Stanza 5 / Room 5

Opera e regimi

Il delicato momento vissuto dall’arte sotto i regimi autoritari del Novecento rappresenta un capitolo particolare nella storia del rapporto fra melodramma e politica, che culmina simbolicamente nelle ferite inferte a molti luoghi teatrali dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale. Specialmente in Germania, ove la musica ha un ruolo centrale nell’identità culturale del Paese, l’opera fu subito individuata dal Terzo Reich come un mezzo fondamentale per conservare la reputazione del regime, per educare, instillare entusiasmo e trasmettere orgoglio al popolo tedesco. I criteri di selezione per le opere tollerate divennero perciò i loro contenuti, la loro nazionalità (meglio se tedesche o italiane), i loro legami con la cultura ebrea, il loro linguaggio musicale.

Ogni avanguardia che propugnasse valori difformi a quelli del regime era condannata. Il jazz non era neppure da prendere in considerazione. Anche Arnold Schönberg, avanguardista ed ebreo, fu preso di mira e dovette riparare negli Stati Uniti. L’avversione alla modernità andava di pari passo anche con la preferenza verso espressioni che sottolineassero in modo didascalico il rapporto con la realtà dei fatti. In questo il regime sovietico si distinse in modo persino più accanito ma più subdolo, come sperimentò sulla propria pelle Dmitrij Šostakovič.

In questi conflitti fra dignità artistica e repressione politica, la figura di Arturo Toscanini si erge clamorosa nel suo rifiuto a qualsiasi compromesso e di opposizione alle dittature attraverso l’esercizio della propria arte, brandita come pura manifestazione dello spirito contro qualsiasi strumentalizzazione ideologica.

 

Opera and regimes

The delicate moment experienced by art under the authoritarian regimes of the twentieth century represents a particular chapter in the history of the relationship between melodrama and politics, which symbolically culminates in the wounds inflicted on many theatrical places by the bombings of the Second World War.

Especially in Germany, where music plays a central role in the country's cultural identity, opera was immediately identified by the Third Reich as a fundamental means of maintaining the reputation of the regime, of educating, instilling enthusiasm and transmitting pride to the German people. The selection criteria for the tolerated operas therefore became their content, their nationality (preferably German or Italian), their links with Jewish culture, their musical language.

Any vanguard that advocated values that differed from those of the regime was condemned. Jazz wasn't even worth considering. Arnold Schönberg, avant-garde and Jewish, was also targeted and had to flee to the United States.
The aversion to modernity also went hand in hand with the preference for expressions that underlined the relationship with the reality of the facts in a didactic way. In this the Soviet regime distinguished itself even more fiercely but more subtly, as Dmitrij Šostakovič experienced first-hand.

In these conflicts between artistic dignity and political repression, the figure of Arturo Toscanini stands out in his rejection of any compromise and opposition to dictatorships through the exercise of his art, brandished as a pure manifestation of the spirit against any ideological exploitation.

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