Si è visto che il libretto con il testo poetico dell’opera apparve fin dall’epoca della Favola di Orfeo di Monteverdi (1607) guida indispensabile per la comprensione delle parole cantate, a cui il pubblico non era abituato. Col tempo, complici le luci accese in teatro, a lungo fu usato a questo scopo, oltre che come oggetto di collezione.
In questo modo diventerà un potente mezzo di divulgazione della vicenda narrata da ogni opera, e veicolo di apprendimento di personaggi, situazioni e – visto il linguaggio poetico cólto dell’opera italiana seria – anche di lessico, mentre l’opera comica si avvarrà di un linguaggio molto più quotidiano e accessibile.
I libretti venivano stampati per i singoli allestimenti, anche perché nel XIX secolo non era infrequente che ogni teatro portasse in scena testi modificati dalla censura. Oltre a dediche a sovrani (fino all’epoca napoleonica), vi comparivano il cast artistico e spesso anche quello tecnico, e talvolta le trame dei balletti inseriti negli intervalli ed eventuali avvertenze apportate dai librettisti sulla vicenda storica del soggetto o sul rapporto con le fonti da cui era tratto.
Dal terzo quarto del XIX secolo gli editori cominciano a stampare libretti con copertine illustrate, in linea al gusto figurativo dell’epoca, ma con il diffondersi del buio in sala il loro utilizzo durante lo spettacolo venne meno, ed è per questo che nella seconda metà del XX secolo sono stati definitivamente sostituiti dai programmi di sala: veri e propri volumetti che, oltre al testo del libretto, possono contenere saggistica e illustrazioni. Oggetti da biblioteca, più che da teatro.