così originale, che non solo si stacca dai suoi precedenti, ma che non somiglia neppure a quelli che altri hanno potuto fare in questo genere si prova un senso di ammirazione sconfinata per la vigoria dell'ingegno di questo Grande Vegliardo. Dei tre atti del Falstaff il migliore è dunque il secondo, un vero capolavoro, un ricamo graziosissimo, nel quale la vena comico-musicale si accentua e trasfonde la gaiezza nel pubblico. La prima metà del primo atto è invece di poco interesse. Molto bella la seconda metà gaia, festosa, allegra. Una trovata è la frase melodica finale. Nel terzo atto vi è musica con minore vena comica. Però il sonetto di Fenton, la canzone delle fate, il brano di Alice: Avrò con me dei putti... sono canti di squisita fattura, graziosi, indovinati, bellissimi. Classica la fuga che chiude l'opera, ma di difficile esecuzione e difficilissima ad essere subito afferrata e compresa. In conclusione - il Falstaff è come opera d'arte la manifestazione più originale, più forte degli ultimi anni. Ha forse un peccato d'origine: la scelta del soggetto, per verità non sempre simpatico e comico ed è perciò che questa commedia musicale non diverte sempre e non tien sempre svegli quell'allegria, quel buonumore che prorompe ad esempio al massimo grado nel second'atto.
L'esecuzione
È stata in complesso degna di elogio. Tutti, artisti e orchestra, interpretarono con
coscienza d'arte, con amore, con slancio, con cura la nuova opera verdiana e tutti chi
più chi meno meritano lode. L'orchestra - che in questo lavoro è parte importantissima
ha eseguita tutta l'opera con grande sicurezza e per vero dire l'istrumentale del Falstaff
non è di facile esecuzione. Falstaff è Silla Carobbi un cantante che il
pubblico di Parma si rammentava di avere udito e di avere accolto con favore anni sono.
L'artista però è ritornato a noi più completo, più fine, direi quasi più
intelligente. Egli incarna la figura di Falstaff come pochi altri baritoni sanno e
possono fare al giorno d'oggi. Ho avuto occasione di sentire in questa parte altri valenti
artisti e posso assicurare che sentendo il Carobbi li ho ricordati ma non li ho rimpianti.
Egli evidentemente ha studiato con cura grandissima con grandissimo impegno il
personaggio, si è assimilato il buono di buonissime interpretazioni ed è riescito con
ciò un Falstaff ammirevole. All'arte sapiente del canto il Carobbi unisce una voce
baritonale delle più belle, delle più estese. Nessuna meraviglia quindi se ieri sera
egli ha ottenuto un clamoroso successo, e se è stato costretto a trissare anche
per l'efficacissima e fine interpretazione la famosa ballata: Quando ero paggio. Il
Bellagamba - è stato un Ford abbastanza corretto, e colla sua bella voce si è
imposto al pubblico ancora una volta e lo ha trascinato all'applauso. Un po' più di
comicità, un po' più di lepidezza non sarebbero però fuori di luogo. Il Bonci è
riucito un Fenton efficace ed è stato meritamente applaudito dopo il sonetto. Del
quartetto delle donne - il gaietto sciame femminile, che cinguetta, corre,
saltella, ride, si burla del prossimo sempre con grazia infinita, - mi è soprattutto
piaciuta la signorina Martelli, una Nanetta graziosa, sentimentale, affettuosa,
cantante ammirevole sempre, e specialmente nella canzone, della Regina delle Fate che
essa ha detto in modo stupendo, perfetto. La signora Bianchini è stata un'Alice pregevolissima
piena di vivacità, di brio. Anche la Zeppilli-Villani (Quickly) ha fatto del suo
meglio per dare alla sua parte il massimo risalto. Ottima Meg la Bastia. Il
Rossini, il Bertacchini, il Lovati non guastarono ma avrebbero potuto fare di più. Buona
la messa in scena. Scadente il vestiario. Concludendo adunque un'esecuzione complessiva
tale da meritare il favore e l'appoggio del pubblico. L'impresario Romiti anche per questa
terza opera della stagione ha saputo fare le cose per bene e ci ha allestito un Falstaff,
quale non si poteva pretendere migliore date le attuali condizioni del nostro massimo. Ed
ora una domanda. Perché la seconda parte dell'ultimo atto non viene eseguita col lumi
della ribalta quasi del tutto abbassati? Deve essere notte e la luna sola deve dal fondo
illuminare la scena. Stasera alla sua seconda rappresentazione l'opera avrà rinnovato ed
accresciuto il successo e piacerà indubbiamente di più, perché le sovrane bellezze
sparse a profusione in questo spartito saranno meglio gustate.
s.
La commissione teatrale, il Prefetto, e il Regio Commissario hanno telegrafato ieri sera a Verdi il successo completo ottenuto al Regio dal Falstaff. Anche l'impresario Romiti ha partecipato la notizia del lieto esito al comm. G. Ricordi.
"Gazzetta di Parma" del 27 dicembre 1896
ANDREA CHÉNIER
LA PRIMA RAPPRESENTAZIONE
La grande aspettativa destata da questo lavoro che viene a noi preceduto da
due successi: quello splendido della Scala e quello più modesto ma non meno
sincero di Genova, ebbero virtù ad affollare ieri sera in modo enorme la sala
signorilmente artistica del nostro Regio. Il teatro era magnifico. Pieni quasi
tutti i palchi, non un vuoto nelle poltrone, né nei posti distinti. Platea e
loggione rigurgitanti. Non pochi forestieri erano accorsi dalle vicine città
e dalla provincia per assistere a questa importante prèmiere. Non voglio
per oggi che tener conto dell'andamento della serata, riserbandomi di fare un'altro
giorno qualche commento più dettagliato sulla musica di questo Andrea Chènier
che ha ottenuto anche fra noi un buon successo. Successo che è cresciuto
d'atto in atto, ma che si è sempre mantenuto entro certi confini, lungi da ogni
esagerazione. E per questo, tanto più sincero e spontaneo. Nè poteva essere
altrimenti perché l'opera presa nel suo insieme è interessante e commovente
in sommo grado. Umberto Giordano, questo bisogna riconoscerlo, ha dimostrato
buon gusto ed ha avuto la mano felice nella scelta del libretto, libretto che
per la grandiosità del soggetto è tale da intimorire un musicista per quanto
forte egli sia. Il Giordano non si è lasciato spaventare dalle difficoltà; tutte
ha tentato di superarle e se non sempre ha vinto, ha dato però una prova felice
delle sue attitudini, un conferma del proprio ingegno. L'opera non ha preludio
di sorta. Essa comincia con un allegro brillante sul quale è tramato
il parlante degli attori. La musica è poco colorita sino all'arrivo
delle pastorelle che hanno un coro magnifico per fattura e soavemente ironico.
Il pezzo non è apprezzato al suo giusto valore perché eseguito in modo infelice
soprattutto nella chiusa. L'arrivo di Chénier ed il suo bel racconto
accalora e riscalda l'ambiente. Il pezzo ha frasi felici e appassionate e il
tenore Giannini lo dice assai bene, tanto che un applauso clamoroso del pubblico
lo costringe a ripetere l'ultima parte. Durante questo brano apparisce il tema
dell'amore di Chénier per Maddalena. Uscito Chénier comincia
la scena finale dell'atto su un grazioso movimento di gavotta, interotto quasi
subito dall'arrivo di Gerard con Sua Grandezza la Miseria.
Il contrasto fra le danze e l'arrivo di questi affamati non è molto evidente.
È questo anzi, a mio avviso, un momento musicale poco indovinato e felice.
L'atto termina colla ripresa della gavotta e la tela cala lentamente. Il pubblico
rimane silenzioso. Il secondo quadro pieno di indiavolato movimento nel libretto,
deve aver costato fatica grande al Giordano. Tutta la prima parte dell'atto
è un dialogato che si sviluppa sopra un lavoro orchestrale elaborato ma non
espressivo. Sapiente è lo svolgimento del Ça ira, canto caratteristico
della rivoluzione, opportunamente usato dal maestro e che accompagna il passaggio
della carretta dei condannati. Il pubblico continua a mantenersi freddo e silenzioso.
Solo il duetto fra Chénier e Maddalena - dove il tema dell'amore,
frase efficace e melodica, ha il suo completo svolgimento - riscuote alquanto
gli spettatori che applaudono il Giannini e la Sedelmayer e chiedono il bis
del pezzo, bis che non è concesso. La Sedelmayer canta la sua parte
con fascino passionale, con voce simpatica, intonata, sicura. Questa bravissima
artista è subito meritamente apprezzata. Il finale dell'atto un po' confuso
e poco grandioso, non è applaudito. E cade la tela una seconda volta senza che
il pubblico si scuota. Il terzo quadro che è il più importante di tutti e che
contiene situazioni tecniche splendide, interessa moltissimo. Qui la musica
è quasi sempre felice e caratteristica, cupa e impressionante. L'episodio doloroso
della cieca Madelon che offre alla patria l'ultima goccia del suo
vecchio sangue è commovente in sommo grado e la situazione è rivestita
di musica addatta. Altri episodi e particolari riusciti sono il canto interno
della Carmagnola, l'inno popolare dell'epoca e il cinico discorso dell'Incredibile.
Apprezzato ed applaudito è il baritono Casini nel lungo e faticoso declamato
e nella scena con Maddalena. In questo duetto e soprattutto nello splendido
arioso la Sedelmayer ottiene un vero trionfo. Ed invero non si potrebbe dire
e cantare in modo migliore questa pagina commovente di musica. Ma la situazione
incalza e l'interesse si fa grandissimo. Tutta la scena del giudizio, l'apostrofe
di Chènier, la difesa di Gèrard, il passaggio delle reclute,
le grida irose e forsennate del popolo costituiscono un assieme di momenti vigorosi
per verità di riproduzione. La musica commenta ma non aggiunge certo gran che
alla grande teatralità di questo quadro.
Dopo l'addio staziante di Maddalena e dopo il finale di grande effetto, al calar
della tela il pubblico acclama gli esecutori, che compaiono due volte al proscenio
una delle quali - ben meritata - in compagnia del bravo direttore d'orchestra
maestro Zuccani al quale il pubblico fa una vera ovazione. L'ultimo quadro si
svolge nelle prigioni di S. Lazzaro. La prima scena ci presenta una pregevole
e felice ispirazione nel canto di Chènier: Come un bel dì di maggio che
si chiude accompagnato all'interno dalle note della Marsigliese cantante
da Mathieu. La seconda scena importante è il duetto finale, una pagina
di musica ispirata, appassionata, piena d'anima e di cuore. Questo duetto veramente
bello piace moltissimo, ma gli applausi che riscuote sono coperti dal finale
grandioso dell'opera. Alla fine applausi clamorosi e generali richiamano al
proscenio la brava Sedelmayer ed il Giannini.
Questa la cronaca vera ed esatta e le prime impressioni della serata. La musica
del Giordano è in complesso melodica assai, nei momenti lirici assume espressione
efficace per quanto non sia negli spunti melodici fresca e originale. È però
sempre - ed è questo il suo massimo pregio teatrale; ed anzi la concisione,
per la varietà dei coloriti e la giusta quadratura dei pezzi rivela il vero
operista. Nell'orchestrazione, che è però talora troppo pesa ed esuberante,
troppo magniloquente e ampollosa - ci sono molte cose buone, impasti strumentali
felicissimi. Con tutto questo non nascondo che un gran merito nel successo di
questo dramma musicale spetta al librettista per le felici e drammatiche situazioni
presentate, situazioni che non sempre hanno avuto musicalmente la vera espressione.
Il musicista non è stato in complesso, almeno questa è l'idea che mi sono io
pure formata, all'altezza del soggetto. Ciò non toglie e non esclude che l'Andrea
Chèrnier, senz'essere un capolavoro, non sia un dramma musicale degno di
elogio, degno della fortuna che ha incontrato e degno del successo che ha ottenuto
anche fra noi. Umberto Giordano è una grande speranza per l'avvenire dell'arte
musicale. L'esecuzione tanto dell'assieme, che dei particolari fu abbastanza
buona. I cori maschili andarono meglio che i femminili. Questi ultimi lasciarono
non poco a desiderare soprattutto nel primo quadro, e questo certo non per colpa
di mancata istruzione, ma per deficienza di voci soprane nelle nostre coriste.
