Stanza 11 / Room 11

Figure della memoria

Lo ha capito Davide Livermore che, mettendo in scena Demetrio e Polibio di Rossini con costumi e scene della Accademia di Belle Arti di Urbino, propone relle con appesi centinaia di abiti a sfondo dei personaggi, come presenza incombente: quelli sono i costumi di tutti gli attori, di tutti gli spettacoli passati e di quelli possibili, poiché il teatro vive le proprie messe in scena, le conserva. Lo fa il pubblico che ricorda, ciascuno a suo modo, ciascuno dentro la propria storia, antichi ma anche possibili nuovi spettacoli.

Così il teatro è il luogo della rappresentazione degli spettacoli, ma anche il luogo dove noi stessi ci rappresentiamo, luogo della presentazione del nostro status sociale che la macchina architettonica del teatro ottocentesco ci ha trasmesso. Ma, insieme, il teatro è anche memoria dei personaggi, memoria degli spettacoli, memoria di tutti coloro che costruiscono la macchina della rappresentazione effimera che vivrà soltanto nel racconto degli attori, di tutti gli attori, sulla scena, dietro la scena, nei palchi e nella platea e poi, dentro ciascuno di noi, nella rappresentazione del teatro sulla scena delle città.

Teatro insomma come presenza-assenza, memoria collettiva di un sogno civile che ci attraversa in modo diretto o indiretto in ogni tempo della esistenza.

 

Figures of memory

Davide Livermore understood this while, staging Rossini's Demetrio e Polibio with costumes and scenes from the Academy of Fine Arts in Urbino, proposes hangers with hundreds of clothes hanging on the background of the characters, as an impending presence: those are the costumes of all the actors, of all past and possible performances, since the theatre lives its own staging, it preserves them. This is done by the public who remembers, each in their own way, each in their own story, ancient but also possible new shows.

Thus, the theatre is the place where the performances are represented, but also the place where we represent ourselves, the place for the presentation of our social status that the architectural machine of the nineteenth-century theatre has transmitted to us. But, at the same time, the theatre is also the memory of the characters, the memory of the shows, the memory of all those who build the machine of ephemeral representation that will live only in the story of the actors, of all the actors, on stage, behind the stage, in the stages and in the audience and then, within each of us, in the representation of the theatre on the city stage.

In short, theatre as presence-absence, the collective memory of a civil dream that crosses us directly or indirectly in every time of existence.

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