Stanza 7 / Room 7

Opera, politica e contemporaneità

Nonostante le si sia più volte inscenato il funerale, l’opera non è affatto morta. Nel secondo Novecento ha però cambiato pelle, seguendo i nuovi linguaggi musicali, ma senza rinunciare al suo essere nel presente.

Anzi, alcuni compositori sono stati molto allettati dal teatro musicale consapevoli che la crisi della contemporaneità è politica proprio perché è crisi di linguaggio. L’opera contemporanea ha smesso allora di raccontare: la politica è diventata il palcoscenico, oppure lo spettatore viene messo nella condizione di non riconoscere il teatro se non nella propria capacità di ascoltare e vedere, e sentirsi protagonista della realtà. 

La modernità si è anche impossessata del vecchio repertorio operistico, sottoponendo la musica all’elemento visivo per reinterpretarlo. È il teatro di regia, scivolato qui dal mondo della prosa con l’ambizione di liberare l’opera dalle convenzioni più consunte. Ecco allora le scenografie antinaturalistiche. O il palcoscenico svuotato, le trasposizioni di luogo e periodo storico, i simboli in scena. Il regista è diventato così responsabile dello spettacolo operistico pari al direttore d’orchestra, col rischio di cadere nella provocazione fine a sé stessa, nella ricerca di visibilità, nel compromesso con il mercato della comunicazione. Gli esiti vanno da manipolazioni che travolgono i significati di un’opera, a colpi di genio capaci di aggiornare quei significati.

Resta il fatto che oggi l’opera non è più del suo autore, né dei cantanti, ma del regista. Siamo all’estremo di una parabola. Il futuro sarà forse trovare un modo nuovo di tornare al passato?

 

Opera, politics and contemporaneity

Although its funeral has been staged several times, opera is by no means dead. In the second half of the twentieth century, however, it changed its skin, following the new musical languages, but without giving up its being in the present.

Indeed, some composers have been very attracted by musical theatre aware that the crisis of contemporaneity is political precisely because it is a crisis of language. Contemporary opera has then stopped telling: politics has become the stage, or the viewers are put in the position of not recognizing the theatre except in their ability to hear and see, and feel the protagonist of reality.

Modernity has also taken over the old operatic repertoire, subjecting the music to the visual element to reinterpret it. It is the director's theatre, which slipped here from the world of prose with the ambition of freeing the opera from the most worn-out conventions. Here then are the anti-naturalistic scenography. Or the empty stage, the transpositions of place and historical period, the symbols on stage. Thus the director became responsible for the opera performance equal to the conductor, with the risk of falling into provocation as an end in itself, in the search for visibility, in compromise with the communication market. The results range from manipulations that overwhelm the meanings of an opera, to strokes of genius capable of updating those meanings.

The fact remains that today the opera is no longer of its author, nor of the singers, but of the director. We are at the end of a parable. Will the future find a new way to return to the past?

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