Scenario decoroso e di effetto e più che decoroso il vestiario dell'atto primo.
Fedelmente storici quelli per gli altri quadri. Ben combinati e discretamente
spigliati i movimenti delle masse; molto di di più certo di quanto non si sia
soliti vedere nei nostri teatri. L'orchestra suonò con molto slancio e con molta
cura. Il direttore Zuccani ha certo compiuto un vero miracolo nell'avere allestito
in così poche prove un'opera dell'importanza e dell'impegno dell'Andrea
Chénier. Le sue fatiche non sono state infruttuose, e il pubblico gli ha
manifestato ieri sera la sua incipiente e già forte simpatia con quel caloroso
applauso che lo ha voluto al proscenio dopo l'atto terzo. Ed infatti egli ha
dato una prova, un saggio completo della sua non comune valentia. I coloriti,
la fusione, e le delicatezze e le impetuosità orchestrali furono tali da soddisfare
censori ben severi.
Il tenore Giannini Grifoni mette tali finezze d'arte e tanto colorito e tant'anima
nell'interpretazione della parte del protagonista, da farsi perdonare quella
lieve deficienza di mezzi che in qualche momento si avverte. Il Giannini ha
voce di timbro gradevolissima, è artista intelligente fornito di ottima scuola
e canta come pochi tenori del giorno possono cantare. Il pubblico ha compreso
di trovarsi davanti ad un vero artista e lo ha molto applaudito, specialmente
dopo l'arioso dell'atto primo, pezzo in cui si volle, _ come dissi,
il bis. Il Casini (Gérard) ha magnifiche note medie, deboli
invece gli acuti, intonazione giusta, efficacia drammatica nel canto e nel gesto.
Anche questo artista fu pure applaudito. Ho tenuto per ultimo la signorina Sedelmayer
quella che si può dire essere stata la trionfatrice della serata. È una cantante
giovanissima che ha voce sicura, estesa, facile calda ed insinuante. Canta con
espressione e sentimento che trascina all'applauso e che commuove. La parte
di Maddalena ha avuto per merito suo un'interpretazione efficacissima
per canto e per azione. Gli applausi più clamorosi della serata furono per questa
artista alla quale sorride sin d'ora uno splendido avvenire. Molte sono le altre
parti dell'opera e tutte di responsabilità. Nessuno ha guastato. Bene il basso
Bellusi, dalla voce potente e gradevole, l'Akermann nella parte della cieca
Madelon, il baritono Viale, un caratteristico Mathieu. Discretamente
il Lovato, il Barbieri, la Fanelli. In complesso uno spettacolo degno del nostro
Regio, e meritevole della più grande fortuna. Stasera seconda rappresentazione.
S.
"Gazzetta di Parma" del 12 gennaio 1897
Ieri sera al Regio prova generale del Sansone e Dalila. Assisteva allo
spettacolo una folla grandissima di invitati che mostrò di gustare e di apprezzare
grandemente la musica splendida del Saint-Saëns. Sull'esecuzione vocale invece
sollevò qualche... dubbio e mentre ebbe per alcuni artisti approvazioni calorose,
ebbe pure energiche disapprovazioni per il cantante che sosteneva la parte di
Sansone. Al second'atto dell'opera il pubblico incominciò a perdere quella
pazienza di cui aveva dato prova durante la rappresentazione del primo. Al terzo,
a un canto isolato del tenore le disapprovazioni si sono fatte più insistenti,
tanto che l'artista dopo avere augurata la buona sera al pubblico si
è ritirato fra le quinte. Un nuovo e generale charivarì ha richiamato
alla ribalta il Sansone il quale ha tentato di dichiarare che al momento delle
ultime disapprovazioni il suo canto non era stonato (!!), che la sua voce era
quella, che se lo volevano sentire bene, se no... buona notte a tutti!
Naturalmente il pubblico ha continuato a protestare, fino a che un membro della
commissione ha dichiarato da un palco di proscenio, che l'artista sarebbe sostituito.
Di poi continuò la prova senza Sansone e senza altri notevoli incidenti. Il
caso di ieri sera meritava di essere narrato perché nuovo negli annuali teatrali.
Il pubblico nostro ha avuto il torto di protestare in così malo modo ad una
prova generale, ma l'impresa e la commissione hanno anch'esse troppo arrischiato
nel presentare, sia pure ad una prova, un simile cantante. Auguriamoci ora che
il nuovo Sansone sia tale da soddisfare le giuste esigenze del pubblico,
sia cioè un protagonista degno dello splendido lavoro del Saint-Saëns.
S.
"Gazzetta di Parma" del 17 gennaio 1897
SANSONE E DALILA
L'autore.
Camillo Saint-Saëns è ormai un pezzo grosso. Come organista e come pianista
è in prima fila. E come compositore è reputato il più dotto e il più forte,
di quella scuola che in Francia si seguita a dir giovine, malgrado quasi
tutti i componenti sieno in avanzata età. Il Saint-Saëns pure ha oltrepassata
la sessantina essendo nato a Parigi il nove ottobre 1835. Narrano i suoi biografi
che egli cominciò a studiare il pianoforte non avendo ancora tre anni. Ebbe
a maestro lo Stamaty e nel 1846 suonò applauditissimo in più di un pubblico
concerto. Studiò l'armonia, il contrappunto e la composizione coll'Halevy e
a sedici anni scrisse un'applaudita sinfonia. Vennero dopo diverse composizioni
per pianoforte, quartetti, romanze, pezzi per orchestra quali Phaéton, Omphale,
Danse Macabre ecc. Quest'ultima venne anche eseguita a Parma nel famoso
concerto dato dalla nostra orchestra diretta da Cleofonte Campanini, prima che
questa prendesse parte al concorso di Torino del 1884. Il Saint-Saëns scrisse
in seguito opere teatrali: La princesse jaune, Le Timbre d'argent,
Samson et Dalila, Etienne Marcel, Henri VIII, Proserpine e
Ascanio. L'Enrico VIII venne pure rappresentato alla Scala di
Milano due anni fa dove ottenne un esito freddissimo. L'opera sua che più di
frequente vien messa in scena in Italia è il Sansone e Dalila che Milano,
Firenze, Genova, Torino hanno avuto la fortuna di sentire e di applaudire.
La musica.
Anche Parma ha potuto ieri sera dare il suo giudizio su questo geniale lavoro
dell'illustre musicista francese, e non ha fatto che riconfermare e riconoscere
che la musica del Sansone e Dalila è bella, quasi direi, da cima a fondo
e quella di tre o quattro pezzi degna di un grande compositore. Il Saint-Saëns
si è ispirato più al soffio grande di poesia che emana dal potente poema biblico,
che non agli infelici versi del signor Lemaire, ed ha saputo scrivere della
musica sapiente ed elevata, or felicemente delicata, or potentemente drammatica,
ed il Sansone è riuscito un lavoro sincero e profondo di un severo innamorato
dell'arte sua. Per quanto l'opera sia stata scritta poco meno d'una trentina
d'anni fa, pur tuttavia essa non risente che in pochissimi pezzi, in cui spunta
l'antica cadenza, l'ala del tempo. Essa è stata composta senza preoccupazioni
di sistemi e di scuole ed è per questo che lo stile del Saint-Saëns è speciale
e caratteristico. Canti all'italiana, recitativi alla Mayerbeer, motivi conduttori
alla Wagner, tutto così bene cementato, così originale nell'ispirazione da conquistare
qualsiasi pubblico e costringerlo all'ammirazione più grande. Assistendo alla
rappresentazione del Sansone si subisce in certi momenti un vero fascino,
fascino che solo esercitano i veri capolavori. L'atto primo incomincia con poche
battute d'introduzione. Rimarchevole subito è il disegno istrumentale che accompagna
i gemiti degli Ebrei, che - ancora a sipario calato - rivolgono a Dio la loro
dolorosa preghiera. Si alza la tela e il coro intuona un fugato di una
nobiltà e chiarezza meravigliosa. Il declamato di Sansone e il dialogare del
coro sono di grande imponenza che ramenta nel motivo orchestrale il fare di
Mayerbeer e di Rossini del Guglielmo Tell. Su una frase dei violoncelli
e contrabassi entra Abimelecco, il satrapo di Gaza che minaccia gli Ebrei, onda
vile di schiavi. L'invocazione successiva di Sansone con quelle scale ascedenti
caratteristiche che descrivono la sua visione, è ricca di movimento marziale,
di entusiasmo. Il preludio alla sortita dei vecchi e delle donne ebree, che
innalzano a Dio l'inno di esultanza, a voci scoperte, è pieno di dolcezza. Il
coro che precede la sortita di Dalila, su un accompagnamento elegante, grazioso
è leggiadrissimo, una vera perla, un vero profumo. Il terzetto fra Sansone,
Dalila e il vecchio ebreo è melodico assai e contiene particolari orchestrali
assai felici. Le danze delle sacerdotesse filistee hanno un colore orientale
indovinato, un'eleganza, una finezza tale da non essere certo facilmente superate.
Il primo canto di Dalila è una melodia larga, su una frase orchestrale deliziosa,
con una cadenza che rammenta il poemetto di Gounod: La biondina. L'atto
termina con nuovi mistici accordi gounodiani. Il breve preludio dell'atto secondo
accenna già al tema del temporale. La prima parte di quest'atto è musicalmente
pregevole ma di scarso interesse. Il duetto fra Dalila e il Gran Sacerdote è
di vecchia forma italiana, troppo prolisso, troppo invecchiato. Invece il duetto
d'amore è ricco d'idee e di passione. Comincia con un calore tutto italiano
e contiene un frase tanto ispirata che basterebbe da sola a far la fortuna di
uno spartito. L'istrumentale è ricco di episodi vaghissimi. Il canto è voluttà
e passione, e il duetto risulta così una delle pagine più smaglianti, e più
efficaci di musica erotica. La tempesta che accompagna, interrompe il duetto
e continua fino alla fine dell'atto è fatta con tale scienza musicale da meravigliare.
Nel preludio dell'atto terzo sopra un disegno uniforme imitativo del rotear
della macina si riode il tema fugato del primo atto, allusivo alla rovina degli
Ebrei. Il lamento di Sansone improntato a somma tristezza è interrotto da un
tratto di musica descrittiva. La seconda parte dell'atto che avviene nel tempio
di Dagone è pure piena di calore e colore. Ritorna da principio il coro delle
donne filistee del primo atto ma coll'aggiunta delle voci maschili. Le danze
che seguono sono semplicemente splendide e per soavità e per eleganza e costituiscono
da sole un lavoro poderoso e in sommo grado interessante. Vi spiccano certi
impasti istrumentali originali e strani, ma sempre graziosi e simpatici. Nella
gran scena finale quando Dalila si avvicina a Sansone per deriderlo e schernirlo
si odono brani di frasi del duetto d'amore. I due soggetti del pezzo finale
si avvicendano, si sovrappongono, si spezzano con una furia incalzante e una
scienza che solo i classici posseggono. Il motivo "gloria a Dagone"
un po' trivialuccio è però condotto con tutti gli artifizi contrappuntistici
e con tale sviluppo armonico da produrre un effetto grandioso. Nuovi per effetto
i vocalizzi ascendenti dalla donna. Cessa per un momento la cerimonia orientale
e Sansone rivolge a Dio l'ultima sua preghiera, abbranca le colonne del tempio
che in mezzo a un urlo dei filistei crolla, tutti seppellendo sotto le sue rovine.
Con un fortissimo dell'orchestra l'opera finisce. Dopo questo esame è inutile
aggiungere che ogni serio artista e ogni intelligente considera il Sansone
e Dalila come una vera e forte opera d'arte nella quale è soprattutto da
ammirare la sapiente fattura armonica, contrappuntistica e strumentale, le idee
sempre belle ed efficaci, la squisitezza e la soavità di alcuni particolari,
veri modelli magistrali di sapienza e di buon gusto. L'istrumentazione è certo
fra le più complete che si conoscano. In essa non vi è nè squilibrio, nè preponderanza
dell'uno o dell'altro istrumento, ma un'euritmia, una leggerezza e insieme una
pienezza ammirevole. Questi i pregi principali dello spartito che, rappresentato
ieri sera al nostro Regio, ha suscitato larga e sincera ammirazione negli esperti
e nei buongustai, per quanto la massa del pubblico non abbia potuto apprezzare
le bellezze dell'opera causa la deficente esecuzione.
La cronaca della serata.
Teatro non affollatissimo. Pubblico scelto ma abbastanza irrequieto. Il primo
atto passò in silenzio sino all'aria: aprile foriero che lo chiude. L'arte
ed il sentimento della Borlinetto ottennero il primo prolungato applauso. Calata
la tela, due chiamate agli artisti, una delle quali in unione al maestro Zuccani.
Al secondo incominciano le dolenti note. Il tenore Bertini un po' per il panico,
un po' per le sue gravi deficenze di voce, suscita le prime disapprovazioni
che diventano energiche verso la fine del duetto in mezzo all'imperversare caratteristico
del temporale. La Borlinetto pur tuttavia continua imperterrita e l'arte affascinatrice
del suo canto appassionato e corretto, le procura frequenti approvazioni. Calata
la tela i fischi continuano. All'atto terzo si commette il primo grave errore,
per chi, conoscendo il pubblico di Parma, in simili momenti ha la difficile
direzione delle cose teatrali. Si tenta di omettere tutto il primo quadro senza
avvertire il pubblico il quale naturalmente e giustamente protesta. Esce, non
in abito nero, l'impresario Cecchetti che tenta ma non riesce a farsi capire.
Calato quindi il sipario egli si presenta di nuovo annunziando un'indisposizione
del tenore (secondo errore della serata!). I fischi continuano. Allora l'atto
ricomincia dal suo primo quadro ed il pubblico, paziente, lo lascia terminare.
Alla fine dello spettacolo nuovi fischi assordanti e grida di abbasso la
Commissione!
Gli artisti.
Dire di più del tenore Bertini, dopo quanto è accaduto sarebbe ingenerosità.
La Borlinetto una formosa e splendida Dalila per figura e portamento,
si è anche addimostrata cantante, sempre buona, spesso squisita, e artista intelligentissima.
La parte di Sommo Sacerdote non mi è sembrata troppo addatta ai mezzi del baritono
Casini. Ad ogni modo egli è buon cantante ed ha saputo farsi valere. Discreti
i re filistei e buono il Bellusi nella sua duplice parte. L'orchestra per quanto
non troppo numerosa specialmente negli archi, ha suonato con attenzione e con
impegno tutta l'opera. Il maestro Zuccani è riuscito a far risaltare tutti i
coloriti, i contrasti, le sfumature del geniale spartito. Egli ha dedicato all'opera
del Saint-Saëns tutto sé stesso e certo i migliori elogi, anzi gli unici elogi
veramente e totalmente meritati della serata spettano a lui. I cori, date le
difficoltà grandi della tessitura dello spartito, non potevano andare meglio,
il maestro Franzoni ha lavorato anche esso con coscienza ed amore contribuendo
così a rialzare la nostra massa corale che nel Chénier aveva dato prove
alquanto allarmanti. Il corpo di ballo, complessivamente, caso raro, bello e
disciplinato. Scene assai scadenti. Buoni invece i costumi e le decorazioni.
La morale.
Se dalla cronaca si potesse trarre una morale, essa sarebbe questa: Gli
errori o presto o tardi si scontano. Si è accettato un cartellone coll'opera
Sansone e Dalila senza il nome di un sicuro protagonista. E questo fu
lo sbaglio. Oggi le sorti della stagione sono scosse alquanto, non le credo
però disperate. Il Sansone è opera poderosa che al nostro pubblico deve
indubbiamente piacere. Trovare un altro tenore sarà difficile, ma non è però
impossibile. I signori della commissione pensino alla revanche e sarò
ben lieto di tributare ad essi quelle lodi che oggi assolutamente non si meritano.
S
"Gazzetta di Parma" del 20 gennaio 1897
LA SECONDA DEL "SANSONE E DALILA"
La seconda rappresentazione del Sansone e Dalila - edizione riveduta
e corretta ha ottenuto ieri sera al Regio pieno ed incontrastato successo. Il
nuovo tenore signor Giovanni Dimitresco possiede quasi tutte le doti per estrinsecare
il personaggio biblico. La sua voce è robusta, forte, splendida negli acuti,
il suo canto è animato, espressivo, la sua azione corretta ed efficace. Interpretò
bene tutta la parte, e cantò magnificamente alcuni brani, riscuotendo frequenti
e clamorose approvazioni. Il monologo dell'atto terzo - una pagina di musica
piena di vera tristezza - egli dovette ripeterlo fra entusiastiche acclamazioni,
tanto il suo canto fu insieme appassionato e potente. Con lui divise gli onori
della serata la signora Borlinetto; una Dalida calda e affascinante per
voce e per mimica inappuntabile. Ottimo il Casini, che si è fatto come sempre
rimarcare per un cantante di ottima scuola e di non comune valore. Buono il
Bellusi e tutti gli altri. I cori, meno qualche lieve incertezza in sul principio,
andarono poi sempre bene e sicuri. Il direttore d'orchestra maestro Zuccani
che ha concertato lo spettacolo ha dato notrita prova della sua grande capacità.
L'orchestra sotto la sua bacchetta ha suonato con anima, con slancio e ogni
colorito e sfumatura ebbe il giusto rilievo. Il pubblico ebbe per tutti questi
esecutori grandi e frequenti applausi e la musica splendida dello spartito venne
gustata non solo dagli intelligenti e dai buongustai ma anche dalla gran massa
degli spettatori. Noto per la cronaca che vi furono moltissimi applausi al primo
atto alla sortita del tenore e alla romanza ultima di Dalila O aprile foriero.
Calato il sipario alcune chiamate al proscenio alla Borlinetto, al Dimitresco,
al Casini al maestro Zuccani. Al secondo frequenti approvazioni interrompono
lo splendido duetto fra Sansone e Dalila. Alla fine nuove chiamate al
proscenio agli artisti. Al terzo si chiede a grandi grida il bis del
monologo di Sansone, bis che è concesso e che procura al Dimitresco nuovi
e prolungati applausi. Interessamento grande per tutta la seconda parte dell'atto.
Calata la tela, il pubblico non si stanca di applaudire e vuole più volte al
proscenio la Borlinetto, il Dimitresco, il Casini e il direttore d'orchestra
Zuccani. In complesso uno splendido e meritato successo, uno spettacolo degno
d'ogni più grande fortuna, fortuna che non può e non deve mancare perché la
musica di Saint-Saëns è da se sola tale un poderoso lavoro da restarne ammirati
e l'esecuzione è tale nel suo insieme da farne risaltare tutte le straordinarie
bellezze. L'impresa e i signori della commissione si sono procurati con la nuova
scrittura quella revanche che loro auguravo e sono ben lieto di potere
per questo tributare ad essi lodi incondizionate. Stasera terza del Sansone
e Dalila. Sono certo che un pubblico numeroso accorrerà al Regio ad applaudire
questo geniale lavoro dell'illustre musicista francese. Spero pure che durante
il temporale del secondo atto sarà più frequente, di quel che non sia stato
iersera, il lampeggiare!
S.
"Gazzetta di Parma" del 4 febbraio 1897
MANON
OPERA IN 5 ATTI DI GIULIO MASSENET
La musica.
L'opera comincia con un preludio dove ricorrono i vari temi principali caratteristici
dello spartito. S'alza la tela. Notevole subito per il suo brio e la sua sonorità
il coro dei postiglioni, facchini e viaggiatori. Manon scesa dal cocchio narra
a suo cugino le peripezie del viaggio. Il racconto è bello e ben fatto, pieno
di grazia e di seduzione e quasi direi che dalle note di quest'aria già traspare
come Manon mal si sottometta alla prossima chiusura in convento. L'arioso di
Lescaut le movenze di una eleganza rara e il monologo di Manon: Or via non
più chimere è pure ispiratissimo, simpatico, pieno di languore. Si innalza
poi un largo canto dei violoncelli. È Des Grieux che entra. Segue il primo duetto
d'amore fra Manon e Des Grieux, in cui la musica è finemente elaborata, spontanea,
schietta. Il duetto è tutto un dialogo amoroso dei più affascinanti e indovinati.
Qui si sente per la prima volta l'elegante motivo d'amore, motivo predominante
dello spartito. L'aria "A Parigi ne andrem" è di effetto, per quanto
un po' volgaruccia. Al punto di risoluzione del duetto c'è nelle note di Manon
una trovata musicale, svelta e piacevole, che è di per sè una pennellata squisita
al ritratto musicale della affascinante protagonista.
Il second'atto contiene nuove e splendide bellezze. Il dialogo tra Manon e Des
Grieux è di finissima fattura. La musica ha slanci di tenerezze ineffabili.
Un pezzo magnifico, ricco di dettagli orchestrali e insieme di una semplicità
e chiarezza pregevole è il quartetto che segue, in cui Lescaut accompagnato
da Bretigny travestito da guardia va a domandar ragione al cavalier De Grieux
del ratto di sua cugina; e chiedere una riparazione all'onore della famiglia.
L'aria di Manon: "Addio, addio, o nostro picciol desco" è una melodia
finissima in cui le note paiono lagrime e singulti e che riproduce con grande
efficacia l'intimo turbamento dell'infelice protagonista. Segue poco dopo il
sogno di Des Grieux una pagina di strumentazione delicata e aristocratica
che impressiona e conquide, e che si svolge sovra un tenue movimento degli archi
con sordine. La tela cade sul ratto di Des Grieux, mentre in orchestra riappare
come estremo saluto il motivo predominante del duetto d'amore.
È nel terzo atto, allorché Manon va in cerca di Des Grieux che per il di lei
abbandono si era rifugiato in un chiostro, che Massenet tocca con commovente
sentimento la più intensa passione. Il coro delle devote - coro vivace, scintillante,
mirabile - è un vero gioiello; diviso a quattro gruppi che cantano or separati,
dialogando, ora uniti, è quel che suol dirsi una trovata. Da questo punto alla
fine è un succedersi di bellezze. Bello l'arioso del padre, per quanto questa
scena sia inutile; appassionato il cantabile di Des Grieux "Dispar, vision!";
splendida l'invocazione di Manon alternata col Magnificat, un brano che
suscita la più profonda emozione. E ci troviamo alla gran scena al gran duetto,
che ha sollevato a rumore ogni pubblico. Manon rivuole l'amante, gli implora
il perdono e lo rapisce. La frase "Non è la tua mano che mi tocca"
è di una seduzione indicibile e tutto il duetto è un pezzo ammirevole sotto
ogni rapporto, un duetto in cui gli appelli all'amore sono così febbrili, così
energici, così appassionati, da affascinare non pure il titubante cavalier Des
Grieux, ma il pubblico intero. E l'atto termina con una potente perovazione
orchestrale sul tema dell'amor trionfatore. L'atto seguente o meglio la seconda
parte dell'atto terzo è ingegnosa e complicata, ma è senza dubbio la meno felice
dell'opera e quella che meno soddisfa. Questa parte è preceduta da un intermezzo
- che non è poi in fondo che il minuetto graziosissimo, leggiadro, esemplare
di purissimo stile, che si trovava nella prima parte dell'atto terzo della Manon
originale. Tutta la scena del giuoco non è proprio gran che. Il concertato finale
è a frase larga, sentita, di gran sentimento, ma di stampo più che antiquato.
Anche l'apparizione del padre di De Grieux non mi soddisfa. Mi fa l'effetto
di dover sentire da un momento all'altro il famoso: Dov'è mio figlio?.
L'ultimo atto invece è dei più ispirati ed efficaci dell'opera e si riassume
in una grande scena d'amore, l'ultima fra Des Grieux e Manon. Massenet in questo
duetto finale ha raggiunto una forza d'espressione che trascina, commuove, invade
l'anima. I due amanti ricordano tutti i momenti più salienti della vita loro,
e il maestro rammenta e richiama tutte le ispirazioni a lui suggerite dagli
episodi di quel pietoso e grande affetto. Des Grieux ricorda alla povera morente
le estasi passate e lo fa colla stessa ineffabile melodia di Manon: "Non
ha per me più baci la tua bocca?" Ed è stupendo il ricordo, appena accennato
dall'orchestra dell' "Or via, Manon, non più chimere" del primo atto
su cui ella muore, dicendo, come riepilogo di tutte le loro ricordanze: "Questa
è la storia di Manon Lescaut!" Des Grieux si abbandona sul corpo dell'amante
sua, mentre l'orchestra ripiglia fortissimo il tema della seduzione che fa in
quel momento un'impressione dolorosa. Giulio Massenet con questa sua Manon
è diventato, si può dire, popolare in Italia. Anche Parma che mal seppe
digerire Il re di Lahore a torto perché anche in quest'opera le bellezze
sono sparse a profusione e tutto rivela l'eletto artista - ha accolto con grande
favore le dolcissime melodie di Manon. L'intero spartito è una storia d'amore
rivissuta musicalmente, è un gioiello tutto adorno di freschezza, di leggiadria;
bello ed elegante per magistero di istrumentazione e per squisita e signorile
semplicità di melodie. In orchestra è tutto un delicato ricamo, nessuna concessione
alla volgarità rumorosa se non forse nel finale del quarto quadro, un ricamo
che accarezza e delizia continuamente l'orecchio. In complesso un'opera pregevolissima
destinata a trionfare ovunque e sempre. Naturalmente i confronti sono odiosi,
ma ieri sera da tutti in teatro si paragonavano le due Manon. A noi sembra
che l'una e l'altra abbiano diritto alla considerazione e all'ammirazione del
pubblico. I due musicisti, l'italiano ed il francese, hanno musicato la storia
di Manon Lescaut secondo le loro tendenze e i loro gusti e mentre l'uno, il
Puccini, ha drammatizzato e resa più teatrale, ma forse un po' infedele la figura
della protagonista, l'altro il Massenet, ha conservato nella sua musica tutta
la sentimentalità del romanzo.
La cronaca della serata
Teatro affollatissimo di un pubblico elegante e distinto. Dopo il primo atto
arrivò anche l'ex-ministro francese Bourgeois che prese posto in un palco di
proscenio a destra. Poco dopo le 20,30 il maestro Zuccani attacca le prime note
del preludio il quale è ascoltato in silenzio, ed accolto alla fine con qualche
applauso. Poi silenzio di nuovo sino alla predica di Lescaut dove il
baritono Casini fila magnificamente una nota e riscuote approvazioni. Applausi
non generali all'aria di Manon: Or via non più chimere. Il primo duetto
d'amore è ascoltato con grande attenzione. Alla fine dell'atto la Sedelmayer,
il Giannini, il Casini sono chiamati due volte alla ribalta, una delle quali
in unione al maestro Zuccani. Nel secondo atto il bellissimo quartetto fra Lescaut,
Des Grieux, Bretigny e Manon, causa la cattiva esecuzione - non fa
alcun effetto, anzi il pubblico dà segno del suo malcontento. Applauditissima
la Sedelmayer dopo l'addio al desco e il Giannini dopo il sogno.Alla
fine nuove chiamate alla ribalta, ma meno clamorose di quelle del primo atto.
Comincia il terzo col cicaleccio delle devote. Il coro è eseguito bene e piace
moltissimo. Si applaude, come si applaude pure nella scena con Des Grieux
il bravo Bellusi. Tutto il duetto della seduzione fa un effetto grandissimo
e il pubblico prorompe alla fine in approvazione e chiama al proscenio più volte
la Sedelmayer ed il Giannini. Si vuole anche il maestro Zuccani. Il preludio
- minuetto dell'atto 4, eseguito splendidamente entusiasma il pubblico e vien
fatto ripetere. Il valente maestro Zuccani è costretto più volte a ringraziare.
L'atto non riscalda l'ambiente. Alla fine però altre chiamate non generali nè
entusiastiche. Piace molto l'ultimo atto. Commovente è la morte di Manon
e alla fine dell'opera il pubblico acclama gli esecutori. Come apparisce
da questa cronaca condensata il successo dell'opera è stato buonissimo. La musica
è piaciuta indistintamente a tutti ed è stata giudicata ricca di peregrine bellezze.
L'esecuzione
Non priva di mende e di difetti. Nel second'atto, in modo speciale, vi sono
in palcoscenico incertezze e dissonanze assai gravi, incertezze che credo scompariranno
in gran parte nelle sere venture quando gli artisti non saranno più invasi dall'orgasmo
di una prima rappresentazione. Manon è la signorina Amelia Sedelmayer.
Il grande e meritato successo ottenuto da questa artista nel Chénier,
al quale per parte mia aggiungo anche l'interpretazione squisita del personaggio
di Musette nelle Bohème - aveva fatto nascere nel pubblico una
grande aspettativa, aspettativa che, forse, non è stata del tutto soddisfatta.
Non che la signorina Sedelmayer non abbia tutta l'intelligenza per poter fare
Manon, ma questa parte come Carmen, ha bisogno di essere creata,
specializzata, se così posso dire, e la signorina Sedelmayer per quanto abbia
studiato con impegno ed amore il personaggio, non è riuscita ancora quella Manon
che il pubblico, date le tante promesse, si aspettava. Del resto ella è
così giovane che l'aver saputo affrontare con successo una parte così drammaticamente
e musicalmente difficile è già prova di ingegno vigoroso e felice. Essa fu vivamente
applaudita ed ebbe campo in più di un punto di mettere in evidenza tutte le
sue doti di ottima cantante destinata ad invidiabile e fortunata carriera. Des
Grieux è il tenore Enrico Giannini anche esso tanto applaudito nell'Andrea
Chenier. Artista intelligente ed accurato nei brani più importanti dello
spartito ha saputo farsi apprezzare per la dolcezza e l'espressione del suo
canto e per l'efficacia dell'interpretazione. Un Lescaut corretto ma
poco caratteristico il baritono Casini che ebbe finezze di dizione notevolissime.
Buon Bertigny il Viale dalla voce simpatica. Buonissimo il Bellusi, a
posto in questa, come in tutte le parti - e son già parecchie - in cui l'ho
sentito sin qui. Anche il Masini nelle vesti di Monfortaine ha fatto
del suo meglio ed ha fatto benino. Appena discreti gli altri. I cori continuano
a percorrere la strada della riabilitazione. Ieri sera andarono abbastanza bene.
Benissimo le donne nel cicaleccio delle devote. Una lode perciò, lode meritata
veramente, al loro istruttore maestro Gerbella. L'orchestra ha guadagnato una
nuova vittoria. È stata disciplinata, attenta, ha suonato con slancio ed impegno
ed ha dovuto ripetere - unico bis della serata - il bellissimo preludio
dell'atto quarto. Il maestro Zuccani fu parte essenziale nel successo di ieri
sera e ben a ragione il pubblico lo volle alla ribalta dopo il primo e terzo
atto e lo applaudì con entusiasmo dopo l'esecuzione del minuetto. Egli dà alla
Manon qualche cosa di più del suo consueto valore; l'opera di Massenet
egli la dirige, quasi direi, con affetto. E naturale adunque che ottenga così
felici risultati e che tutte le finezze, le sfumature, i coloriti di cui abbonda
la partitura siano messi nella giusta evidenza; è naturale ancora che il pubblico
gliene tenga conto e lo festeggi con tanto calore. Delle scene alcune sono addirittura
orribili, altre con un sforzo di buona volontà, si possono ritener passabili.
Discreto il vestiario.
"Gazzetta di Parma" del 18 febbraio 1897
CAVALLERIA RUSTICANA - PAGLIACCI AL REGIO
Il duplice spettacolo, tanto desiderato tanto atteso, aveva ricondotto ieri
sera nell'ambiente splendido del nostro massimo tutte le più belle signore parmigiane
che nei palchi, nelle poltrone, nei posti distinti, tutti occupati, sfoggiavano
tesori di grazia, di eleganza, di avvenenza. La sala era dunque attraentissima,
e il pubblico imponente, ma non troppo ben disposto e severo all'eccesso. Cavalleria
Rusticana l'opera geniale e appassionata di Mascagni, ha avuto un esito
lusinghiero. Gli spettatori non avendo poi da giudicare della musica nuova,
ma solo da rinnovare antiche impressioni hanno prestato tutta l'attezione loro
agli esecutori ed hanno continuamente fatti dei confronti. Di qui forse l'eccessiva
severità dimostrata in certi momenti, meritevoli a mio parere di diversa accoglienza.
In ogni modo successo discreto c'è stato e quasi tutti gli esecutori ebbero
la loro parte di applausi. L'esecuzione non è priva di mende, ma non è certo
tale neppure da meritare giudizi severissimi. La signorina Amelia Sedelmayer
è stata una Santuzza seducente dalla voce simpatica e sicura, dal canto appassionato
e squisito. Anche l'interpretazione drammatica del personaggio è felice assai
e degna di lode. Il pubblico ha ritrovato in lei la brava Maddalena di Coigny
e l'ha accolta ed applaudita con calore e con convinzione specialmente dopo
il racconto dove seppe trovare accenti di profondo sentimento, di vera
passione. Il tenore Giovanni Dimitresco - l'applaudito Sansone ha sfoggiato
nella parte di Turiddu la sua voce robusta dagli splendidi acuti. Egli
è un cantante di grande merito e valore, e se abolirà certe puntature di
gusto cattivo e se vorrà moderarsi nella scena, ora un po' troppo agitata, otterrà
certamente un successo migliore di quello di ieri sera. Nel brindisi e
nell'addio alla madre, del resto, ha avuto momenti felici. Il baritono
Viale ben truccato, nella parte di Alfio se l'è cavata passabilmente.
La signorina Giaconia è buonissima Lola dalla voce nitida ed abbastanza
intonata. I cori hanno avuto qualche momento di incertezza, comprensibile del
resto, date le poche prove, ma nel complesso non hanno fatto male. L'interpretazione
orchestrale è stata assai discussa ed ha trovato sostenitori accaniti come oppositori.
Il pubblico alla presenza di una interpretazione speciale, così diversa da quella
altra volta sentita si è trovato da principio un po' disorientato. Noi senza
entrare nel merito dell'una piuttostoché dell'altra interpretazione, facciamo
osservare questa cosa soltanto: che il maestro Zuccani, uno dei pochi direttori
che fanno l'arte non il mestiere, era sostituito dal maestro Mugnone quando
questi diresse per la prima volta in Italia al Costanzi di Roma l'opera miracolo
del Mascagni, e che quindi ha avuto campo di sentire e risentire la Cavalleria
un numero infinito di volte. Del resto comunque si voglia giudicare questa
interpretazione - che è per me la buona - resta il fatto che l'orchestra sotto
la sapiente ed energica direzione del Zuccani ha suonato con sicurezza, con
calore tutta l'opera, mettendo in evidenza ogni colorito, ogni sfumatura. Dell'intermezzo,
eseguito splendidamente si dovette concedere il bis dopo di che nuovi
insistenti applausi costrinsero il distinto maestro ad inchinarsi a ringraziare.
Buona la messa in scena e per ciò che si riferisce allo scenario e per i vestiti.
In conclusione una Cavalleria suscettibile di miglioramenti, ma non tale
però da meritarsi arcigna accoglienza. Dopo un non breve intervallo incomincia
l'opera di Leoncavallo: Pagliacci l'unica sola che sopravviva - per la
musica fresca, delicata, colorita - a quella grande quantità di opere in uno
o due atti che la Cavalleria Rusticana ha filiato. Il successo di questo
lavoro è stato caloroso e sincero, e l'esecuzione sicura sempre eccellente in
più di un punto. Il prologo è ascoltato con grande interesse ed è cantato con
molta arte dal valente baritono Casini che riscuote applausi spontanei e ripetuti,
e richieste di bis che non è però concesso. L'egregio artista fa della
parte di Tonio una felicissima creazione. Canta e dice assai bene tutta
la sua parte ed interpreta il personaggio con intelligenza grande. Il pubblico
ha compreso il valore dell'attore cantante ed ha avuto per lui approvazioni
frequenti e meritate. La signorina Camilla Pasini, una cantante giovanissima
e nuova al nostro pubblico ha ottenuto un successone. La parte di Nedda,
parte ingrata se ne è mai stata scritta una, ha avuto per opera sua ogni possibile
risalto e tutti i particolari civettuoli e drammatici dell'azione vennero messi
in evidenza. La voce limpida, squillante negli acuti, la franchezza e disinvoltura
di scena, la dizione felice e sicura e la pronta intelligenza, rendono la signorina
Pasini un'artista pregevolissima, alla quale sorride certo un avvenire splendido.
Il pubblico nostro l'ha applaudita ieri sera moltissimo dopo l'aria: Oh! che
volo d'augelli e quante strida! E l'ha più volte interrotta, durante il corso
dell'opera da meritate grida di: brava!. Il tenore Dimitresco, molto
più a son aise nelle vesti di Canio che in quelle di Turiddu,
viene pure accolto con favore dagli spettatori che una volta di più ammirarono
i suoi mezzi vocali di rara potenza. Applaudito al Ridi pagliaccio è
costretto a fine d'atto a presentarsi da solo alla ribalta fra sincere approvazioni.
Un buonissimo Silvio il Viale che canta e dice assai bene la sua parte
e che riscuote molti applausi nel duetto con Nedda. Il tenore De Beaumont
(Arlecchino) ha dovuto bissare la serenata, un pezzo pieno di grazia
insinuante e leziosa. Anche questo nuovo artista per la sua voce simpatica,
bella in certi acuti, ha incontrato nel gusto del pubblico. I cori cantarono
bene sempre, furono attenti e sicuri. Il coro delle campane riscosse
approvazioni e richieste di bis non concesso. L'orchestra fu ammirevole. Di
questa musica in cui le difficoltà d'esecuzione dipendono, per l'insieme da
spezzature e cambiamenti di tempo continui, è difficile ottenere una buona esecuzione.
Quella di ieri sera lo fu. E al maestro Zuccani vanno tributate perciò parole
di amplissimo elogio. Anche la messa in scena dei Pagliacci è assai accurata
e felice. L'opera è terminata fra gli applausi e la Pasini, il Dimitresco, il
Casini, il Viale, il De Beaumont sono chiamati alla ribalta. In complesso adunque
Cavalleria e Pagliacci costituiscono uno spettacolo a cui il pubblico
non può, nè deve fare il viso dell'armi, uno spettacolo meritevole di fortuna,
che completa e finisce assai bene la stagione del Regio. Stasera seconda rappresentazione.
Dopo l'esito felice di ieri è certo che il teatro sarà affollato.
"Gazzetta di Parma" del 19 febbraio 1897
Dal tenore Giovanni Dimitresco riceviamo, al momento di andare in macchina
la lettera seguente:
Parma 19 febbraio 1897.
Preg.mo sig. Direttore
Le sarò tenutissimo se vorrà inserire nel di Lei pregiato giornale, quanto segue:
Avendo terminato i miei impegni coll'Impresa del Teatro Regio di Parma e, trovandomi
oggi improvvisamente indisposto, ho creduto bene, nell'interesse dell'Impresa
stessa e nella mia dignità d'artista, di non accettare nuovi impegni, malgrado
l'insistenza dell'impresario e dell'On. Direzione teatrale, tutti con me, sempre,
squisitamente cortesi. Partendo con mio sommo rincrescimento, porterò meco grato
ricordo delle festose accoglienze ricevute da questo spettabile pubblico durante
le recite a cui presi parte. Ringraziandola anticipatamente, colla più alta
stima mi creda.
Dev.mo G. Dimitresco.
"Gazzetta di Parma" del 20 febbraio 1897
Stasera al Regio terza rappresentazione di Cavalleria e Pagliacci
con due nuovi interpreti. Il tenore Giannini, insistentemente pregato, si
assume di cantare per stasera la parte di Turiddu. Il nuovo artista Augusto
Barbaini si presenterà in quella di Canio nei Pagliacci. Dopo
le due opere si darà il divertimento danzante Bal masquè, nella speranza
che quelli del pubblico, usi a schiamazzare ed urlare durante il balletto, dimostrino
più educazione di quella che non abbiano avuto sin qui. Altrimenti l'autorità
prefettizia sarà di nuovo costretta ad impedire che questo scherzo-comico danzante
si rappresenti più oltre.
Dall'impresario del Regio sig. G. Cecchetti riceviamo la lettera seguente:
Egregio sig. Direttore
della Gazzetta di Parma.
Presa cognizione della lettera del tenore Sig. Giovanni Dimitresco contenuta
nel di Lei pregiato giornale d'oggi, mi preme rilevare non essere esatto che
il medesimo sia libero dai suoi impegni verso questa impresa. È vero che ebbe
a chiedermi, ieri sera, dopo lo spettacolo, lo scioglimento del suo contratto,
ma è pur vero che io ho riservati integri i miei diritti che farò valere in
sede opportuna. Intanto mi faccio un dovere di avvisare questo rispettabile
Pubblico che l'egregio tenore Sig. Giannini gentilmente assume di cantare questa
sera la Cavalleria per evitare a me l'imbarazzo ed il danno di dover
tenere chiuso il teatro. Avverto in pari tempo che la parte di Canio
nei Pagliacci viene assunta dal tenore sig. Augusto Barbaini appositamente
scritturato.
Ringraziandola, con stima mi protesto di Lei.
Obbl.mo
G. Cecchetti
Parma 19 febbraio 1897.
"Gazzetta di Parma" del 10 marzo 1897
A STAGIONE FINITA
Ora che la stagione di carnevale al Regio è finita, tiriamo le somme e, da buoni
amministratori, facciamo un po' di bilancio. Sarebbe un'eccedere in generosità
il dire che l'esecuzione delle differenti opere datesi nel corso del carnevale
sia stata sempre all'altezza della situazione. In ogni modo, tenuto conto delle
difficoltà non lievi che si sono dovute superare, si può dire che quella di
quest'anno non è stata nè migliore, nè peggiore, presa nel suo complesso, delle
stagioni passate da tre anni in qua. L'Andrea Chénier, se non è piaciuta
a tutti, aveva però un'esecuzione buonissima e degna delle nostre massime scene.
Anche il Sansone e Dalila, nella sua edizione definitiva, colla Borlinetto
e il Dimitresco accontentò anche i più severi e piacque a tutti immensamente.
Non così si può dire della Manon, infelicissima. In quanto a Cavalleria
Rusticana e Pagliacci, opere fuori d'obbligo, non fecero dimenticare,
per quanto abbastanza bene eseguite, le riproduzioni precedenti del Regio e
anche del Reinach. Gli eterni incontentabili pensino che, a parte i fasti, non
gloriosi, della grandissima Scala molti teatri italiani che se non per fama,
certo per mezzi non erano al nostro inferiori, dovettero chiudere a stagione
non finita, dopo spettacoli assolutamente infelici. E basta essere mediocremente
pratici del movimento teatrale per sapere che i nomi della Borlinetto, della
Sedelmayer, della Pasini, del Giannini, del Dimitresco, del Casini, del maestro
Zuccani, sono quelli di artisti fra i migliori che hanno calcato e . calcheranno
le maggiori scene. Se è merito poi di una commissione teatrale l'aver condotto
in porto uno spettacolo compromesso fin dall'origine nel peggiore dei modi da
un'impresa disgraziata, sobbarcandosi tutta la responsabilità amministrativa
della difficile azienda anche a costo di riparare generosamente di propria borsa
agli errori commessi, se è merito questo, ripeto, è merito grande, e tutti dobbiamo
riconoscerlo. Ma se buona volontà ci fu, e grande, fin dal principio, l'esperienza
e la capacità, spesse volte, vennero meno. Le prove generali pubbliche, le troppe
recite popolari e intempestive, l'assoluta incertezza del domani, nocquero non
poco all'esito finanziario della stagione. Questo ho voluto scrivere a carnevale
finito, perché non si dica che la Gazzetta, che si mostrò anzi sempre
cortese, possa aver portato il ben che minimo danno. Voto di tutti quanti desiderano
aperte le nostre massime scene - e sono moltissimi - si è quello di una commissione
teatrale più tecnica, e soprattutto più omogenea. Voto ancor più generale
dovrebbe essere quest'altro: che il nostro Regio se deve riaprirsi, si riapra
su basi solide e durature. Una dote stabile, o almeno Stabilita a tempo,
è l'arra più sicura della fortuna di uno spettacolo. I commercianti cittadini
hanno dato prova ed esempio in questi tre anni di operosità, di volere e di
disinteresse degni di lode. Per noi il compito loro è finito. I maggiori interessati,
quelli cui spetta l'obbligo del decoro del nostro teatro e delle tradizioni
gloriose di Parma musicale restano sempre Comune e palchettisti. Gli altri devono
venir dopo. Fin dal 1888, quando il Consiglio municipale deliberò il raddoppiamento
dei canoni, qualche palchettista si oppose. In seguito si fece causa, e la causa
passò dal Tribunale alla Corte d'Appello di Parma, alla Cassazione di Torino,
e, finalmente nel 1895, alla Corte d'Appello di Modena (in sede di rinvio).
I palchettisti la vinsero. Il Comune - che certo nel 1888 quando raddoppiò i
canoni ebbe di mira non tanto l'interesse proprio quanto quello del teatro giacché
allora non si pensava certo alla soppressione della dote, fu ritenuto nella
prima sentenza (Tribunale di Parma 1893) semplice condomino coi palchettisti,
quindi non arbitro di aumentare i canoni ad essi spettanti. Nella sentenza definitiva
invece (Corte di Appello di Modena 1895) si ritenne che al Comune "subentrato
allo stato in tutti i diritti del teatro, spettasse anche quello della esazione
e della determinazione dei canoni" ma che questo diritto, di fronte ai
palchettisti, non si sarebbe potuto far valere finché il Comune persistesse,
come fece in quel frattempo, a mantenere soppresso qualunque concorso da parte
sua. Leggendo però quelle sentenze ciò che appare chiaro si è che i rapporti
giuridici fra Comune e palchettisti necessitano di un nuovo regolamento: più
adatto, più consono alle condizioni odierne del nostro teatro. Ventimila lire
- lo si è veduto chiaramente - non bastano ad uno spettacolo che risponda a
veri criteri d'arte. I palchettisti dovrebbero aumentare le loro quote ed il
Comune provvedere ad una dote conveniente e proporzionale. Ma per far ciò è
necessario cessino anzitutto i dissidii e si faccia quello che si sarebbe dovuto
far prima. Si dimostri cioè, sia dall'una che dall'altra parte tutta la buona
volontà, tutto il desiderio per un accordo reciproco e duraturo. Poiché questo
soltanto potrà tornare veramente di grande vantaggio all'avvenire del nostro
massimo teatro e ai ricordi gloriosi di Parma musicale.
"Sarà appunto dall'accordo fra il Comune ed i palchettisti (che il senno
di chi regge la pubblica amministrazione e il bene inteso interesse di tutti
inducono a sperare) che potranno attendersi quei provvedimenti pei quali sia,
riaperto il massimo nostro tempio, al culto delle nobilissime arti che formavano
vanto e lustro di questa colta e gentile città."
Così la stessa sentenza del tribunale di Parma. Questo il voto che facciamo
nostro. Diversamente il Regio ritorni pure a dormire sul suo grande passato.
"Gazzetta di Parma" del 2 gennaio 1898
AL REGIO
Non c'è più bisogno di dire che lo spettacolo del Regio è assicurato. Da ieri
la grande plance appesa in piazza Garibaldi preannuncia il Lohengrin,
la magnifica opera di Wagner che per altre due stagioni, e sempre per moltissime
sere, fu già rappresentata con crescente successo d'ammirazione. L'altro ieri
è stato regolarmente firmato il contratto coll'impresa Borboni e C. e oggi uscirà
il cartellone. La prima rappresentazione, giacché le prove continuano alacremente
e la compagnia è tutta alla piazza, resta fissata per la sera del 6 corrente.
Fra le tante burrasche che quest'anno sconvolsero il Santo Stefano e dopo tante
immense difficoltà per combinare bene lo spettacolo di Parma, il cartellone
che domani pubblicheremo, non potrebbe presentarsi più attraente e per la scelta
delle opere e più ancora per il nome degli artisti. La compagnia di canto è
nel suo complesso veramente ottima e quale noi per primi - che ci mostrammo
scettici ed avversari dell'attuale modo di aprire il teatro - non credevamo
possibile combinare. L'impresa Borboni e comp. che certo deve aver fatto più
di un sacrificio per assicurarsi, fra tanta penuria, i nomi dei due tenori Cremonini
e Ferrari, oltre il Lohengrin e La Bohéme, darà pure, se l'esito
della stagione e il numero delle recite lo permetteranno, una terz'opera di
repertorio da destinarsi. E la Commissione che forse mai come questo anno avrà
dovuto lottare con tanti nemici ed intra ed extra muros può essere soddisfatta
della propria vittoria. Qualunque sia l'esito dello spettacolo il cartellone
oggi uscito, così come si presenta, ci sembra improntato ad artistici intendimenti
e degno del nostro teatro.
"Gazzetta di Parma" del 9 gennaio 1898
AL REGIO LA PRIMA DEL LOHENGRIN
La terza comparsa del cavaliere del San Graal al nostro massimo teatro è stata
salutata ieri sera dagli applausi più calorosi, più sinceri, più entusiastici.
Dopo i brani più importanti dello spartito le approvazioni furono generali e
dopo ogni atto a fine d'opera tutti gli esecutori dovettero presentarsi più
volte alla ribalta. La sala del Regio era affollata non così però come l'importanza
dello spettacolo e la sua intrinseca bontà avrebbero meritato. I malumori e
le cattive prevenzioni del pubblico - che erano molte - dovettero cadere di
fronte ad un'esecuzione veramente degna del Regio e delle sue più belle tradizioni.
E il giudizio del pubblico può essere sintetizzato in questa proposizione: la
riproduzione attuale di Lohengrin per ciò che si riferisce al complesso
della compagnia di canto, è la più esatta, la più corretta, la più bella in
confronto delle due precedenti. E il pubblico ha bene e giustamente giudicato.
Parlare dell'opera come creazione artistica, della musica, dei metodi del grande
novatore nordico è inutile ormai. Ormai il Lohengrin corre e ricorre
applaudito i teatri di tutto il mondo e da tutti, senza screzii più, nè di nazionalità,
nè di scuole, è reputato un insigne opera d'arte, un capolavoro che avrà una
pagina gloriosa così sulla storia della musica, come in quella del teatro melodrammatico.
Nella musica del Lohengrin di melodie e di canto ve n'ha in abbondanza
e al celebre direttore d'orchestra Mariani bastarono nove sole prove per ottenere
un'esecuzione finita in ogni sua parte e così efficace che gli ascoltatori e
di Bologna e di Firenze intesero tutto benissimo e senza la menoma fatica alla
prima rappresentazione. La musica del Lohengrin rende il dramma in ogni
più piccolo suo particolare, rende i personaggi e le passioni delle quali sono
animati, acconsente ad una infinita varietà di espressioni, e pur tuttavia è
l'unità dello stile il pregio suo più straordinario. Quell'alto sentimento poetico
che domina nel libretto, domina nel pari e costantemente, nella musica. Bello
e degno d'ammirazione e di studio, tutto da capo a fondo, il Lohengrin ha
pezzi capitali dove non che grande, Wagner è grandissimo. Certo in Lohengrin,
scritto cinquant'anni fa, vi sono dei tratti che al pubblico non musicista,
e cioè a tutti quelli che mi somigliano, tornano pesanti come qualche recitativo
del primo e della prima metà del second'atto, ma in cambio quanto sono pagati
questi momenti di stanchezza dal finale secondo, da tutto il terzo e dal quarto
atto! Qui la musica è accessibile ad ogni mente, è sublime voce del cuore, e
la grandiosità mistica dell'opera ha il suo più alto sviluppo. A rendere esattamente
però tutto ciò che di splendido v'ha in Lohengrin devono concorrere l'orchestra,
le masse, gli artisti. Si può dire che ieri sera questo complesso sia stato
più che soddisfacente, tale cioè da mettere in evidenza e far gustare le pagine
divine scritte dal Wagner? Non esito a rispondere di sì, e non esito a ripetere
che è un Lohengrin di cartello. Certo qua e là i cori hanno tentennato,
certo le trombe sono state sempre intonate, ma se si pensa che in soli sei giorni
è stato allestito uno spettacolo simile c'è da meravigliarsi di quello che già
si è ottenuto. Il tenore Giuseppe Cremonini (Lohengrin), giungeva nuovo
fra noi, preceduto però da buonissima fama conquistata nei maggiori teatri d'Italia
e dell'estero. Artista coscienzioso, corretto in massimo grado, esso difatti
non trascura nessuna delle intenzioni dell'autore nel rendere il personaggio.
Esso dispone di una voce ben timbrata negli acuti, eguale, delicatissima. Canta
con arte, fraseggia e colorisce con gusto. Ha cantato splendidamente tutta l'opera
ma soprattutto il racconto e l'addio finale nei quali brani trovò
frasi di calda efficacia, che trassero il pubblico all'entusiasmo e fruttarono
a questo prezioso cantante ed artista una prolungata ovazione. Si chiese ad
alte grida il bis del racconto, ma giustamente non venne concesso.
Il Cremonini ebbe pure i primi applausi della serata alla frase del primo atto:
Elsa io t'amo e fu festeggiatissimo in tutta l'opera e chiamato più volte
al proscenio alla fine di ogni atto unitamente ai compagni d'arte. La signora
Krusceniska Salomea - anche essa nuova affatto per Parma - fu per dolcezza di
canto, scrupolosità nell'intonare, vivo sentimento artistico una Elsa eccellente.
La sua voce è bella ed estesa e nell'arte del canto è peritissima. Applausi
anche per lei ve ne furono e molti. Ha detto con sentimento delicato l'aria
della terrazza, con slancio il duetto con Ortruda, con tenerezza
appassionata il gran duetto d'amore. Accanto a lei dovevamo giudicare la signora
Elvira Ceresoli. Essa mette nella parte di Ortruda tutto il fuoco del
suo temperamento essenzialmente italiano, di una voce calda dalle note basse
bellissime e dagli acuti squillanti. Anch'essa è padrona assoluta della scena
e si muove con perfetto intuito drammatico. Il second'atto, a cui si riduce
si può dire la sua parte, fu per la signora Ceresoli un continuo trionfo. Essa
dovette ripetere assieme al Giacomello lo stupendo unisono nella cupa
scena del complotto. Sicuro, magnifico, cantante dalla voce poderosa e robusta,
attore inappuntabile il baritono Pietro Giacomello (Telramondo) che nei
recitativi difficilissimi e nell'atto secondo seppe assurgere veramente alla
perfezione. Un ottimo Araldo Stinchi-Palermini e per voce e per dignitosa
e prestante figura. Anche per lui il pubblico ebbe uno speciale applauso. Il
basso Tronti Rodolfo (Re) in una parte di non molto rilievo seppe cavarsela
decorosamente. Anche l'orchestra fu quasi sempre pari all'altezza del compito
suo. Il maestro Ettore Perosio musicista intelligentissimo - nel mettere insieme
in pochi giorni uno spettacolo così importante - ha dimostrato di essere un
concertatore accurato, amoroso, scrupoloso e un direttore sicuro, pronto, energico.
Il preludio 2 eseguito assai bene avrebbe meritato un caloroso applauso.
A titolo di lode per il Perosio - giacché credo non sia mai stata nelle intenzioni
di Wagner, non comportandolo il carattere stesso della musica debbo ricordare
che alla perorazione del duo delle due donne egli ha quasi del tutto eliminato
l'effetto finale di sviolinata. Il bravo maestro è stato esso pure chiamato
al proscenio ed applauditissimo assieme agli artisti dopo il finale secondo.
I cori scantinarono nel primo atto, nel resto andarono abbastanza bene.
E chi sa di quali difficoltà, di quali complicazioni siano i cori del Lohengrin
che arrivano talvolta a un numero inverosimile di "parti reali" potrà
facilmente credere che si è fatto l'impossibile ottenendo dalle nostre masse
corali - in sei o sette giorni di prove - quanto si è ottenuto. Il maestro Gerbella
che nell'istruirli si è tanto affaticato merita perciò esso pure più di una
parola di elogio ed ha di che compiacersi del risultato. Le scene di Giacopelli,
splendide tutte. Ammiratissime quelle del secondo atto. Belli e ricchi i costumi.
In complesso adunque una rappresentazione splendida da registrarsi a lettere
d'oro, uno spettacolo insigne che accontenterà anche i più esigenti, e che richiamerà
dalla provincia e dalle città vicine numerosi forestieri. Io non sono parmigiano
e non lodo quindi per spirito di campanile, ma è certo che di tutti gli spettacoli
che sono ora in scena nelle città più prossime, quello di Parma è il migliore,
il più omogeneo, il più completo, il più riuscito. L'impresa Borboni e C. che
per la prima volta ha assunto la gestione del nostro massimo si è presentata
splendidamente. Compresa dell'importanza artistica del teatro ha fatto sacrifizii
non indifferenti per poter riunire una compagnia di canto di tanto valore, nulla
ha trascurato, fin nei minuti particolari per riprodurre degnamente il grande
spartito ed ha dato alle nostre scene uno spettacolo quale di anni e anni parecchi
non avevamo goduto. Spetta ora al pubblico rimeritarla con l'accorrere numeroso
ad accertarsi de visu che in quanto ho detto non v'ha l'ombra della esagerazione.
Stasera seconda rappresentazione.
S.
Alla commissione teatrale spettano pure i più caldi elogi, perché in mezzo alle difficoltà di ogni genere incontrate, e compresa della responsabilità che gravava su lei, è riuscita a dare uno spettacolo non commerciale, ma eminentemente artistico, tale da contribuire a quell'educazione musicale, che rende il pubblico più pronto alla percezione delle nuove forme e delle nuove tendenze musicali.
"Gazzetta di Parma" del 30 gennaio 1898
LA BOHÈME AL REGIO LA PRIMA RAPPRESENTAZIONE
Ieri sera al Regio c'era il solito pubblico delle prime rappresentazioni. Quello
pel quale la severità dei giudizii improvvisati non ha limite, passibile, alla
distanza di poche battute, di entusiasmo disturbatore o di anarchia la più spietata
per questo o per quell'artista per questo o per quel pezzo appena sentito. C'era
il solito pubblico quello dimentico dei tanti giudizii improvvisati ingiustamente
alle premières, dalla Carmen al Duchino, potrei citarne
altri parecchi, ma, in fondo, onesto e giusto e rimuneratore e soprattutto pronto
a far sempre onorevole ammenda delle proprie prevenzioni e delle proprie idee.
Nell'ambiente difficile, la Bohème ha ottenuto ieri sera un'accoglienza
festosissima che si è manifestata in applausi crescenti e in moltissime chiamate
al proscenio del maestro e degli artisti. Una piccola minoranza di pubblico,
- nell'atrio e fra le più vivaci discussioni ne ho sentiti i disparati commenti
- ha dovuto accettare il verdetto della grande maggioranza. Il m. Puccini non
è di quelli che corrono dietro alle proprie opere. Egli ha fatto una eccezione
per il teatro di Parma. Dopo il semi successo della Manon, dovuto in
gran parte - dobbiamo convenirne - all'infelice esecuzione, egli ha desiderato
l'applauso del nostro pubblico. Ed è venuto, ha assistito alle prove e questo
applauso pieno e sincero ha meritato ed ottenuto ieri sera, poiché la cronaca
deve registrare al suo indirizzo quasi venti chiamate; quattro al primo e al
terzo atto ed otto o dieci alla fine dell'opera. Ma ecco precisamente come si
è svolta la rappresentazione di ieri sera. Accolta con attenzione benevola,
ma silenziosa, tutta la parte brillante del primo atto, i primi calorosi, entusiastici
applausi si fecero sentire soltanto alla fine del racconto che Rodolfo fa
a Mimì della propria esistenza. Il tenore Ferrari sfoggia alla fine del
pezzo un acuto poderoso, squillante. Il brano è ripetuto e il maestro Puccini
ha le prime due chiamate. Identico effetto alla replica di Mimì che la
Krusceniska dice con tanto sentimento, con tanta grazia, con tanta finezza da
suscitare vera ammirazione. Nuova chiamata al maestro Puccini, nuovi calorosi
applausi. Si chiede il bis, ma non è concesso. Terminato l'atto, parecchie
chiamate al proscenio, alcune delle quali in unione al Puccini stesso che è
stato accolto al suo presentarsi da vere ovazioni. Il second'atto è una pittura
vivacissima della sera della vigilia di Natale al Quartiere Latino; manca però
alla musica di questo secondo quadro l'unità e la fusione. Solo la scena che
comincia al valtzer di Musette e si svolge in un concertato di originale
fattura, piace assai, è rimarcata ed applaudita. Alla fine dell'atto silenzio
assoluto. Nell'atto terzo, gustosissima la musica della scena fra la Mimì e
Rodolfo. Dopo il quartetto, quando Rodolfo e Mimì rimasti soli si dileguano
tubando come nell'atto primo ed è sceso il sipario, scoppiò un uragano d'applausi.
Gli artisti si presentano quattro o cinque volte alla ribalta quasi sempre in
unione al maestro Puccini. Il quartetto viene bissato. Nell'atto quarto tacita
approvazione, come nell'atto primo alle gaie scene dei bohèmiens. Allo
schianto dell'orchestra che annunzia il lugubre svolgimento del dramma, si raddoppia
l'interesse. La situazione è trattata da artista e da poeta. Mai il Puccini
ha sentito più delicatamente, né ha raggiunto così alto grado di intensità nella
commozione con altrettanta semplicità di mezzi. Un'applauso riscuote il Papi
dopo l'addio di Colline alla vecchia zimarra; un brano che tanto come
concetto poetico, quanto come musica è caratteristico quanto mai. Morta Mimì,
terminata l'opera, nuova tempesta di acclamazioni. La chiusa rapida e tragica
non lascia campo nella commozione di riaversi. Le chiamate al proscenio all'autore
ed agli artisti dopo quest'atto sono state circa otto o dieci, a due o tre delle
quali il Puccini deve presentarsi da solo, accolto allora da vere prolungate
ovazioni, perché è in questo quart'atto, più che in tutto il resto che l'anima
del Puccini riprende il suo impero, è in queste pagine passionali che rifulge,
che si estrinseca, che palpita schiettamente. Per questa Bohéme furono
ormai versati fiumi di inchiostro; a raccogliere tutto quanto si è scritto in
proposito si potrebbero formarne volumi: il nostro giudizio non potrà quindi
formularsi se non ripetendo cose già dette da altri, critiche e lodi già fatte.
Il Nappi sulla Perseveranza trovò - e a me sembra giustamente e acutamente
- che la potenzialità della Bohéme si compendia nell'abilità con cui
Puccini seppe unificare arte ed artifizio. Che questo connubio abbia generato
una densità e profondità di composizione non oserei dire, come neppure posso
ammettere che la fantasia dell'autore abbia trovata qui una nuova, felice, rigogliosa
vena melodica. Ma che importa tutto questo al pubblico in genere, se l'assieme
corre, vola via velocemente e genialmente spesse volte in una adorabile semplicità.
Che importa se troviamo in, quest'opera brani di altre ispirazioni pucciniane?
Mimì e Manon sono due anime sorelle, due caratteri consimili che
possono benissimo talora accordarsi insieme, presentare la stessa fisionomia,
le stesse sensazioni. Tutta la soavità dell'amore di Mimì e di Rodolfo è resa
con vero e profondo sentimento come poteva renderla il Puccini il poeta della
tenerezza. Certo un grande coefficente nel giudizio espresso dal pubblico fu
ed è il libretto in cui la sapienza del commediografo si è ben fusa coll'eleganza
del poeta. Ma il Puccini ha il merito di aver compreso le intenzioni dei librettisti
e di avere commentato, con talento e con sapienza, dimostrando di possedere
in sommo grado quelle doti che lo rendono così simpatico ed applaudito: una
vera eleganza, un equilibrio costante, una teatralità che non si smentisce mai,
e che rivela nel maestro la perfetta conoscenza del teatro e delle esigenze
del pubblico. La Bohème segna un progresso sulla Manon per omogeneità
e varietà e per seducentissima fattura che riesce far piacere al pubblico la
solita nota della musica pucciniana e per lo strumentale che è pieno di fascino,
risorse, spigliato, ricco di ammirevoli finezze. Nel suo complesso adunque l'opera
del maestro Puccini è riuscita, è teatrale e merita il successo che ottenne
in tutti i teatri ove fu rappresentata. A questi si è aggiunto ieri sera quello
di Parma. Il pubblico ha accolto con grande favore quest'opera perché rivela
nel suo autore uno dei temperamenti più felici e più geniali d'operista. Ci
occuperemo ancora un altro giorno e più dettagliatamente della musica della
Bohème. Per ora due parole sull'esecuzione che è stata nel suo complesso
abbastanza buona. E ben si comprende come ad una rappresentazione simile e colla
presenza dell'autore, tutti - artisti e cori - si siano sentiti un po' in orgasmo
un po' preoccupati e non abbiano potuto dare quanto potevano. La signora Krusceniska
fu una Mimì ideale, un'artista di grandissimo valore. La sua voce di
timbro bello ed insinuante, la maestria che deriva da abilissima scuola e da
fine ed appassionata intelligenza conquistarono il pubblico del Regio. Sente
la parte di Mimì con una squisitezza che non lascia nulla desiderare,
vi trasfonde tutto il sentimento, la grazia, il profumo, la dolce melanconia
che la delicata creazione richiede. La sua voce ha accenti caldi, passione,
ha soavità di inflessioni addirittura deliziose. A lei sono toccati ieri sera
gli applausi più entusiastici, applausi di ammirazione e di convinzione, ed
ella che per la prima volta interpretava il personaggio di Mimì non dimenticherà
certo il trionfale battesimo ottenuto in questa parte dal pubblico di Parma.
Una buona Musetta la signorina Lina Cassandro che ha voce di timbro gradevole
specialmente negli acuti che sono robusti e belli. Nelle rappresentazioni venture
ella saprà farsi valere di più - e noi che l'abbiamo sentita alle prove possiamo
assicurarlo - essendo ieri sera alquanto indisposta. Rodolfo è il tenore
Pietro Ferrari un giovane artista che ha una voce i cui acuti sono squillanti
e resistenti. Ha avuto momenti assai felici e come cantante e come attore; e
molti applausi sono toccati a lui pure che ha dovuto ripetere fra le approvazioni
più entusiastiche il racconto del primo atto, alla fine del qual brano
egli emmette un do naturale di magnifico effetto. Un sicuro ed efficacissimo
Marcello il baritono Pietro Giacomello che ha indovinato il tipo e lo
ha modellato con somma bravura. La sua voce omogenea e addattatissima al carattere
della musica della Bohème e alle sue varie fasi. Un Colline non
molto caratteristico il Papi il quale però disse assai bene la canzone della
zimarra mostrando di possedere una voce gradevole, simpatica, ben educata.
Commendevoli l'altro baritono Fiesoli (Schaunard) e il basso Bilviller delle
due parti di Benoit ed Alcindoro. L'orchestra è stata attenta,
sicura, inappuntabile. Il suo giovine direttore Ettore Perosio che nel giro
di pochi anni si è conquistato a buon diritto uno dei primi posti ha saputo
ricavare affiatamento grande, e giusti coloriti dalla nostra massa orchestrale.
Anche egli è stato assai festeggiato e chiamato più volte al proscenio assieme
agli artisti e al maestro Puccini. Egregiamente istruiti dal nostro Gerbella
i cori che hanno parti brevi ma altrettanto difficili. Messa in scena decorosissima:
ottimi e fedeli i costumi, e non è colpa di nessuno se la moda dell'epoca non
era delle più estetiche. Una lode che all'impresa Borboni e Pieri che pure questa
volta ha fatto le cose con cura grande e con grande tatto, e non ha nulla negletto
per meritare il favore del pubblico. Stasera seconda della Bohéme.
"Gazzetta di Parma" del 8 febbraio 1898
SALOMEA KRUSCENISKA
Invita stasera al Regio il pubblico di Parma al suo spettacolo d'onore. Oltre
La Bohème - in cui ell'è così preziosa e deliziosa Mimì - la gentile
artista canterà pure dopo l'opera del Puccini - l'aria dell'Ebrea di
Halevy: Ei dee venir. Non fa bisogno spendere altre parole - oltre il
semplice annuncio - per invitare il pubblico ad accorrere in folla al teatro.
Dato il valore eccezionale della distintissima artista e le immense simpatie
destate meritamente fra noi, non è possibile errare predicendo per stasera un
teatro superlativamente affollato, ed un pubblico entusiasta e plaudente. La
signorina Salomea Krusceniska, di nazionalità rutena, è un'elegantissima e bella
figura d'artista. Sin da bambina aveva per la musica una grande disposizione:
a soli dodici anni cantava già in concerti di beneficenza ed il pubblico la
distingueva apprezzandola per la sua graziosa voce e pronosticandole fin d'allora
uno splendido avvenire artistico. Allieva del conservatorio di musica in Lemberg,
dove riportò parecchi premi, venne più tardi a Milano, onde studiare il canto
sotto la guida intelligente della distinta maestra signora Fausta Crespi. Debuttò
- quattro anni fa - al teatro Municipale di Lemberg nell'opera Faust,
dove vi rappresentò con grande intelligenza il poetico tipo di Margherita.
Lo splendido successo ottenuto in quest'opera le aperse le porte dei principali
teatri. Per la prima volta in Italia si presentò tre anni fa - al Ponchielli
di Cremona dove - stando al giudizio dei giornali del luogo - fu una Valentina
splendida per voce ed interpretazione, ed una Manon affascinante.
Il pubblico entusiasmato le tributò applausi e fiori. Cantò poi in Russia a
fianco di celebri artisti, sempre distinguendosi e al teatro imperiale di Odessa
scelse, per sua serata d'onore - fra le tante opere del suo repertorio l'Otello
di Verdi, dove fu l'ideale delle Desdemone - interpretandone il tipo
con arte commovente. Il successo fu di vero entusiasmo. Venne poi scritturata
per la grande stagione d'America del Sud ed ogni opera che ella ebbe ad interpretare
fu per lei un nuovo trionfo. Appena arrivata in Italia la solerte impresa del
nostro Regio la scritturò per la presente stagione, ed i parmigiani, ammirandola
ed applaudendola nel Lohengrin e nella Bohème, hanno potuto constatare
quante e quanto grandi siano le doti, e quanta l'intelligenza e il talento che
la giovane artista possiede. Salomea Krusceniska è oggi indubbiamente tra le
primissime artiste della scena lirica. La sua voce fresca, sicura, limpida,
dolce sa piegare e modulare a meraviglia, mostrando di saper cantare con una
mirabile giustezza di colorito, con una nitidezza esemplare di ugola e la fioritura
e l'ardore, l'ingenuità e l'angoscia.
s.
"Gazzetta di Parma" del 20 febbraio 1898
AL REGIO
Serata burrascosa e tempestosa quella di ieri al Regio. Un ballo in maschera
- la terza opera di questa stagione, fin qui fortunatissima - ha naufragato
completamente per insufficienza assoluta del tenore Nieddu. Date le peripezie
della serata ci sembra doveroso non parlare per oggi dei pregi e dei difetti
di questo spettacolo. Avremo campo di scrivere il nostro parere quando di questo
Ballo in maschera si darà una seconda edizione che auguriamo più corretta
e soprattutto più colorita. Per oggi poche parole di cronaca. Teatro imponente,
splendido. Non un palco, non un posto vuoto. Pubblico attento e da principio
ben disposto perché applaude il tenore dopo la romanza dell'atto primo. Ma al
secondo incominciano per questo artista le prime disapprovazioni, disapprovazioni
che aumentano di forza e di intensità all'atto terzo.
Prima che incominci poi l'ultima parte del quarto atto, il tenore comprimario
Eugenio Grossi, si presenta al pubblico in mezzo ad un baccano indiavolato ed
avverte che il tenore Nieddu, non essendo nella pienezza dei suoi mezzi... e
null'altro poté dire tante furono le urla e i fischi degli spettatori! E siamo
all'ultima scena. Il tenore Nieddu omette la romanza: ma s'è m'è forza perderti
che del resto non si canta in quasi tutti i teatri. Ma a Parma si è sempre
voluta sentire ed anche ieri sera molti, ad alte grida, la domandano, la vogliono.
Nuove disapprovazioni, nuovo uragano di fischi. È impossibile continuare
lo spettacolo... e cala la tela! Una piccola parte del pubblico abbandona la
sala mentre i più rimangono, chi a fischiare, chi ad applaudire. Continua
questo chariavarì un bel poco. Finalmente l'impresario Borboni annuncia
che per giovedì vi sarà un nuovo tenore e che intanto si pazienti. E così quando
Dio vuole e come Dio vuole si riprende la rappresentazione si arriva in fondo
molto malamente.
In mezzo a una simile burrasca il pubblico ha avuto modo però di apprezzare
la signorina Orcesi (Amelia) per la voce bella per estensione e per timbro,
e di applaudirla con entusiasmo e di chiamarla al proscenio alla fine del terz'atto,
e sola, e insieme ai compagni, più volte. E così dicasi della Ceresoli,
brava anche nei panni di Ulrica, della Cassandro, e del Giacomello, dal
quale il pubblico avrebbe voluto il bis della romanza: Eri tu che macchiavi
quell'anima.
E per oggi non vogliamo dire di più. Quello che l'impresa ci prega di far noto
al pubblico si è che essa aveva cercato, si può dire per mare e per terra, un
artista sicuro e degno del nostro teatro anche per la parte di Rìccardo
ma sfortunatamente non gli è stato possibile averlo, perché non solo
i buoni, ma pure i mediocri sono in questo momento impegnati.
Martedì, col finire della stagione di Carnevale, molti artisti saranno liberi.
Allora soltanto crediamo, si riprenderà il Ballo in maschera, colla speranza
che la sostituzione del tenore attuale con un artista più sicuro valga a rialzare
le sorti di questo spettacolo. Stasera al teatro regio avremo la Bohème rappresentazione
popolare regalata ai signori abbonati. Dopo l'opera la signora Krusceniska canterà
la grand'aria della Semiramide.
"Gazzetta di Parma" del 26 febbraio 1898
Dal signor G. Borboni, impresario del R. Teatro, riceviamo la
seguente che pubblichiamo di buon grado:
Gentilissimo signor S.
Permetta che io approfitti della di Lei cortesia e imparzialità per fare
una dichiarazione che ritengo necessaria onde giustificare l'operato mio ed
il mio buon volere verso il rispettabile pubblico Parmense ed i signori abbonati
del teatro Regio. Oltre il Lohengrin e La Bohéme, che ottennero
buonissimo esito e soddisfecero, con altrettanta soddisfazione mia, cotesta
rispettabile cittadinanza, promisi in cartellone una terz'opera e, perché
allora contavo sull'aiuto d'un tenore che venne in seguito a mancarmi, scelsi
allo scopo di assecondare il generale desiderio: Un ballo in maschera del
m. Verdi. Mancatomi quel tenore, indipendentemente della mia volontà, ne cercai
dovunque e con ogni mezzo un altro pronto anche a pagarlo 700 lire
per sera, purché fosse degno del Regio teatro di Parma. Ma l'attuale stagione
che si tiene quasi tutti occupati e la penuria che ogni dì si fa maggiore di
buoni cantanti, specialmente per le opere vecchie, non mi permisero di fare
dippiù di quello che feci. A provare la verità di quanto dico tengo a disposizione
del pubblico e dei signori abbonati, perché possano accertarsene de visu,
tutta la corrispondenza telegrafica, più di 50 telegrammi, riguardante
quanto sopra. Da essa il pubblico potrà persuadersi, e sarò lieto di mostrarla
a chiunque, ch'io trattai più di 20 artisti in una settimana fra i quali, cito
quì i più noti: Villalta, Lucignani, Peirani, Dimitresco, Galli, Cosentino,
Masin, Apostolu, Ceppi, Vignas, senza ottenere l'esito desiderato. Ora sono
costretto ad abbandonare l'idea dell'opera verdiana con mio grandissimo dispiacere
e pregiudizio e terminare la stagione colla Bohème. Ai signori abbonati
ho pensato, d'accordo colla spettabile Commissione Teatrale in modo che credo
soddisfacente per loro. Ossequioso sempre al giudizio del pubblico e della stampa,
non ho però creduto inutili queste dichiarazioni, che posso ad ogni richiesta
documentare, e che dimostrano non essere stato per mancanza di buon volere mio,
e mi si permetta dirlo anche dei signori Commissari teatrali che tanto lavorarono
meco alla ricerca del tenore desiderato, se l'attuale stagione, cominciata con
tanta soddisfazione di tutti, non s'è mantenuta con pari soddisfazione e del
pubblico e mia in queste due sere passate. Grazie dell'ospitalità, e mi abbia
con stima e amicizia.
Suo
G. BORBONI
"Gazzetta di Parma" del 25 febbraio 1898
TEATRI E COSE D'ARTE
La rappresentazione di ieri sera al Regio è stata così tempestosa che non si
è potuto andar oltre il primo atto di Un ballo in maschera. Il nuovo
tenore Nazareno Breccia, inferiore a qualsiasi più meschina esigenza, è stato
accolto da fischi e da risate e messo in croce dal pubblico come l'altro Nazareno.
Finito il primo atto le disapprovazioni e le urla degli spettatori sono state
così clamorose da indurre l'impresa ad avvertire che lo spettacolo non sarebbe
andato più oltre, che si restituiva il prezzo del biglietto e che la rappresentazione
non verrebbe, naturalmente, contata per gli abbonati. Il pubblico allora si
è calmato e discutendo, ridendo, lentamente ha abbandonata la sala. Noto per
la cronaca che il baritono signor Giacomello artista sempre simpatico in qualunque
parte si presenti è stato accolto da un applauso di sortita ed ottenne alla
fine della sua prima romanza generali approvazioni. Non faremo alcun commento.
La rappresentazione di ieri è stata un errore grandissimo. Né l'impresa doveva
presentare un artista simile, né la commissione permettere l'andata in scena
di un cantante così inferiore ad ogni aspettativa ed esigenza, soprattutto poi
dopo la rappresentazione di sabato scorso. E il pubblico ha avuto, a nostro
avviso ragioni non poche per protestare così energicamente. All'impresa e alla
commissione non abbiamo lesinata mai in questa stagione la lode quando l'hanno
meritata. Ora ci sentiamo in dovere di disapprovare quanto è accaduto, deplorando
che una stagione cominciata e continuata fino ad oggi così splendidamente abbia
così miseramente a finire.
"Gazzetta di Parma" del 4 marzo 1898
UNA RÉPRISE DI "UN BALLO IN MASCHERA" AL REGIO
Dunque dopo parecchi sì e no il signor Borboni, il simpatico impresario del
Regio, ci annunzia con grandi striscioni che furono affissi per la città stamane
una nuova edizione - la terza - della tanto aspettata e desiderata opera del
m. Verdi: Un ballo in maschera. Le due fugaci e tempestose apparizioni
del capolavoro verdiano, appunto perché non riuscite secondo l'aspettazione
del pubblico crebbero in esso il già grande desiderio di risentire quelle splendide
melodie lodevolmente eseguite. E l'impresa del Regio, con tutto il buon volere
di finalmente accontentare il pubblico, ce ne annuncia per domani sera la terza
edizione pressoché completamente riveduta e corretta. Saranno sole sette rappresentazioni
che auguriamo fortunatissime al Borboni ed ai nuovi artisti scritturati. I quali
sono molto favorevolmente noti, soprattutto per gli ottimi mezzi vocali e calcano
buonissime scene. Ne diamo l'elenco: Linda Micucci (Amelia) - Lina Cassandro
(Paggio) - Elisa Mattiuzzi (Ulrica) - Luigi Colazza (Riccardo)
Alessandro Arcangeli (Renato) - Carlo de Probizzi (Samuele). La
Micucci è stata il sostegno della stagione del Costanzi di Roma l'autunno scorso
ed il tenore Cosazza ha cantato nel carnevale al teatro di Bukarest con successo
moltissime opere drammatiche compreso l'Otello. Anche il baritono Arcangeli
gode fama assai buona nel mondo lirico. Basta, vedremo. Per ora anticipiamo
moltissimi auguri. Per sette sere si apre. un abbonamento a L. 8.00 per l'ingresso
- L. 9.00 per le sedie chiuse e L. 18.00 per le poltrone. I palchi si convengono
al camerino che rimane aperto oggi e domani dalle 10 alle 16. Così quest'anno
che il Regio doveva restar chiuso in carnevale avremo invece anche una coda
in quaresima, brevissima coda che farà senza dubbio ritornare al teatro tutte
le nostre signore e gli habitués del Regio, e che ci auguriamo rimuneratrice
alla coraggiosa impresa che tenta uno spettacolo senza sussidio alcuno, cosa
che da moltissimo tempo nessuno aveva pensato di fare.
"Gazzetta di Parma" del 6 marzo 1898
IL SUCCESSO DI "UN BALLO IN MASCHERA"
Eureka! avrà detto il pubblico e insieme col pubblico anche il buon Borboni
sentendo finalmente scrosciare gli applausi che certo si saran fatti sentire
fin nel suo camerino. Il successo c'è stato e in qualche punto clamoroso. Tralascio
la cronaca degli applausi, delle chiamate, delle richieste di bis. Ve
ne furono a dovizia per tutti. Il pubblico ha sentito delle voci veramente belle,
forti e resistenti e non ha guardato tanto per il sottile, sorvolando sulla
poca finezza del complesso e sulle incertezze inevitabili in una esecuzione
imbastita per telegrafo. Le voci ci son state ed hanno bastato ad accontentare
il pubblico né arcigno, né mal prevenuto e, mi si permetta pure l'aggettivo,
meravigliosa voce di soprano drammatico è quella della signorina Linda Micucci,
una cantante che in due anni di carriera si è già fatta un bel nome e alla quale
certo molti grandi trionfi l'avvenire riserba. Da molto tempo non sentivamo
una voce così estesa e così completa in tutti i registri. Canta di buona scuola
ed ha finezze e modulazioni di voce notevolissime. Il pubblico l'ha calorosamente
applaudita in tutta l'opera ed una vera ovazione le tributò alla fine della
romanza dell'atto terzo. Il tenore Colazza è pure giovanissimo. Ha una voce
un po' alla Galli. Le note centrali e le acute si completano a vicenda fortissime,
resistenti e timbrate. Non è sempre egualmente felice, ma ha momenti dove la
frase calda non gli manca, e dove risce a contenere la sua voce e a modularla
con arte. Nel terzo atto - a dire il vero - egli ha voluto un po' strafare.
Gli applausi vi son stati e calorosi, ma vi saranno ancora più spontanei le
sere venture sé saprà moderarsi, cosa di cui non dubitiamo. Il baritono Modesti,
che sostituiva - scritturato telegraficamente - l'Arcangeli, colpito da indisposizione,
ha anch'esso, tutti lo conoscono, dovizia di voce. Non gli mancarono applausi,
specialmente dopo l'aria dell'atto quarto. Un paggetto bravo assai quanto grazioso
la Cassandro essa pure e non poco applaudita. La Mattiuzzi (Ulrica) ha note
basse di contralto forti e mascoline, ma acuti non egualmente felici. Bene abbastanza
il De Probizi e il Grossi. Gli altri non guastarono. Cori e orchestra discretamente.
Dopo l'atto secondo, il maestro Gerbella che ha diretto gli uni e l'altra con
cura ed impegno, dovette comparire alla ribalta assieme agli esecutori principali
di questo Ballo in maschera, che merita nel suo assieme il favore del
pubblico, favore che non può e, non deve mancargli, tenendo conto anche che
questo è uno spettacolo allestito senza sussidio di sorta. Stasera seconda rappresentazione,
dopo l'esito fortunatissimo di ieri avremo certo una sala affollata.
s.